Sette parole per il nuovo anno scolastico

Ascolto, responsabilità, pazienza, fiducia, visione, investimento, comunità: sette parole che possono guidarci nell’anno scolastico che inizia.
1 Settembre 2020

Comincia oggi il nuovo anno scolastico, con i problemi, i nodi, le sfide che la pandemia ha in parte causato, in parte semplicemente messo in luce, perché si tratta di questioni che il nostro paese si trascina da decenni, in un settore sfiancato da continue riforme che lo hanno reso una barca che galleggia, ma sempre sul punto di affondare.

Mai come in questi mesi la scuola è stata al centro dell’attenzione, e questo è un bene, dato che era sparita dai radar del dibattito pubblico (chi ricorda un serio dibattito sulla scuola durante l’ultima campagna elettorale?). Ma il dibattito è stato spesso superficiale, astioso, denigratorio, semplificato, volto solo all’immediato. Peggiore è stato solo il discorso sull’università, praticamente quasi assente.

Comincia così il nuovo anno scolastico, forse il più difficile dell’Italia repubblicana. Ho altrove avanzato alcune personali proposte, articolate e un po’ specialistiche. Quello che però mi sento di condividere oggi è una manciata di parole: sette parole che mi piacerebbe potessero esserci da guida nei prossimi mesi, sette parole che ciascuno di noi può provare a custodire, al di là di protocolli, regole, misure.

Ascolto: il mondo della scuola ha bisogno di ascolto. Ne hanno bisogno gli studenti, silenziosi e silenziati nel dibattito pubblico, dove gli adulti hanno spesso tentato di strumentalizzarli. Hanno bisogno di sapere che qualcuno raccoglierà le loro parole, i loro timori, le loro speranze, le loro fatiche, il loro disorientamento. Che siano bambini o adolescenti, hanno bisogno che qualcuno li prenda sul serio e ascolti il loro vissuto dei mesi scorsi, che dia spazio alle loro esigenze più vere e profonde, qualcuno che si ricordi che il futuro sono loro.

Hanno bisogno di ascolto i docenti, spesso sfiduciati e demotivati, non raramente oggetto di un dibattito pubblico che tende a descriverli come lavativi o poco capaci, sempre alla ricerca di una via di fuga per lavorare meno. Hanno bisogno, gli insegnanti, che famiglie e istituzioni ascoltino le loro frustrazioni, le loro idee, i loro desideri, cercando di ridare legittimità a un mestiere importante, che non è un hobby, non è un ripiego, non è oggetto delle sperimentazioni di specialisti, ma non è nemmeno una missione fatta di abnegazione totale. È un lavoro, e come tale va salvaguardato e considerato.

Hanno bisogno di ascolto le famiglie, che si sono trovate a ‘curare’ e ‘gestire’ i figli in mesi di grandi cambiamenti: hanno bisogno di vedere che istituzioni e docenti accolgono paure, malessere, desideri, difficoltà, anche molto pratiche.

C’è un’alleanza tra studenti, docenti e famiglie che va assolutamente messa in atto, perché troppo spesso è stata solo sulla carta.

Responsabilità: il tempo che verrà, nel tentativo di limitare il contagio, sarà un tempo di responsabilità. Nessun protocollo, nessuna norma potrà salvare il più debole – che sia ragazzo o adulto – dal virus, se non ci sarà una dose di responsabilità che è cura degli altri. Una responsabilità che è questione di piccoli gesti: mettere bene la mascherina, tenere la distanza fisica, disinfettare le mani, evitare comportamenti a rischio con la scusa che ‘tanto io non ho il virus’. La responsabilità è un costume, è un habitus.

Saranno chiamati a responsabilità i docenti, che dovranno lavorare con impegno e competenza. Saranno chiamati a responsabilità i genitori, che dovranno attuare quei comportamenti privati utili al contenimento del virus, senza delegare tutto alla scuola, genitori che al tempo stesso saranno chiamati a vigilare sui proprio figli, ricordando loro anche il dovere quotidiano. Saranno chiamati a responsabilità gli studenti, dai piccoli ai grandi, proporzionalmente alle età: prendersi cura dell’altro, non approfittare della situazione per piccole fughe, rispettare l’adulto e i suoi consigli. Saranno chiamate a responsabilità le istituzioni, ricordando che la scuola non può essere mero strumento per guadagnare un pugno di voti né un luogo che vive di improvvisazioni.

Pazienza: è molto probabile che non tutto andrà bene, che non tutto procederà con linearità. Ma invece che far esplodere subito la critica e la polemica sterile (il genere letterario più diffuso sui social), invece che avvelenare il clima, saremo chiamati tutti a portare pazienza. Abbiamo forse un po’ dimenticato, nella società veloce e iperconnessa, che la pazienza è la virtù più rispettosa dell’umano. Portare pazienza con lo studente distratto o poco responsabile, portare pazienza con il docente in difficoltà o demotivato, portare pazienza con i genitori esigenti e battaglieri. Siamo tutti esseri umani, con il nostro bagaglio di qualità, difetti, pigrizie, pretese sugli altri.

