Speranza, generatività, accoglienza e felicità
«La nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire. Ho saputo che lo scorso anno l’Italia ha toccato il minimo storico di nascite: appena 393 mila nuovi nati. È un dato che rivela una grande preoccupazione per il domani… La natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società. Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di accogliere».
La solitudine delle giovani famiglie
«Oggi mettere al mondo dei figli viene percepito come un’impresa a carico delle famiglie… Le giovani generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà, per cui il domani sembra una montagna impossibile da scalare… Vivono un clima sociale in cui metter su famiglia si è trasformato in uno sforzo titanico, anziché essere un valore condiviso che tutti riconoscono e sostengono. Sentirsi soli e costretti a contare esclusivamente sulle proprie forze vuol dire rassegnarsi a esistenze solitarie, in cui ciascuno deve fare da sé. Con la conseguenza che solo i più ricchi possono permettersi, grazie alle loro risorse, maggiore libertà nello scegliere che forma dare alle proprie vite. E questo è ingiusto, oltre che umiliante».
La crisi del mercato del lavoro e della casa
«La Signora Presidente del Consiglio ha parlato della “crisi”, parola chiave. Ma ricordiamo due cose della crisi: dalla crisi non si esce da soli, o usciamo tutti o non usciamo; e dalla crisi non si esce uguali: usciremo migliori o peggiori. Ricordiamo questo. Questa è la crisi di oggi. Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali. Sono problemi che interpellano la politica, perché è sotto gli occhi di tutti che il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni e disuguaglianze sempre più gravi».
La questione salariale
«Alcuni anni fa, ricordo un aneddoto di una coda davanti a una compagnia di trasporti, una coda di donne che cercavano lavoro. Ad una avevano detto che toccava a lei…; presenta i dati… “Va bene, lei lavorerà undici ore al giorno, e lo stipendio sarà di 600 (euro). Va bene?”. E lei: “Ma come, ma con 600 euro… 11 ore… non si può vivere…” – “Signora, guardi la coda, e scelga. Le piace, lo prende; non le piace, fa la fame”. Questa è un po’ la realtà che si vive».
La condizione femminile
«In particolare, vi sono condizionamenti quasi insormontabili per le donne. Le più danneggiate sono proprio loro, giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome. In questo momento le donne sono schiave di questa regola del lavoro selettivo, che impedisce loro pure la maternità».
E la politica?
«Certo, esiste la Provvidenza, e milioni di famiglie lo testimoniano con la loro vita e le loro scelte, ma l’eroismo di tanti non può diventare una scusa per tutti. Occorrono perciò politiche lungimiranti. Occorre predisporre un terreno fertile per far fiorire una nuova primavera e lasciarci alle spalle questo inverno demografico… E allora mi chiedo: c’è qualcuno che sa guardare avanti con il coraggio di scommettere sulle famiglie, sui bambini, sui giovani?… Non possiamo accettare passivamente che tanti giovani fatichino a concretizzare il loro sogno familiare e siano costretti ad abbassare l’asticella del desiderio, accontentandosi di surrogati privati e mediocri».
Per avere un figlio sono necessarie due persone un uomo e una donna, non solo ma che tra i due vi sia la linfa vitale dell’amore. Da questa realtà è solo così nasce una stirpe umana, e in questa è nato il Figlio di Dio, fatto nostro Fratello. Una carenza di amore dato e ricevuto genera insicurezza, non predispone a un vincolo che impegna la persona per la vita: e questo esempio viene dalla famiglia, infatti quella di Nazareth e esempio di amore che è dato vissuto tra difficoltà e rinuncia. Che dire p.es. Quando un figlio nasce già malato, quando lo diventa proprio da adulto nel pieno di realizzare le sue speranze, e trova appunto il sostegno di quell’amore che è stato promesso e si mantiene tale!?. Certo oggi si invocano : lavoro abbastanza mezzi materiali, ma se c’è , fiducia nel Dio che così ha reso vitale l’uomo, anche alla sua fragilità Egli interviene se c’è questa fiducia di Fede che apre a speranza è coraggio.
Un figlio non rientra nella realtá di tanti continui cambiamenti ( il liquido Baumann..😰).
Cfr. Franzoni contest.
Tutto vero e tutto giusto.
Eppure io constato che i figli non li fanno, o faticano a farli, o ne fanno a malapena uno, anche le giovani coppie assestate (anche se raramente sposate), con lavori stabili e ben remunerati.
Non è che trent’anni fa fosse tutto facile e scontato!
C’è, anche, un problema culturale (perchè è proprio necessario procrear?) e uno pratico (un figlio ti cambia, e per sempre, la vita quotidiana sconvolgendo le tue piccole o grandi comodità).