Chi lavora con bambini, adolescenti e giovani sa quanto i due anni di pandemia abbiamo provato non pochi di loro, andando spesso a fare da detonatore di situazioni di fragilità, di marginalità e di precarietà esistenziale, situazioni che sono emerse con una frequenza notevole negli ultimi mesi —così dicono tutte le indagini condotte sul tema.
A ciò si somma anche l’ansia generata dalla guerra in Ucraina: altre notizie hanno pesato su un generale stato di debolezza, unendosi poi alle consuete fatiche della crescita, soprattutto laddove i ragazzi sono diventati un terminale sempre più esposto all’individualismo contemporaneo, alle dinamiche disumanizzanti della rete (qui si aprirebbe un altro capitolo sugli effetti negativi che gli smartphone e i social ormai hanno sui bambini — che non dovrebbero certo usarli — e sui ragazzi): fenomeni che frantumano i legami tra i pari e vedono troppo spesso l’eclisse di adulti in grado di accompagnare, filtrare, rasserenare, intervenire. È dunque da salutare con approvazione ogni iniziativa che vede un prendersi carico di tale disagio diffuso: penso, ad esempio, alla Cordata per una Missione possibile, che la diocesi di Milano ha promosso facendo rete con 15 realtà a vario titolo interessate e titolate per un’azione sinergica ed efficace nel campo educativo.
Rimane, tuttavia, il sentore che ogni qual volta si parli di disagio giovanile non ci sia la giusta valorizzazione della figura dell’insegnante, che è il professionista che ogni mattina ha a che fare con studenti di varie età, varie provenienze, in un contesto didattico e relazionale. Sembra, cioè, sempre fuori fuoco il dibattito sul tema giovanile, quando ad ogni piè sospinto, di fronte a un tema di attualità, si invoca l’intervento onnicomprensivo della scuola, senza però poi dare spazio e ascolto all’insegnante, che dovrebbe essere considerato accanto ad altri professionisti, e non certo dimenticato. Così è bene che nella su citata iniziativa milanese sia previsto anche un coinvolgimento della Pastorale scolastica, che è auspicabile sia sempre più centrale nell’intervento sul disagio giovanile (soprattutto quando questo sarebbe da prevenire, da lenire, da individuare, da descrivere). Ed è per questo che mi ha un poco sorpreso, nel numero di Jesus di marzo, che dava conto della Cordata ambrosiana, non trovare nelle varie brevi interviste una parola di un insegnante, insieme ad altri professionisti (forse con l’eccezione di un giovane sacerdote milanese, interpellato però in quando prete che lavora con i giovani e non come insegnante di religione).
Abbiamo già speso qualche parola sulla ‘scomparsa degli insegnanti’ nel dibattito pubblico. C’è purtroppo da dire che anche la Chiesa fatica ancora a cogliere il loro ruolo preziosissimo, andando anche al di là dell’insegnante di religione — su cui ancora gravano incomprensioni, come messo in luce da Sergio Ventura —. Insomma, abbiamo centinaia di migliaia di insegnanti, di vario ordine e grado (e anche di varia preparazione e passione, non c’è dubbio). Molti sono frequentatori abituali delle comunità cristiane. Sarà il caso, anche in questo cammino sinodale, di dare loro spazio, per capire un po’ meglio cosa si muove nelle vite di bambini, adolescenti, giovani, non solo nel trattare del disagio, ma anche per cercare di avere qualche sguardo sul futuro più ancorato alla realtà. Nell’ordinario, non solo nello straordinario di eventi e attività belle, ma rare.
Credo che il : dare spazio anche alla voce degli insegnanti sia cosa importante per il contatto diretto con gli allievi, a cogliere tutti gli aspetti della vita così come realmente la vivono, ed è a partire da questi che si può impostare un modo di far loro conoscere il Vangelo. Permettere dunque di conoscere Cristo non cercando soltanto attraverso la cultura astratta ma per un confronto tra due modi diversi di vivere la realtà quale si presenta quotidianamente. Significa anche così far conoscere una libertà più libera in quanto conscia di valori, di finalità che si aprono come il Vangelo ne fa luce. Nelle Parabole Cristo entra in Sinagoga ed è riconosciuto Maestro da un pensiero che fa luce in riscontro con altri. tanto è vero che oggi c’è una guerra nella quale le Chiese stesse si contrastano, quasi non sia Cristo lo stesso Signore! Ma se la libertà fa liberi, rimane il fatto che questa è anche intesa in modo diverso, appellarsi a chi se non al Maestro ?