Il minimo comune multiplo

Il minimo comune multiplo
11 Ottobre 2018

Come rendere possibile nella Chiesa italiana unità dei fedeli e legittima differenza di opinioni su temi che riguardano comunque il modo concreto di essere fedeli al Vangelo?

Posta in questo modo, a mio avviso, la domanda sul tema del mese non è una questione di teologia sociale o di teologia politica, ma di ecclesiologia. Ed è una domanda che, di fatto, trova già una risposta tendenziale chiara a livello concreto. Nella mia diocesi, ad esempio, ci sono stati diversi avvicendamenti di parroci nell’ultimo anno. La cosa che già si sta notando è una specie di “migrazione” dei fedeli, al seguito del parroco uscente o entrante. Chi si sente rappresentato dalla visione di un certo prete, o anche vescovo, o cardinale, e mettiamoci pure papa, tende a riassumere la sua vita di fede in relazione a quella persona e a seguirlo concretamente. Di qualsiasi parte si stia parlando! Ovviamente questa tendenza ha come obiettivo massimo possibile la “sopportazione”, la “tolleranza” intra – ecclesiale, non certo l’integrazione delle prospettive.

In altre parole sembra che a prevalere di fatto siano le legittime differenze di opinioni su temi di fede operativi. L’unità dei fedeli è una questione di poco interesse, al momento. Sembra, invece, più rilevante la possibilità di sostenere le ragioni della propria parte. Il pensiero ecclesiologico di fondo che regola questa possibilità, mai espresso ma sempre vissuto, è più o meno così: fino a ché il prete – vescovo – cardinale – papa – non incorre in sanzioni ecclesiastiche, pur avendo determinate idee teologiche e sociali, vorrà dire che, alla fine della fiera, resta comunque cristiano. Anzi, più è osteggiato e più significa che è nel giusto! Perciò la dialettica, anche feroce a volte, non sembra essere precipita come problema da nessuna delle parti in causa. E si da per scontato che la condizione migliore dei rapporti intra ecclesiali sia di tollerare un cristiano la pensi diversamente da noi, ma continuando ad essere convinti che lui non sia davvero un cristiano doc. Ripeto: qualsiasi posizione si abbia sul tema degli immigrati!

Allora però un paio di riflessioni mi sorgono.

1) Questo evidente “conflitto” tra cristiani, su posizioni così divergenti sui migranti, non è forse il segno di una pluralità inevitabile di interpretazioni possibili del vangelo? Forse la questione vera è come concepiamo l’unità dei fedeli. Se è concepita sul modello della uniformità, allora la chiesa stava effettivamente meglio sotto “Pio XII” o sotto “Giovanni Paolo II”. Discussioni dirette ed esplicite come quelle a cui assistiamo ora, sotto questi pontificati sarebbero state impensabili, su temi del genere. Se invece l’unità è concepita come pluriformità possibile, allora forse la Chiesa sta meglio oggi sotto Francesco. Perché, al di là della nostra mancata abitudine ad avere posizioni diverse all’interno della Chiesa, su questioni sociali e concrete, oggi stiamo attraversando un periodo in cui la pluriformità è nei fatti.

2) Allora tutte le posizioni sono cristiane? Non credo. Storicamente per stabilire questo c’è sempre stato il magistero. Ma è molto interessante che oggi, anche il fedele comune si senta coinvolto nella ricerca del confine tra interpretazione giusta e sbagliata. Ma se vogliamo che questo non degeneri in una semplice “sopportazione” del cristiano che la pensa diversamente da noi, dobbiamo assumere, come punto di partenza che la fede sia una relazione con Cristo, prima che un insieme di dati culturali coordinati tra loro. E, come tutte le relazioni, la fede quindi è sempre “work in progress”. Nella storia personale di ognuno, ma anche nella storia comunitaria della Chiesa, la fede evolve, o involve, a seconda della fedeltà o meno all’azione dello Spirito, nella condizione concreta che viviamo.

3) Qual è allora, il minimo sotto il quale, sul tema degli immigrati, possiamo dire che non è più una fede sufficiente? Ripeto: spetterebbe al magistero deciderlo. Ma l’impressione è che anche il magistero sia alquanto diviso al suo interno e che oggi una parola unitaria su questo sarebbe davvero difficile per i vescovi. Propongo allora un esercizio di riflessione pubblica. Perché non provare a vedere su quali affermazioni, circa l’immigrazione, siamo d’accordo come cristiani? Provo a metterne lì qualcuna, dalla mia prospettiva.

  1. a) L’identità cristiana è inclusiva, cioè l’amore di Dio è per tutti gli uomini, senza distinzione di razza, lingua, sesso, cultura e condizione economica.
  2. b) Il cristiano è chiamato all’accoglienza dell’altro, soprattutto se bisognoso perché l’altro è il luogo in cui Cristo ha deciso di incarnarsi e di incontrarci.
  3. c) Se avessimo risorse finanziare e organizzative illimitate sarebbe giusto accogliere chiunque arrivi, senza domandarci perché e da dove arriva.
  4. d) Integrazione significa accettare che la presenza di una persona di cultura diversa dalla mia produca qualche cambiamento anche nella mia cultura.
  5. e) E’ cristiano accettare di ridurre il proprio tenore di vita se questo serve a garantire la sopravvivenza a chi arriva e un tenore della sua vita migliore di quello da cui proviene.

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