Mattina presto. Entro al bar per due paste e un bicchier d’acqua. L’unico giornale libero è Repubblica. Non ne sono entusiasta. Ma di spalla un titolo mi occhieggia: Il pugno di Francesco e la lezione di Voltaire. A firma Eugenio Scalfari. Inizio a leggere e d’improvviso quella serie sconclusionata di riflessioni che vado facendo dopo Charlie Ebdo trova un filo rosso.
Scalfari, nel suo articolo sostiene questa tesi: Papa Francesco è un liberale moderato che traduce esattamente le idee di Scalfari stesso. Bontà sua! Ma se è vero, come Scalfari dice, che “uno dei peccati maggiori sta nell’appropriarsi di Dio”, allora sarebbe bene che anche lui non provasse ad andare su questa strada.
Scalfari riassume la sua posizione teologica in queste frasi. “Il bene comune per un liberale è il Bene. Il bene comune, la caritas, l’agape, sono, dovrebbero essere i nostri caratteri distintivi”; “Il valore primario dell’occidente è la libertà”; “Francesco è sorretto dalla fede. Può un uomo di fede essere liberale. Certamente sì”; “Cosa dice il vangelo sul tema della libertà? Che il creatore ci ha riconosciuto il valore del libero arbitrio”; “Cristo ha detto, secondo i vangeli, di porgere l’altra guancia”; “Ma quando l’ha ritenuto opportuno ha preso il bastone e ha picchiato senza risparmio”.
Ora, è evidente che equiparare l’agape al bene comune e ridurre il vangelo della libertà all’esistenza del libero arbitrio, sta sotto il minimo sindacale del cristianesimo. Ovviamente non posso pretendere da Scalfari una visione trascendente di questi valori. Ma lui ne dovrebbe essere consapevole e non “mistificare” la trascendenza evangelica riducendola ad una immanenza ipotizzata la migliore dei mondi possibili.
Perché, per me, sta qui il problema di fondo. Che si mostra nelle ultime due frasi di Scalfari che ho citato. E che si riassume in una domanda oggi terribile: come ci si difende dal male? In una cultura laica in cui il valore massimo sia la libertà, Charlie Ebdo ci ha sputato in faccia, con violenza, questa domanda. Le risposte che ho visto in giro non mi sono piaciute molto.
La prima è quella della opposizione al male. Il male va tagliato via. Si vince opponendosi radicalmente ad esso e allontanandolo da sé, utilizzando la sua stessa forza: la violenza. Una reazione che tutti pubblicamente hanno ricusato, ma che sotterraneamente riaffiora nella visione popolare dello scontro di civiltà e in chi, ha “cavalcato” a suo vantaggio l’atroce dolore di Parigi. In fondo, se vogliamo, anche Dio, dal peccato originale al diluvio universale, mantiene questa posizione verso l’uomo. Ma non ci ricava nulla.
La seconda è quella, mai dichiarata ma molto percepita, e da cui tutti cerchiamo di difenderci, in cui sentiamo che il male non si può vincere. Il male è inevitabile. Bisogna conviverci, sperando che non ci colpisca personalmente. Nipote di un laicismo esasperato che ha corroso ogni senso alla vita, e in cui la libertà è talmente il primo valore da esserne l’unico, senza nessun contenuto, che perciò può assumerli tutti. E quindi di fronte a chi liberamente sceglie di insultare o uccidere non c’è difesa. In fondo, anche il libro di Qolet, se letto da solo, senza riferimento al resto della bibbia, arriva a queste conclusioni nichiliste.
La terza è quella del contenimento del male. Il male, sì, non è eliminabile. Ma lo si può contenere. Va collocato dentro a dei contenitori buoni (regole, istituzioni, strutture) che ne limitano la violenza, pur restando male. Come Scalfari sostiene. E’ la posizione di tanti, che si richiamano ad una risposta “democratica” a Charlie Ebdo. Ma che nei fatti finisce per “militarizzare” e irreggimentare sempre più la nostra condizione sociale. Tutta la storia dell’antico testamento, dal diluvio a Gesù, va in questa direzione. Ma l’esito finale è quello di un cuore “indurito” da parte del popolo eletto. Dell’applicazione “legalista” della legge, che non guarda più in faccia alle persone e che costruisce una ”gabbia” esistenziale in cui l’odio non si smorza, ma si alimenta.
Perché non funziona? E soprattutto perché non è abbastanza cristiana come reazione, che ché ne dica Scalfari? Il laicismo alla francese, in cui le manifestazioni religiose sono escluse dalla dimensione pubblica, è nipote della lotta di Voltaire contro “l’infame”, cioè i gesuiti di allora. Quando qualsiasi cultura si costruisce “contro”, non può pretendere di riuscire a “contenere” il male, perché lei stessa ne è concausa. Quando una democrazia si costruisce solo sul valore della libertà, non può difendersi dalla violenza, perché il sistema stesso genera violenza e discriminazione. Tutt’al più tentiamo di difenderci da una violenza, legalizzandone un’altra.
E non è abbastanza cristiano! Perché da Gesù in poi, Dio non redime il peccatore eliminandolo o chiudendone i comportanti dentro una gabbia di leggi. Ma fa un’azione contraria. Si carica del peccatore. E così ne assume il peccato e lo consuma in un atto d’amore totale, la croce. Che è in grado di recuperare persino l’effetto più radicale del peccato stesso, cioè la morte. Perché quel sepolcro resterà vuoto. Ma per fare questo, certo, la dimensione laica immanente non basta più.
Sarebbe però interessante se, almeno, il laicismo francese riconoscesse che la “liberté” non basta a sé stessa. Che è la “égalité” nella “diversité” che ci renderà liberi. E ciò è possibile se mettiamo al primo posto la grande dimenticata (come diceva l’Abbé Pierre): la “fraternité”. Che, cioè, una laicità che funziona è inclusiva e non esclusiva. E che questo comincia dal riconoscere gli errori a casa propria. Ricorderei a Scalfari che, quando uscì la “Tertio millennio adveniente” di S. Giovanni Paolo II, in cui la Chiesa chiedeva scusa dei suoi errori, rispondendo a Galli della Loggia, lui stesso disse: “I laici non devono chiedere scusa di nulla”, titolando il pezzo: “Il silenzio degli Innocenti”. Ci rifletta, se può.