Elogio della pazienza

Per uscire dalla crisi ci occorrono uomini che sappiano manovrare all’unisono gli ingranaggi nella storia, senza pensare di fare da soli chissà che cosa
7 Gennaio 2012

In questo nuovo e “critico” anno ci sarà bisogno di tanti uomini forti, giusti, temperanti e prudenti, ma soprattutto pazienti, anzi “martiri della pazienza”, che sappiano sopportare e portare il peso della responsabilità, sentendosi parte del tutto e giocandosi nella speranza.
Uomini che sappiano manovrare all’unisono gli ingranaggi nella storia, senza pensare di risolvere in un solo colpo le situazioni o di fare chissà che cosa per uscire dalla crisi. In effetti questa è la nostra grande prova, oggi.

Infatti siamo sempre tentati nel presumere che dalla crisi si esca grazie ad uomini “chiave”, che abbiano ruoli risolutivi. Un po’ come sta capitando al povero governo Monti dal quale tutti sembrano aspettarsi chissà cosa! Sappiamo però che così non è! L’unico ruolo chiave nella storia, per chi crede, è di Dio. Il guaio è che a volte questi ruoli “chiave” vengono affidati ad alcuni da persone pazze (quelli che vengono considerati i potenti della terra), che non solo pensano che questi ruoli esistano, ma addirittura presumono di poterli distribuire.
Si cade così in quelle che sono le vere criticità di questa epoca di crisi: l’efficientismo smodato che impone a tutti di essere efficienti per essere inutilmente efficaci; il decisionismo sterile secondo il quale basterebbe la semplice decisione dei più e/o dei pochi “scelti” a cambiare il corso di eventi molto complessi oppure, addirittura, le menti e i cuori di tutti; il conformismo mediocre di chi, sentendosi scelto, ha paura della propria indipendenza di giudizio e si adopera per soddisfare i superiori, credendo così di servire grandi progetti, mentre in realtà serve semplici uomini.

In fondo oggi è troppo comune pensare che la storia sia fatta da tanti piccoli uomini-colonna, i cosiddetti leader, che, scelti dal popolo e/o pre-scelti dai pochi, con il loro impegno sorreggono i destini del mondo e delle nazioni, un poco come le colonne posticce della Santa Chiesa, smascherate nella grotta deserta da Carlo Carretto.
Il passo è semplice: da ingranaggi in movimento nella storia, da rotelline si diventa colonne! Alla fine puntuale arriva il ragionamento: se non mi impegno “io”, il mondo o quella situazione va a rotoli. Ci voglio “io” oppure (con umiltà…) “anche io”, per risolvere questa situazione, per uscire da questa crisi.
Invece così non è, perché impegnarsi è importante, come ci ha ben ricordato Hessel nel suo libricino, però non è risolutivo. Si rischia sempre di trovarsi all’inizio come tanti gabbiani Jonathan pronti a spiccare il volo e alla fine come i tristi e miseri gabbiani “ipotetici” di Gaber, “senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si era rattrappito”.

Mi spiego meglio, aiutandomi con una figura di un vero “martire della pazienza”, Alcide De Gasperi.
De Gasperi era una persona di umili origini ma anche molto orgogliosa. Da giovane nel 1904 ebbe modo di scrivere al fratello Mario: “L’Orgoglio è anche il mio castigo!” Incontrò una persona che vide in lui doti non comuni, avendo poi anche il coraggio di valorizzarlo: il vescovo di Trento, Endrici, suo grande elettore in un sistema elettorale ancora censuario.

Il giovane De Gasperi, grazie alle sue doti ed alla possibilità offertagli, divenne così una colonna del cattolicesimo politico nel parlamento austro-ungarico. Si impegnò con vera passione nella stagione che vide la nascita dei partiti di massa. Fece carriera. Fece risultati. Divenne segretario del partito popolare italiano.
Tuttavia di fronte al fascismo, di fronte ad un re ormai deciso verso il totalitarismo, questa orgogliosa colonna scoprì il suo essere solo una rotellina e fallì. Subì l’onta dello scioglimento del suo partito. Rimase senza sostentamento economico. Subì il carcere, la malattia. Lui, orgoglioso, fu costretto a mendicare qualche aiuto per sé e la sua famiglia. Con l’aiuto di qualche amico compassionevole, venne relegato in una biblioteca, tuttavia continuava ad essere isolato dai potenti, artefici del concordato.
Eppure da quel fallimento, da quella crisi, da quel ventennio di amarezza, nacque il grande statista che alla conferenza di Parigi del 1946 prese la parola sentendo: “che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”.

Nel 1943 era ancora pronto ad impegnarsi e a spiccare il volo, questa volta non da colonna ma da rotella. Ancora oggi non sappiamo se poi “Le idee ricostruttive della democrazia cristiana” siano state scritte proprio da lui! Sappiamo però che De Gasperi, appena la storia gliene ri-diede possibilità si fece trovare pronto con immutata passione e si mise al servizio di un processo politico, coinvolse i giovani di Camaldoli, riuscì a condurli “alla stanga”, sopportò critiche anche ingiuste da persone appassionate, intelligenti ed acute, insomma guidò un processo politico: nacque l’irripetibile esperienza della Democrazia Cristiana. In un decennio l’Italia si risollevò dalla crisi.

Si dice che De Gasperi andasse in giro con “L’Imitazione di Cristo” nella giacca. Francamente spero che un giorno lo facciano santo. Forse forzo un poco, però mi piace pensare che una persona così avesse questo motto: “Ho fatto il mio, il resto è di Dio”.
Un buon motto per iniziare con pazienza questo nuovo anno. Buon 2012 di amore paziente a tutti

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