Quel giorno d’aprile

Festeggiamo e facciamo memoria del 25 aprile con la musica e le note di Francesco Guccini
25 Aprile 2023

Decisamente non sembrano questi i tempi migliori per cercare di ricordare e ribadire il senso e l’importanza in Italia dei festeggiamenti del 25 aprile. Qualcuno, invero, direbbe (e forse a ragione) che sono proprio questi tempi, invece, che più hanno bisogno di una bella rinfrescata, a fronte di quelli che – inutile nasconderselo, un po’ di schiettezza renderebbe tutto più facile – volentieri tornerebbero all’Italia così com’era (almeno simbolicamente) il giorno prima di quell’aprile 1945.

Appunto, “quel giorno d’Aprile”, da allora forse sempre più distante dalle nostre coscienze e dalla nostra percezione storica. Spesso gridato, urlato, difeso ma perché – come tutto ciò che richiede di “alzare la voce” – , alla fine, forse, non è davvero radicato in profondità nel nostro contesto civile. E forse, tuttavia, non è (solo) un elogio della Resistenza o una retorica partigiana quello che ci serve oggi, ma un vivo racconto, un affresco della memoria che ci riporti a quegli attimi, a quegli istanti in cui per la prima volta, dopo tanti anni, di nuovo si è potuto respirare un’aria di libertà.

È questa, ci sembra, la ricchezza di uno degli ultimi brani incisi da Francesco Guccini nel suo album L’ultima Thule (ormai più di dieci anni fa) e proprio per questo vogliamo lasciarci guidare dalle sue parole per provare a dire qualcosa di questo giorno, anzi, di Quel giorno d’aprile.

 

 

Questo il titolo del nostro brano, che apre la nostra immaginazione ai ricordi, agli eventi che hanno segnato l’infanzia di Guccini (classe 1940) e che ci racconta il senso autentico di quel 25 aprile, quando ancora non era un fregio (di sinistra) o uno sfregio (di destra) ma semplicemente una rinascita (per l’Italia).

Lo stile di questo brano è inconfondibile. Una delle tante canzoni di Guccini capace di dare concretezza, di disegnare davanti ai nostri occhi immagini nitide dai colori vividi, che fin dall’inizio ci proiettano in uno spazio e in un tempo ben precisi. Vediamo un «cannone», a richiamare subito la guerra, che si staglia «contro il cielo cobalto», e un «gallo impettito» a evocare la campagna, la semplicità della realtà contadina, forse pavanese. Una sensazione di calma e di serenità subito ci pervade, per quanto sia chiara l’esperienza che sta alle spalle: «la guerra è finita», «il paese è in festa», «i soldati tornati». La vita riprende, è davvero primavera in «questo giorno di aprile». E tuttavia la serenità che proviamo è ancora delicata, quasi incredula, troppo bella per essere vera. Il passato più recente è ancora presente, è una «favola bianca» ambientata in Russia, raccontata da una «lettera breve» di un soldato (come tanti altri) ancora atteso, immaginato col suo «viso bagnato di neve».

In questa situazione sospesa, qualcosa all’improvviso divampa: «l’Italia ormai libera allaga le strade», la gioia diviene prorompente, le bandiere sventolano «impazzite di luce»: un’immagine fortissima ed eloquente, a indicare nel tricolore il simbolo di quell’unico bene davvero comune, che finalmente può tornare “alla” e “a dare” luce. È su questo sfondo luminoso che torniamo a una scena d’intimità familiare, probabilmente del cantautore stesso: una madre che prende in braccio il proprio figlio, una madre che «piangendo sorride», icona chiarissima di chi rinasce a una vita che credeva persa per sempre, o di chi, dopo tanta sofferenza, «una storia o una vita ricuce». Per ciascuno la fine della guerra significa ritrovare affetti, ricordi e speranze, significa aspettare qualcuno, magari un padre, «con il sole d’aprile».

E alla fine, anche questo soldato ritorna, torna ad essere un padre che ritrova la propria vita, le «sue sigarette» e il proprio figlio, da portare «in bici» lungo il fiume, in uno stesso «giorno d’aprile». E ancora quella stessa gioia, quella stessa libertà pervade l’Italia, nei gesti plastici di «una donna che balla sui tetti di Roma» (1959) o nella delicatezza di un papa che «si affaccia e accarezza i bambini e la luna» (1962). Insomma, gli anni passano, sempre di nuovo torna questo giorno d’aprile, e sempre con lui risuona ancora la medesima campana, quella stessa gioia, quella stessa libertà che sanno trovare nuove forme per esprimersi.

È da quel giorno, è da quella gioia mista a pianto e ricordo, che nasce tutto quello che è venuto dopo, tutto quello che siamo stati e che ancora siamo. Ed è proprio questo, forse, il senso più autentico di questa festa. Sono tante le conquiste, tante le cose perse; tanti gli eventi e tante le immagini che sono passate davanti ai nostri occhi da «quel giorno d’aprile». Esso, però, continua a segnare la nostra storia, custodisce (spesso ignorato) il nuovo inizio della nostra libertà che qualcuno voleva negarci.

Una bella storia, quella di Guccini, abituato a cantare narrazioni che spesso è facile scambiare per “favole” (pensiamo al finale di Il vecchio e il bambino), troppo belle per essere vere. Anche stavolta, però, è una storia vera, è la nostra storia, che ancora ci trasmette l’emozione e la grandezza degli eventi di quel giorno. Una storia che, come tutte quelle che meritano d’essere raccontate, si conclude con un augurio, una promessa, una speranza, perché la gioia è così: desidera essere condivisa, essere contagiosa, affinché nessuno possa dimenticarla e tutti possano viverne (forse, con un po’ più di consapevolezza). Per questo possiamo dire, guardando fiduciosi al futuro: «Suona ancora per tutti campana», continua a risvegliare le nostre coscienze, perché è sempre presente il rischio che «dentro di noi troppo in fretta si allontana quel giorno di aprile».

 

Una risposta a “Quel giorno d’aprile”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Che strano però che dopo tanta guerra, mondiale, con anche l’uso esperimentato di una bomba atomica, non faccia rabbrividire e si sopportino tutte le negatività di queste in atto oggi, Sembra proprio che solo con la guerra i conti tornino, sia possibile un ricominciare. Il “mai più la guerra” e stato proferito da un Papa, che ha dato testimonianza di come sia possibile la Pace cristiana a ricondurre ogni contesa a diverso modo che non l’uccidersi a vicenda. Tutto con la guerra si tramuta in ritorsioni di vendetta,,eppure almeno per dei credenti, e quanto certo retaggio ha lasciato scia di odio, si dovrebbe dare prova di un altro coraggio, quello di rifiutare i plotoni armati, un giustizialismo che genera atrocità, e credere che la Pace Non si persegue con un cuore intossicato da odio da desiderio di prevaricazione ma dall’amore verso il proprio popolo, il quale onora, prega il Dio della Pace

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