” E questo dolore Dio non lo vede?”

Non riesco a togliermi dalla testa che oggi, per evangelizzare, vale di più la pazienza di aiutare a riaprire le domande, che la fretta di dare le risposte che pensiamo siano esatte.
4 Ottobre 2011

Non sono ancora alla porta della classe, in fondo al corridoio, che Vanessa mi assale correndomi incontro: “Prof. le devo parlare.” In quella classe è la prima ora del nuovo anno. Nemmeno li ho salutati ancora. Le dico: “Ok, ma fammi fare l’appello e poi due secondi parliamo”. “No prof. le devo parlare ora, è un mese che aspetto”. Di solito Vanessa è tranquilla, regolare, con sprazzi di allegria e un pizzico di ingenuità. Ha 16 anni, un po’ rotonda, ma nulla di ché. Ma oggi è seria, decisa e sento che il peso che porta è duro. 

“Ok, vieni che ci spostiamo un metro. Cosa succede?”. “Che senso ha prof, che un ragazzo di 16 anni muoia di ictus all’improvviso?” La butta li, senza mediazioni né tentennamenti, secca e dritta come un fulmine nel sereno. “Eh Vanessa, capisco la fretta di parlarmi. Chi è?”. “Un mio compagno delle elementari, siamo stati anche insieme una settimana in terza media. Stava nel garage con suo babbo a sistemare la moto e all’improvviso ha cominciato a dire che stava male, che gli scoppiava la testa, se la teneva tra le mani e urlava dal dolore. Il babbo l’ha portato di sopra, in cucina, l’ha messo seduto e gli ha messo un po’ di acqua fresca sulle tempie. Lui l’ha guardato, ha chiuso gli occhi, ed è crollato sulle braccia del babbo. Morto. Capisce prof., morto!”

Che fatica! Non trovo le parole e sento solo il dolore nero di Vanessa e la sua rabbia per l’assurdità di questa morte. “Mamma mia, Vanessa, che dolore che ti porti dentro”. “Si prof. lei non immagina quanto!”, e mentre lo dice i suoi occhi si allagano e la bocca comincia a tremarle un po’. “Ne ho parlato anche col mio parroco, ma io non riesco a capire, non riesco a trovare un senso a questa cosa, perché non ce l’ha davvero. A 16 anni! Aveva ancora tutto da vivere… No davvero, prof. non ce la faccio.” Abbassa gli occhi e singhiozza. Le metto una mano attorno alle spalle. La porta dell’aula si apre e una sua compagna esce quasi urlando. La fulmino con gli occhi. Capisce e rientra di scatto senza dire nulla.

Le alzo leggero il mento e cerco i suoi occhi: ” Vanessa, lo sento davvero il tuo dolore e mi dispiace un mondo vederti così. Che senso ha? Non lo so, davvero no so darti la parola che stai cercando. La vita a volte è davvero un grande mistero. Ma continuo a pensare che un senso da qualche parte ci sia”. Mi fissa negli occhi, affranta e dolce: “Il mio parroco mi dice che Dio se l’è preso perché era una persona speciale e adesso da lì, dal paradiso, fa del bene a tutti quelli che lo conoscevano. Ma perché allora Dio deve fare in questo modo, perché lascia qui una mamma che apparecchia ancora la tavola per lui, lo chiama, gli lava i panni e tutto il resto, come da vivo? E questo dolore Dio non lo vede?”

“Sai Vanessa, ho un libretto a casa che vorrei mi fosse messo in bara quando morirò. Ci scrivo le cose che non capisco e quando sarò di là spero di poter chiedere a Lui direttamente, se sarà possibile. E la tua domanda sta già scritta li da tanto tempo, e di sicuro glie la farò prima di tutte le altre.  Non lo so davvero che senso ha un dolore innocente. So che io mi sono dato una risposta che per ora mi basta, ma è la mia”. E qual’è, prof?”. “Non credo che Dio decida di volere accanto a sé i più buoni. Credo piuttosto che Lui stesso adesso stia piangendo con noi per il dolore tuo e di chi amava il tuo compagno. E forse spera che tu ti metta davanti a Lui e gli urli in faccia il tuo dolore, la tua rabbia, fino a che dentro di te una luce si apra e tu possa darti una ragione che ti consoli”. “Davanti a chi?”. Davanti a Dio”. “Ah, sì ecco, questo forse serve”.

“Ma perché allora dobbiamo morire, prof?”. “Io credo che la morte faccia parte della vita. Non esiste l’una senza l’altra. Forse sarebbe stato bello vivere una vita senza dolore, senza morte. Ma non è andata così. La vita é limitata Vanessa, non siamo noi i padroni, anche se quasi mai ci viene detto e quindi quasi mai lo sentiamo e lo pensiamo. Non si può scegliere di vivere per sempre, forse ci sarà regalato, ma dobbiamo passare dentro la morte per risorgere. Tu lo senti vivo il tuo compagno adesso?”. “Si, lo sento e sento che forse sta bene, anzi meglio di qui. Sì forse è vero, la vita è davvero così, e la morte è una cosa naturale, ma a 16 anni non riesco davvero a sentirlo”. “Si, hai ragione ha 16 anni è dura. Ma a 16 anni ti basta anche solo una piccola parola e il cuore è pronto a tornare a sperare nel futuro. Prova a chiederla a Lui. Non credo che resterai senza risposta, quella che a te suona, che ti torna e ti mette a posto dentro.”

E’ stato un rientro a scuola da shock… Ma adesso dopo qualche giorno una riflessione riesco a farla. Non credo che Vanessa cercasse davvero la risposta da me. Credo che sperasse di riaprire le sue domande, quelle che pochi genitori o pochi preti o pochi educatori oggi hanno il coraggio di aiutare a far crescere, dando il tempo a Vanessa di sentire e “lavorare” dentro la sua propria risposta. E di vedere che un adulto, prima di lei ci ha provato ad andare su questa strada e qualche fiore è riuscito a trovarlo, anche se era partito cercando il “giardino terrestre”.

Non riesco a togliermi dalla testa che oggi, per evangelizzare, vale di più la pazienza di aiutare a riaprire le domande, che la fretta di dare le risposte che pensiamo siano esatte.

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