La nostra è un’epoca di cambiamenti. All’interno del mutamento generalizzato assistiamo all’evoluzione della forma delle nostre istituzioni. Oggi, ad esempio, lo Stato non è più pensabile come il “tappabuchi” delle problematiche della società e dei singoli bensì lo stesso richiede – con maggiore frequenza rispetto al recente passato – il coinvolgimento e il coordinamento dei cittadini. D’altronde la nostra costituzione riconosce e agevola l’iniziativa associativa volta a generare un bene comune fatto ora di servizi ora di volontariato di base. Questa dimensione vitale delle nostre democrazie spesso si tramuta in un’opera di supplenza, all’assenza delle istituzioni in vaste aree del Paese, richiesta più o meno esplicitamente ai cittadini. Così quest’ultimi sono, in molte occasioni, chiamati ad esporsi e a intervenire ben oltre le proprie possibilità. A ciò dobbiamo aggiungere che In Italia, alle recenti elezioni europei dello scorso giugno, ha partecipato il 49,7 per cento degli aventi diritto. È la prima volta che nella storia repubblicana si registra una simile affluenza in elezioni di questo genere.
Ora, al di là delle sensibilità personali e dei desideri individuali di operare a favore del bene comune, siamo chiamati a riflettere su quanto richiede indebitamente ai singoli una retorica ormai diffusa. Infatti non possiamo, e non dobbiamo, confondere quelli che sono i doveri costituzionali dei cittadini con ciò che, invece, è consigliabile. La riflessione etica ispirata cristianamente ci dice che dopo aver fatto il proprio dovere l’individuo può aprirsi alla possibilità – soltanto raccomandabile – delle opere cosiddette supererogatorie. Si tratta di azioni buone non comandabili per dovere ma soltanto consigliate poiché buone. Pertanto nessuna istituzione potrà obbligare un cittadino incensurato a svolgere attività di volontariato di qualsiasi tipo al fine di supplire alla drammatica e radicale assenza dello Stato. Per simili motivi non possiamo impostare le politiche pubbliche – volte allo sviluppo dei territori – sulle volontà dei cittadini che, invece, vanno formate ed eventualmente indirizzate attraverso percorsi educativi e di cittadinanza responsabile. Insomma l’eroismo dei singoli non potrà mai supplire all’azione coordinata ed efficiente delle istituzioni volta alla riqualificazione delle periferie esistenziali e urbane. Nondimeno siamo chiamati sul serio a rianimare il fuoco ardente della partecipazione civica e politica. Rianimare per mettere le personali competenze in una logica di cooperazione al fine di fare quel che si può, fin quando si può. Di conseguenza il tema della partecipazione alla vita democratica del Paese, discusso e proposto alla cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia svoltasi a Trieste, andrebbe sempre connesso ad un adeguato ripensamento tanto delle istituzioni quanto della rappresentanza. Qui la visione evangelica potrebbe – nel pieno rispetto della laicità e della secolarizzazione – illuminare alcune questioni tanto da farci trovare il senso persino dinanzi all’insensato, all’inutile, all’impossibile.
Per tali motivi pare opportuno riprendere la riflessione del pastore e teologo Bonhoeffer il quale, in prospettiva cristologica, sosteneva: «Noi certo non siamo Cristo e non siamo chiamati a redimere il mondo con le nostre azioni e la nostra sofferenza; non dobbiamo proporci l’impossibile né angosciarci per non esserne all’altezza; non siamo il Signore, ma strumenti nelle mani del Signore della storia, e possiamo condividere realmente le sofferenze degli altri uomini solo in misura limitata». Secondo Bonhoeffer, avere responsabilità verso l’altro significa da un lato riconoscere quello che noi possiamo realmente fare, dall’altro vuol dire affermare i nostri limiti e non convincersi di poter risolvere tutti i problemi sociali, politici, economici, spirituali e personali degli uomini che incontriamo. La riflessione del teologo tedesco dà la misura alla nostra azione responsabile nei confronti degli altri: bisogna esser pronti a dare quel che possiamo ma allo stesso tempo occorre ammettere i propri limiti. Inoltre, è opportuno riconoscere l’ora del bisogno impellente dell’impegno da parte di tutti. Un’ora in cui siamo invitati ad esporci al pericolo per l’altro, per la comunità, per il futuro della società umana. L’epoca odierna è un tempo in cui è necessario esporsi al pericolo per l’altro. Ciò è la chiave di volta per intendere l’importanza del ripensare i modelli di cittadinanza da proporre i quali – nell’evitare la retorica dell’eroismo – sono finalizzati a diffondere il senso di responsabilità verso la comunità nella quale si vive.
