Ecco, il Family day è passato. Adesso sarà possibile esprimere un’opinione in merito, senza subire attacchi e reprimende? In questi giorni infatti sui social sembra essere stata sospesa la libertà di parola: chi tentava di dire qualcosa, sia a favore che contro la manifestazione, si è trovato comunque esposto ad aggressioni verbali più o meno aspre. Un clima davvero pesante, nulla di buono per il nostro vivere insieme.
Comunque sia, ora l’evento è passato. Ed è passata anche la domenica, per cui posso scrivere senza fare pubblicità a nessuno (cosa a cui non tengo affatto). Mi spiego: sabato riflettevo tra me, mentre aspettavo mio marito per cena, seduta sul divano a fare distrattamente zapping dopo aver visto le immagini del Circo Massimo, finché da un canale libero del digitale terrestre sono stata investita da una pubblicità angosciante: “Delitti di famiglia”, una serie che “indaga sui misteri legati agli omicidi fra le mura domestiche … storie di famiglie felici e perfette ma con avventure segrete …”. Immagini forti, volti impauriti, colori scuri, sprazzi rosso sangue … niente di bello, ma d’altra parte “ogni famiglia ha i suoi segreti e scheletri nell’armadio, desideri nascosti, crescenti risentimenti, pensieri oscuri …”
– Bel panorama – mi sono detta – proprio perfetto da incrociare oggi, con tutta l’enfasi sulla famiglia naturale – Veniva quasi da dire: “Va beh, ma se la famiglia è questa …”
Neppure il tempo di formulare il pensiero che la scena cambia: immagini luminose, papà che allattano neonati, sorrisi ed abbracci, tutto un parlare di amore e comprensione … stesso canale, che pubblicizza un altro programma: “Di fatto, famiglie”, un docureality programmato per domenica 31 gennaio ed incentrato sulla serena, rosea, amorevole vita quotidiana di famiglie ‘atipiche’, che però condividono con ‘alcune’ delle famiglie tradizionali amore, solidarietà, preoccupazioni per i figli …
Messaggio ricevuto, forte e chiaro: le famiglie ‘atipiche’ sono migliori della maggior parte delle cosiddette famiglie tradizionali, e va garantito loro il sostegno e la promozione culturale, prima e più radicalmente che legislativa.
Non so, sarò io la disfattista, ma ho visto l’inutilità degli sforzi messi in campo dai promotori della ‘battaglia’ (perché questa è l’immagine che è passata) del Family day. Certo, magari è possibile anche che la vincano, oggi: i nostri politici ragionano su parametri di cartelle elettorali e può essere che questa volta la mobilitazione di massa ottenga qualche risultato. Ma (per restare al linguaggio bellico che ci ha avvelenato le giornate) penso che la guerra sia già persa. Sottilmente, quotidianamente, le famiglie ‘atipiche’ vengono sdoganate, si forma un modo di pensare, si plasma un’accettazione sociale.
E noi credenti? Noi che vediamo nel matrimonio tra un uomo e una donna il modo sublime in cui Dio ha deciso di chiederci di collaborare con lui all’opera di creazione del mondo?
Noi dovremmo proclamare il Vangelo della famiglia (non il modello della famiglia di Nazareth, che è altra cosa), dovremmo narrare la storia d’amore che Dio ha con noi, e gioire testimoniando come il suo amore accolto e donato trasformi nel vino della festa anche l’acqua a volte insipida della quotidianità.
E invece ci mettiamo in contrapposizione, alzando i toni contro questo e contro quello, facendoci trasportare dalla foga ad asserzioni che catturano subito l’attenzione mediatica, oscurando quanto di buono vorremmo far emergere – come quando si gioca con i numeri, o si giunge ad affermare, contro il Magistero della Chiesa stessa, che la sessualità è solo per la procreazione.
E’ forse questa la scelta comunicativa più adeguata per raggiungere il cuore delle persone, oggi?
Non sarebbe meglio far risuonare altro?
Come questo, per esempio:
“Nella sua realtà più profonda, l’amore è essenzialmente dono e l’amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (cfr. Gen 2,24), non si esaurisce all’interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre” (Familiaris consortio, 14).