L’irriconoscibile Antonella

"Eh prof. sono cambiate tante cose, ma soprattutto sono cambiata io".
11 Maggio 2012

Stavo uscendo dall’ambulatorio del medico. Dopo tre mesi, ancora una infiammazione che mi perseguita. Umore un po’ giù. La strada per casa è proprio la via centrale del “passeggio” e alle 18 di solito è affollata. Tra la gente incrocio spesso gli occhi di miei studenti, un saluto, a volte una battuta per dire: “Ci sono, mi fa piacere incontrarti”. I visi e gli sguardi di solito li riconosco, anche a distanza di anni, mentre per i nomi sono un disastro!

Poi, distrattamente, uno sguardo mi afferra dall’altra parte della strada. Un crocchio di due ragazze e un ragazzo. Gli occhi che non mi mollano tengono con le mani una carrozzina da bimbo, col cupolino tirato su. E poi la sua voce: “Prof. ciao!!” E raro per me che sia la sua voce a darmi la chiave per capire. Antonella! Mamma mia, irriconoscibile… quanto è cambiata!

Quando l’ho incontrata, cinque anni fa, stava in terza. Non faceva religione. Il nostro rapporto era essenziale, sull’uscio della classe: “Prof. io esco”. “Ok, Antonella, ciao”. Poi, un giorno di pioggia: “Prof, posso restare in classe oggi? Non mi va di uscire”. “Certo, noi facciamo lezione, se vuoi puoi seguire o fare altro senza disturbare”. “Dovrei studiare Inglese, ma non ne ho voglia, comunque sto buona, mi metto in fondo, ok?”. Caso vuole (davvero il caso??) che, dopo aver presentato la questione etica e valoriale sull’aborto, avessi in programma una discussione con la classe. E ovviamente, dopo aver visto l’aria che tirava, Antonella non aveva studiato inglese, ma aveva buttato nella discussione molta della sua rabbia. “La Chiesa non può imporre a nessuna donna di mettere al mondo un figlio se non lo vuole, soprattutto se deve rischiare la vita per farlo!”. Avevo assorbito la sua rabbia e dato uguale spazio a lei come agli altri della classe, senza dare giudizi.

Poche settimane più tardi la sua compagna di banco mi aveva riferito che ad Antonella era piaciuto fare lezione così. E in quarta me la sono trovata quasi tutto l’anno in classe, pur avendo scelto di non fare religione. Presenza stimolante. Una bella intelligenza, che aveva dovuto svilupparsi presto e molto per far fronte ad una madre morta di “overdose”, un padre presente, ma molto “bambinone”. E una sentenza del giudice che l’aveva obbligata in una comunità di accoglienza in cui si sentiva parcheggiata. Gli occhi neri e profondi, contornati da un trucco pesantissimo, dark. Il viso scavato e teso. I capelli che cambiavano colore ogni settimana. Borchie e piercing, di cui uno ad anella nel mezzo del labbro inferiore, spesso con scarponi enormi che quasi la rendevano comica, lei così minuta e “bassina”. 

Ma lentamente la sua voglia di aprirsi e di confidarsi era uscita e in quinta aveva deciso di fare religione. Ed era guerra feroce quando si parlava dell’esistenza di Dio. “Prof. sarà molto deluso quando andrà di là, al piano di sopra non ci abita nessuno, si rassegni! E se ci abitasse qualcuno sarebbe davvero molto colpevole.” Poi un bell’esame di maturità, e dopo… l’avevo persa.

“Prof. Come sta? Che piacere vederla… Guardi, è mia figlia!!”. E mentre lo dice apre un sorriso che le taglia il viso, i suoi occhi ridono di serenità, non ci crede nemmeno lei. Scosto un po’ le coperte e scopro un batuffolo in rosa di 20 giorni appena. Le dico: “Che meraviglia! Mi fa davvero piacere vederti. Cosa fai lavori o bighelloni?”. “No prof. studio, ad Urbino, università di grafica”. “Wow, brava! E il colpevole di questa meraviglia?”. Eh, lui lavora, per ora sta a casa dei suoi, perché non ci sono soldi per sposarci, ma l’idea c’è”. “Oh, ma che è? Mi crolla un mito! Ti sposi??”. “Eh prof. sono cambiate tante cose, ma soprattutto sono cambiata io”.

E’ ingrassata un po’, ma il suo viso è rilassato. Sono spariti i piercing e sul labbro resta solo un piccola cicatrice. Mi prende sotto braccio e mi scosta due metri dagli altri. “Lei non ci crederà, ma ho cominciato a pensare che forse qualcuno, al piano di sopra, c’è e mi vuole bene… Quando ero a scuola avevo una rabbia dentro… ce l’avevo con tutti, col mondo, con me e con Dio. E lo sa, lei è stato un po’ come un filo a cui mi sono appesa per attraversare il burrone. Poi a Urbino ho incontrato Gianni (il suo ragazzo). E piano piano ho sentito che la rabbia se ne andava. E che era bello immaginare di avere una vita normale, con lui. Lei lo sa, la mia non è stata normale. E quando sono rimasta incinta ho capito cosa voleva dire lei quando ci diceva che una vita non si misura, si vive e basta”. Appoggia la sua testa sul mio gomito e dice: “Sono contenta prof.”

Non so davvero come lei sia arrivata fino qui, da quale parte lo Spirito Santo abbia trovato il modo di infiltrarsi nella sua corazza e di consumare dall’interno la sua rabbia. Non è mai entrata in Chiesa e per ora forse non lo farà. Ma nessuno di noi ha l’esclusiva su Dio. E quando mi capita di vedere che Lui lavora comunque, mi viene solo da dire: grazie!

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