Qui non si tratta di sottrarsi a una responsabilità, ma di dare una svolta a una escalation che indebolisce entrambe le parti in uno stillicidio di confronti bellicistici come la cronaca quotidiana informa, e non è dato di pensare portino a quel fine da tutti auspicato:” basta bombe e distruzioni” ma dalla propria intelligenza e cuore attingere quel coraggio di superarsi e adire a un confronto costruttivo così come il presente consente senza né vincitori né vinti. La popolazione civile intern.le !ambisce poter riprendere un quotidiano vivere costruttivo, suffragando con la Propria buona volontà ogni sacrificio richiesto. Non si può non convenire sul diritto prioritario che è il bene comune e quale se non di vivere in pace la propria vita? A quale Dio potersi rivolgere se non con questi sentimenti per invocare anche il suo aiuto. Un Vangelo aperto a tutti E’ già stato scritto con sangue di un innocente a testimoniare che solo l’Amore può riscattare il male.
Quante parole per cercare di sostenere la ‘teoria del disimpegno’. Ciascuno metta la sua acqua; tutta la sua acqua. Come il soldo della vedova. E se riesci a farlo solo ogni tanto, accontentati: è la misura della nostra fragilità
……e chiunque cerchi di minare sotto questo diritto sta facendo male a se stesso e alle persone che stanno cercando di trovare Pace in questo conflitto. Se non usciamo moriranno ancora persone e questo crea semplicemente le prossime generazioni che saranno furiose con Israele”. ..Questo e un ragionare non solo da un giovane giovane che non vuole essere mandato a morire per questo risultato! Così appare anche per la vertenza Russia /Ucraina, vera follia a voler prevalere in forza della potenza bellica. Non si troveranno tutti a dover rendere conto ai posteri, se non esiste una Fede, di tanta sofferenza e sangue che ha innaffiato campi da grano, e prati di ulivi e Pascoli promettenti?. Forse merita far udire più forte Voce se i meeting sono indetti per far seguito e operare a essere sostegno non solo di manna ma di quello Spirito che ha fatto agire Cristo stesso il quale ha operato per la vita di molti, ha precorso i tempi di anche l’oggi.
Riconoscere l’ora in cui i problemi chiedono risoluzione e, come è stato per Gesù’ la sua dottrina poneva domande da chi lo ascoltava. Oggi un titolo di pagina: Ius Scholae, lite tra partiti. Ma non dovrebbe essere che la cosa si debba invece discutere con intelligente buon animo, considerando anche non solo il bisogno di braccia a basso costo ma il salvaguardare le leggi del ns. Paese con le esigenze dell’immigrato, al fine di una libera scelta. L’esigenza di solo avere lavoro implica un contratto stagionale, se invece è a vita comporta una richiesta da esaminare più approfondita, ma da parte di tutte le rappresentanze tanto economiche quanto legislative, di cuore e pensiero. Altro problema: le guerre: vanno fermate, sangue innocente grida se non a Dio almeno per rispetto di umanità. “ Siamo tutti coinvolti e non possiamo continuare con la disumanizzazione delle persone di Gaza.Hanno il diritto di vivere esattamente come noi (Da riservista a obiettore di coscienza “?
Non so xchê ma qs msg mi ha fatto venire in mente una Persona,
Sconosciuta a quasi tutti.
Ma non a Lui.
Per quello che va facendo.
Si chiama BARCA.