Si è parlato troppo poco, credo, dell’incontro di un’ottantina di amministratori locali a Trieste, in occasione della 50° Settimana Sociale dei Cattolici. O se ne è parlato male, basti leggere il titolo di “Repubblica”: “A Trieste il manifesto per il ritorno dei cattolici in politica, si riparte degli amministratori locali”. Titolo decentrato, perché non coglie il senso dell’evento, tanto più che i cattolici in politica non hanno bisogno di tornarci: ci sono già, anche se – per fortuna – non c’è un partito cattolico. È cattolico il presidente della Repubblica; è cattolica la presidente del Consiglio e non so quanti ministri e parlamentari, come non so quanti sindaci, assessori, amministratori locali di matrice cattolica si impegnino ogni giorno per il bene comune. Certamente tanti.
A Trieste ce n’erano una ottantina, in un incontro autoconvocato, a cui hanno partecipato anche molti presidenti delle associazioni laicali, oltre al Comitato promotore della Settimana. È così nata la Rete di Trieste, che ha stilato un documento, breve e interessante, che suscita qualche riflessione a margine.
Il primo spunto di riflessione è che si sente la necessità di un dialogo tra i laici impegnati nell’associazionismo e gli amministratori locali. Un dialogo che, come ricorda il documento, ha trovato un momento importante nell’incontro preparatorio del 3-4 maggio, «segnato da un approfondito confronto tra gli amministratori locali e le associazioni e i movimenti in cui è avvenuta la loro formazione sociale». Non è scontato che ci sia: le Amministrazioni locali ancora faticano a sviluppare il dialogo con i cittadini, e ancor di più faticano a tirarne le conseguenze, per esempio nella prospettiva dell’amministrazione condivisa.
Il secondo riguarda quella che il documento chiama “formazione sociale”. Per le associazioni e i dialogare con gli Amministratori significa spesso con persone uscite dalle loro fila, perché è qui che, spesso, si sono formati i laici che poi si sono messi in gioco nelle istituzioni, nell’Amministrazione e nella politica, così come in tanti altri settori della vita sociale. Lo ha detto anche mons. Luigi Renna, presidente del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali, che ha sottolineato l’impegno di «persone che hanno ricevuto una formazione solida nelle associazioni e nei movimenti». È quell’impegno che l’Azione Cattolica – dai tempi della scelta religiosa – ha definito “formare le coscienze”, e che costituisce il presupposto perché ogni laico possa fare scelte consapevoli, ponderate, generose. Ed è quel compito che una Chiesa sinodale non dovrebbe mai sottovalutare, perché anche così si è “chiesa in uscita”: formando persone che poi vanno ad impegnarsi fuori dal recinto ecclesiale, nella società e nella politica.
Il terzo spunto di riflessione riguarda l’importanza di lavorare “dal basso”: «Siamo consapevoli della responsabilità di costruire dal basso e attraverso la concretezza della vicinanza alle donne e agli uomini del nostro tempo nuovi spazi di buona socialità e innovativi strumenti di democrazia che superino la stanchezza di una partecipazione che è oggi davvero ai minimi storici», si legge nel documento. La costruzione del bene comune o parte dal basso, o non è. Ma per partire dal basso ha bisogno di mobilitare «le donne e gli uomini del nostro tempo». E questo non si fa con i discorsi, ma individuando nuovi spazi di socialità e «innovativi strumenti di democrazia», tutti da definire.
Il quarto spunto riguarda la necessità di difendere e nutrire la democrazia, oggi più che mai urgente. Il documento infatti prosegue richiamando le parole con le quali il presidente della Repubblica Mattarella, intervenuto alla Settimana sociale, ha invitato «a realizzare la “democrazia sostanziale” fondata sulla piena realizzazione dei diritti sociali»; e quelle del presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, che ha ribadito «l’auspicio che le importanti riforme che attendono il Paese siano sempre portate avanti fra le parti politiche con quello spirito di dialogo “costituente” che ha caratterizzato le migliori stagioni della politica nazionale e vadano nella direzione – anche con una nuova legge elettorale – di riavvicinare i cittadini al voto consapevole». La democrazia non è una guerra tra parti politiche, un circo neroniano all’interno del quale ognuno deve dimostrare di essere il più forte, ma è dialogo e confronto costruttivo.
Il documento si chiude con l’assunzione di tre impegni concreti per la neonata Rete di Trieste: continuare a fare rete, «lavorando perché nel prossimo autunno sia possibile promuovere un incontro nazionale fra le tante realtà che in questi anni hanno iniziato a lavorare in questa direzione»; fare propri i processi, gli obiettivi e i metodi emersi dalla Settimana Sociale, per declinarli nelle politiche territoriali, con particolare riferimento a: giustizia sociale e innovazione del welfare, sostenibilità ambientale, centralità delle famiglie e della scuola, accoglienza e integrazione, cura e valorizzazione degli strumenti di partecipazione alla vita democratica. Infine, «raccogliere l’invito a fare del magistero sociale di papa Francesco l’elemento unificante per l’impegno dei cattolici in politica».
E di qui nasce il quinto spunto di riflessione: il problema non è se rifare o no il partito dei cattolici o se i cattolici si debbano schierare con l’una o con l’altra delle tante formazioni del nostro arco parlamentare. Il problema è come tradurre in scelte concrete, servizi, progetti innovativi la dottrina sociale della Chiesa e in particolare l’insegnamento di papa Francesco, che chiede una società libera dalla cultura dello scarto e ispirata ai valori dell’ecologia integrale. Nel proprio sito, raccontando l’incontro, l’Azione Cattolica ha scritto che «nessuno nasconde che rispetto alla fatica dei credenti nello spazio pubblico non c’è un’unica ricetta. C’è chi vorrebbe un contenitore nuovo, chi invece pensa sia più utile continuare a lavorare nei partiti». Il problema dunque è continuare a dialogare, liberi da ideologie e schematismi mediatici, per individuare strade nuove, dentro e fuori i partiti. Come ha efficacemente sintetizzato Mons. Renna, dobbiamo darci «la possibilità di costruire non un partito ma uno spartito».
l partiti sorgono e muoiono in poco tempo; originati da accorpamenti di cittadini accumunati da un medesimo stato di bisogno che reclamano comprensione e giustizia a risolvere problemi vitali, aspirano a più’ vero democratico coinvolgimento, quando inascoltati diventano quel popolo che risulta assente tra i votanti quando chiamato a fruire di tale loro diritto. A questo portano anche quei dibattiti accesi dove alle idee politiche convergenti sono invece accuse e critiche reciproche aumentando la sfiducia del cittadino il disinteresse a partiti vuoti di futuro. Molto interessante si direbbe questa cosa nuova, tenuta a Trieste, che nasce dal “basso”, il “fare rete” di iniziative i cui risultati concreti muovono a più vita sociale del Paese., dare Risposte a tutti quei cittadini che non aspirano a essere fruitori di una carita’” ma diventare collaboratori in progetti di sostegno e sviluppo del bene comune, a eliminare un indegno mercato di sfruttamento umano