Ormai ci siamo. Anche quest’anno la prova si farà. Una volta segnava un confine consistente, e per questo temuto e desiderato al tempo stesso, dagli studenti. Oggi è spesso percepito, da loro, come necessario tributo all’organizzazione scolastica, tanto che anche il nome, rinnovato qualche anno fa, lo dice: “esame di stato”, al posto del giurassico “esame di maturità”. Ma proprio in onore del tasso molto alto di burocratizzazione a cui siamo arrivati, la legge impone di organizzare, nei mesi precedenti la fine della scuola, delle “prove delle prove” d’esame, ciascuna pensata per far sperimentare agli studenti il “come sarà”.
Nella tipologia “B” dell’ultima prova della prima prova d’esame (questa espressione già dovrebbe dirci che qualcosa non va nella scuola!!) una mia collega di lettere ha deciso, tra le altre tracce, di proporne anche una sul rapporto tra i giovani e la fede. E nei documenti offerti agli studenti, da cui partire per sviluppare un saggio breve, fanno capolino il giornalista Massimo Donaddio, il cantante Max Gazzè, il regista Luis Bunuel, un certo Karl Marx, un altro certo papa Francesco, e un docente di religione, il sottoscritto.
Quando la mia collega mi ha detto di questa traccia, ho sperato che pochi, pochissimi, la scegliessero, perché ovviamente non sarei riuscito a resistere alla tentazione di leggere gli elaborati degli studenti. E non perché fossi coinvolto, ma perché non posso certo farmi scappare una occasione così per avere il loro stesso punto di vista, proprio sul rapporto tra loro e la fede. Per giunta proposto da un docente non di religione, che perciò incrocia anche coloro che non scelgono la mia materia.
Come si dice, “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. Su un totale di 54 studenti, di tre quinte, hanno scelto questa traccia in 31. Il 57,4 %. Ovviamente qualcuno dirà che le altre tracce erano “infattibili”. Cosa che ho verificato con gli studenti stessi, che invece mi hanno smentito, incerti nella scelta tra due o anche tre tracce, tutte interessanti. Altri diranno che la citazione di un loro prof. nei testi da consultare ha inclinato la scelta, non fosse altro per una “captatio” implicita. Ma anche qui devo dire che non è così, perché il mio testo proposto è stato quello meno citato tra tutti gli altri (e mi sembra anche giusto!).
Credo che allora, il senso di realtà dei numeri mi obblighi a riconoscere che è proprio il tema proposto ad avere attenzione, perché aperto e sanguinante nella coscienza dei miei studenti. E’ una cosa che per molti altri versi ho già verificato in questi anni. Mi sto prendendo il tempo per leggere gli elaborati dei miei ragazzi. E spero di darne conto qui. Ma già qualche riflessione è inevitabile.
La secolarizzazione è davvero finita. La tendenza culturale di massa a relegare la questione della ricerca di senso e di religiosità nell’ambito delle cose insignificanti è davvero terminata, ammesso che in questi termini ci sia mai stata davvero. E i numeri della scelta dei miei studenti sono solo l’ultimo di una serie di segnali, molto chiari, che da decenni sociologi e filosofi, più autorevoli di me, hanno ben descritto.
Ma c’è una versione più morbida della secolarizzazione, una tendenza culturale a relegare la questione della ricerca di senso e di religiosità nell’ambito del privato, senza possibilità di ricadute sociali e pubbliche. Qui la fede sarebbe sensata, se resta confinata nella dimensione privata, mentre la religione sarebbe assurda, perché espressione sociale della stessa. Anche su questo però, la scelta dei miei studenti denuncia che la divisione tra pubblico e privato, si sta esaurendo davvero. 30 anni fa, dare un tema del genere in una scuola pubblica avrebbe scatenato un pandemonio, anche tra gli studenti stessi. Oggi non solo passa, ma viene apprezzato. Qualcosa deve essere cambiato! E non lo scopriamo ora. Da tempo sappiamo che la post-modernità abbatte questo confine quasi sempre facendo scomparire la consistenza della vita “privata” a scapito della pervasività di quella “pubblica”. Non si esiste se non si appare.
Ma allora mi chiedo: la fine della secolarizzazione cosa lascia sul terreno? Proprio perché il confine tra pubblico e privato sta scomparendo anche sul tema della religiosità, il rischio è che anche qui non si esista se non si appare. La ripresa di interesse sulla religiosità in questa epoca rischia di risolversi sempre più in uno svuotamento, di fatto, della dimensione personale-privata della fede a scapito di uno “sbandieramento”, della propria appartenenza pubblica alla religione. Non a caso i temi più rilevanti su cui si discute, anche su questo blog, ma in generale tra i cattolici, sono proprio relativi ai lati “pubblici” della adesione religiosa: cattolici e politica, cattolici e valori non negoziabili, cattolici e celebrazioni liturgiche.
E la fede? Certo qualcuno dirà che è lì dentro. E’ scontata, se ci poniamo questi problemi. Ecco, appunto. A forza di darla per scontata rischiamo di dimenticarcela e di non coltivarla più, rallegrandoci se gli spazi pubblici per la “presenza” della religione restano o aumentano e rattristandoci invece quando sembrano diminuire. Non è che stiamo perdendo l’essenziale?