Per la nostra famiglia era un bel appuntamento fisso nell’agenda di primavera. Finalmente, dopo la lunga sosta a causa della pandemia, qualche settimana fa è ritornato: il pranzo di autofinanziamento della scuola.
Nulla di strano nell’iniziativa, se non che la scuola da supportare è un istituto alberghiero. Per questa iniziativa in cucina ci sono docenti e studenti, docenti e studenti servono in sala, docenti e studenti accolgono gli ospiti. I commensali sono diverse centinaia: preparare, accogliere, servire non è una passeggiata. Eppure, per quanto faticoso, questo sembra essere il contesto che mette gli studenti più a loro agio, probabilmente più delle aule e delle materie un po’ barbose, quelle che si apprezzano solo da grandi. È il lavoro che hanno scelto, vogliono fare bella figura e lo chiamano “Pranzo di gala”.
Ci sarebbero validissime ragioni e motivazioni evangeliche per parlare in questa sede dell’istruzione professionale, la cenerentola nell’immaginario scolastico della società italiana. Ma, inutile negarlo, il tema del pranzo e della festa prende il sopravvento. Lo sappiamo tutti che la festa di nozze è una delle metafore più riuscite per parlare del Regno: inviti partiti e non accettati, l’invito esteso a chi usualmente rimane fuori, la questione dell’abito giusto… C’è poi la festa di Cana, la prima manifestazione del Messia attraverso un segno prodigioso operato da lui stesso. E, per ogni festa che si rispetti, è necessario qualcuno che prepari, qualcuno che serva. Guarda caso, in quel di Cana sono proprio i servitori gli unici testimoni del prodigio.
Ma torniamo al nostro pranzo di autofinanziamento. Nell’anno 2023, il primo dopo la straniante esperienza del COVID, al pranzo di gala è successa una cosa che ordinariamente non succede, e che forse, per le prescrizioni dell’etichetta, non dovrebbe mai succedere: (con un colpo di mano?) l’animatore della giornata ha pensato bene di invitare al centro sala, per ballare, anche i giovani studenti che, in quel frangente, erano incaricati di accogliere gli ospiti e di servire ai tavoli. Anzi, ha aggiunto, farebbero bene ad unirsi ai balli anche i giovani allievi relegati in cucina. Non so come l’abbiano presa i professori che, in cucina e in sala, vigilavano sul buon andamento delle preparazioni e del servizio. Ma, in fondo, non eravamo al Quirinale o a Buckingham Palace, uno strappo all’etichetta ci può stare.
Già, non eravamo al Quirinale o a Buckingham Palace. Chissà che qualche studente prima o poi non finisca per davvero a prestare servizio in qualche sede istituzionale importante. Altri troveranno occupazione in hotel e ristoranti più o meno stellati; altri ancora rimarranno nelle sale ricevimento e nelle pizzerie o trattorie del circondario. Ma una cosa hanno in comune tutte queste situazioni: chi accoglie, chi prepara, chi serve, non fa festa con chi è accolto, è servito, gusta, si diverte. Il personale, in genere, consuma i pasti in orario “ospedaliero”, prima che inizi il servizio. E dubito che, dopo il servizio, qualcuno abbia voglia di ballare e fare festa. I pranzi, le cene, le feste sono “degli altri”. Come diciamo nel lessico familiare, è un “lavoro sacrificato”, locuzione per dire che è un lavoro che impone particolari sacrifici (consentitemi di aggiungere che c’è davvero un tratto familiare autobiografico, perché in questo settore era anche il lavoro di mio padre, per di più sulle navi). Non potevo non pensare che quella situazione di festosa promiscuità costituisca l’eccezione, quasi ingannevole, perché ordinariamente le cose vanno in un modo diverso e il momento di relax e di festa per alcuni coincide con il lavoro per altri, con una distinzione abbastanza rigida.
Tutti questi pensieri mi frullavano nella testa durante il famoso pranzo e mi hanno accompagnato anche nei giorni successivi. Fino a quando, come per un lampo, ho capito che quella situazione non andava considerata con le categorie sociologiche del lavoro e del sacrificio. Ho capito che quella che abbiamo vissuto è stata una situazione escatologica.
Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati (Isaia, 25,12) Una convocazione universale: tutti insieme a banchettare; senza più distinzione di ruoli, immagino; sarà Lui, il Signore degli eserciti, il cuoco? Luca (12,37), lui solo, mi sembra, fa un passo oltre e arriva a dire che il Signore stesso vorrà cimentarsi anche nel ruolo di cameriere: Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
Ma, nel frattempo, che succede? Nei nostri banchetti, nelle cerimonie laiche, pure nelle liturgie, negli organigrammi civili ed ecclesiali, gli organigrammi codificati e i funzionigrammi di fatto, anche nelle dinamiche familiari, i ruoli rimangono divisi. Se lo registra pure il Vangelo nel famoso episodio di Betania tra Marta e Maria, vuol dire che questa divisione fa parte del copione sulla scena del mondo, quello che ci tocca in sorte in attesa dei tempi ultimi.
Nel frattempo, abbiamo anche il precedente del Giovedì Santo e le parole che lo accompagnano (Lc 22,27, ad esempio: Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve). La sapienza del Vangelo va a braccetto con la saggezza umana: chi della vita ha capito tutto sa che per far funzionare le cose, in qualsiasi ambito, è necessario che qualcuno che si alzi da tavola e si metta a servire.
Note sciolte a margine.
1) Ricordo bene i ns pranzi ‘Pasquali’ nella Masseria di nonna.. Quella volta che zio pietruccio arrivò ( in treno + carrozza di S.Francesco…😍) con un agnello in spalla..
2) Succedeva però che la famiglia ‘dominante’ assumeva il Komando, moglie nella distribuzione della carne.. marito nel pontificare sugli errori della famiglia marginale ( oggi tutti in cielo..)
3) secondo voi chi era il vero vincitore del primo premio? Chi serviva in silenzio.
Senza agone, sorry x la suora..😰❣️
4) insisto: la Croce nn è lo Spic&Span del peccato originale, if any, ma la vicinanza di Gesú agli ultimi. Credetemi: neanche Lui ha voluto essere Primo. Ah, come stava bene vicino agli ULTIMI.
Riscopriamo qs Pasqua la Sua Gioia, facciamola nostra.
Eppure sta in mezzo a voi colui che serve. E’ stringente questa “constatazione”, un Cristiano senza Cristo, la Parola di vita, dove può attingere il coraggio di servire, di amare nonostante le avversità in cui una persona può trovarsi di fronte? Si, Gesù è Colui che Serve, del quale essere allievi, perché senza di Lui, senza la sua presenza tutti saremmo persi. A chi ci rivolgeremmo e a quali speranze ancora tendere quando sembra, come oggi essere trascinati in una china da un mondo che non lo vede ? Maria, sua madre, serva dell’Altissimo , serva che corre a essere di aiuto alla parente anziana e madre in attesa, oggi è da sempre presente nel mondo, messaggera della Parola a richiamare noi ad avere fiducia nel Figlio, a incoraggiarci in questi terribili giorni di massacri e di scandali dell’uomo contro se stesso. La Chiesa serva del suo Signore che custodisce e insegna e promuove l’Amore di Cristo nel mondo.