Fiducia: non avremo un anno scolastico vivibile se mancheremo di fiducia. Fidarsi è rischioso, perché ci rende vulnerabili, ma non può reggere un gruppo umano che si basa sul sospetto. Docenti, studenti, genitori: dovranno tutti fidarsi gli uni degli altri, accettando anche di non capire tutto subito, ammettendo che l’altro non per forza stia agendo per provocarci un danno. Ma la fiducia sarà necessaria anche verso i comitati di esperti e le istituzioni, pur nei limiti emersi nel corso dei mesi.

Visione: la scuola italiana ha bisogno di una visione, che può maturare solo dal confronto, dal dialogo, dalla conoscenza della sua realtà. Una visione equilibrata tra tradizione e innovazione, una visione umana e non solo funzionale all’economia, una visione consapevole della società, ma anche della natura unica che l’istruzione, la formazione l’educazione possiedono.

È necessario che ogni singola scuola si interroghi su cosa vuole essere nei prossimi dieci anni. È necessario che provi a chiederselo il docente come la famiglia e, se possibile, lo studente.

È necessario che se lo chieda anche la politica, al di là di bandiere e colori partitici. Sarà forse utopia quest’ultima, ma non c’è una via diversa per ricostruire un paese se non cercando un dialogo sul quello che vorremo essere, tutti insieme, nel 2030.

Investimento: nel corso degli anni l’investimento nella scuola è stato sempre minore: dalla crisi del 2008 al 2016 l’Italia ha investito in istruzione 5 miliardi in meno all’anno. Nel 2018 l’Italia ha speso circa 1500 dollari in meno a studente rispetto a Germania e Francia (dati forniti da Openpolis). Le strutture sono vecchie e pericolanti, le classi sono sovraffollate, i finanziamenti spesso vanno a progetti ‘bandiera’ che poco incidono sulla didattica, gli stipendi degli insegnanti sono molto al di sotto della media europea e non competitivi con il mercato del lavoro (con il risultato che troppo spesso insegnare è un ripiego, o una terza scelta). Bisogna spendere: anni di austerità hanno portato a vedere la scuola come un albero a cui tagliare continuamente rami, pretendendo però che porti frutto.

La questione è drammatica per l’università; a riguardo, bastino due dati: dal 2007 al 2018 i posti di dottorato si sono quasi dimezzati e il 90% degli assegnisti di ricerca è stato espulso dal settore universitario (dati messi in luce da Internazionale e da Adi). L’università e la scuola rischiano di diventare solo un settore per pochi appassionati che vivono di rendita.

Ma l’investimento va fatto anche in termini di stima, di formazione, di comunicazione (quanto sono responsabili i media dell’immagine distorta della scuola che si va diffondendo!): senza fondi la scuola non vive, ma richiede anche tempo, attenzione, conoscenza reale e seria.

Comunità: la scuola è una comunità di studenti e adulti che, a loro volta, vivono nella comunità civile. Communitas, in latino, indica ‘mettere insieme il proprio servizio e il proprio dono’ per motivi di riconoscenza; communitas deriva dalla radice mei, che indica lo scambio. Siamo parte di rapporti umani in cui c’è un continuo scambio: lo stesso accade a scuola, in cui un flusso continuo di ‘scambi’ procede tra i suoi protagonisti, uno ‘scambio’ mai a senso unico. Si dà e si riceve, tutti, sempre.

Siamo parte di una comunità in cui i destini non sono semplicemente singoli e individuali, ma ‘comuni’. Scuola e società sono comunità di destini singoli e collettivi.

Per qualche settimana, all’inizio della pandemia, ci siano sentiti parte di una comunità, prima che il livore prendesse nuovamente spazio.

Tornare alla comunità, tornare a sentirci parte di un cammino comune: non ci salveremo da soli. Prendersi cura dell’altro, prendersi a cuore l’altro, ma non in modo generico. Il prossimo è sempre quello che mi sta più vicino, adulto o bambino che sia.

Dice il Talmud: “chi salva una vita salva il mondo intero”. Potremmo anche dire che chi ‘salva’ uno studente, salva il mondo intero.

(la foto è dell’autore dell’articolo)

Una risposta a “Sette parole per il nuovo anno scolastico”

  1. Elvira Cigna ha detto:

    Condivido pienamente quanto scritto. Viviamo in un contesto storico difficile, pieno di diffidenza e paure, ma al tempo stesso bisognoso di relazioni basate sulla fiducia,sull’ascolto, sulla comprensione. Di questi tempi, con la mascherina, parliamo con lo sguardo e comunichiamo tanto. Anche solo una di queste parole potrà rassicurare una mamma, un papà, un bimbo o un ragazzo. Non sono una mamma, ma sono la zia di due nipotini splendidi, i miei gioiellini, uno di questi al suo secondo giorno di asilo.. E sono certa che l’amore per questa professione farà prevalere nella sua maestra la capacità di coniugare ed intrecciare questi termini nel migliore dei modi. Ecco perché dicevo che nel peggiore periodo della scuola, e della nostra vita, si abbia bisogno delle parole comprensione e fiducia.

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