Un Cristianesimo di minoranza?

Intervista esclusiva a p. Ugo Sartorio
10 Ottobre 2025

Condivido con i lettori questa mia intervista a p. Ugo Sartorio, frate francescano conventuale e già direttore del “Messaggero di sant’Antonio”, docente di teologia fondamentale presso la Facoltà Teologia del Triveneto, in occasione della recente uscita del suo ultimo libro “Un cristianesimo di minoranza? Sul futuro delle comunità”. L’intervista è stata gentilmente concessa in esclusiva per i lettori di Vino Nuovo.

1) Perché ha scritto questo libro? L’interrogativo di partenza (cristianesimo di minoranza?) è molto diretto e posto senza mezzi termini, con quale intento?

Ho scritto questo piccolo libro nella scia del gran parlare che oggi si fa del futuro del cristianesimo, però in modo perlopiù improvvisato e impreciso. Se la crisi della Chiesa in Occidente è ormai a tutti evidente, quando ci si trova a parlare tra preti, operatori pastorali e laici che frequentano i circuiti parrocchiali, dopo le consuete analisi sconfortanti e lamentele di rito molti prefigurano riscatti futuri: si parla, ad esempio, di calo numerico ma di aumento della qualità della fede; del profilarsi di un cristianesimo di minoranza che potrà contare su delle “minoranze creative”… Sono prospettive che vanno valutate, cosa che cerco di fare con una lettura mirata dell’attuale complessità ecclesiale.

2) Lei delimita la sua indagine alla situazione del cristianesimo in Occidente, per quale motivo?

Perché è il cristianesimo (meglio dire il cattolicesimo) che conosco, nel quale sono cresciuto e nel quale abito. Qui l’interrogativo sul futuro della Chiesa si fa radicale. Molti si chiedono ci sarà futuro, e se sì, quale?, prefigurando panorami declinanti, arretramenti numerici e perdite secche di rilevanza sociale. Siamo figli di una lunga storia, perché in Occidente, dove Gerusalemme, Atene e Roma si sono incontrate, è avvenuta la più profonda e duratura inculturazione del cristianesimo, ma anche – a quanto pare – la più radicale “esculturazione” dello stesso, nel senso che oggi il cristianesimo si trova “a lato” della cultura, espulso dai codici culturali condivisi e perciò guardato con diffidenza.

3) Nel libro, riassume in tre grandi filoni collegati a tre nomi (Rod Dreher, Hans Joas, Christoph Theobald) le risposte che sono state date alla crisi del cattolicesimo contemporaneo. Per quale delle tre parteggia?

Non certo per l’«opzione Benedetto» di Rod Dreher, secondo la quale per salvare il cristianesimo basterebbe innestare la retromarcia e realizzare un salutare “ritorno al futuro”. Condivido invece la prospettiva di fondo di Hans Joas, che cerca di valutare in maniera più completa, e non solo sottrattiva, la cosiddetta teoria standard della secolarizzazione, cioè “più modernizzazione uguale a meno religione”, perché i fatti dimostrano che le cose non sono andate e non vanno in questo modo. Ancora per lungo tempo credenti e non credenti dovranno vivere fianco a fianco, e per farlo dovranno rinunciare ognuno alla visione ideologica che hanno dell’altro. Detto con più precisione, i primi dovranno prendere congedo dall’idea, in cui si sono troppo a lungo cullati, che la mancanza di religione porti direttamente alla decadenza morale, d’altra parte i non credenti critici nei confronti della religione dovranno ricredersi sul fatto che il cristianesimo sarebbe soltanto un fenomeno contingente.

Apprezzo in particolare il modo di guardare al futuro del cristianesimo del teologo gesuita franco-tedesco Christoph Theobald. Non fa della futurologia, ma invita a costruire, per quanto possibile insieme, un presente che abbia futuro, dando fiducia alle risorse che ci sono e utilizzando la forza propulsiva che il concilio Vaticano II ancora sprigiona. Theobald parla di un bivio che sta davanti a noi ancora oggi, o fedeltà creativa al cammino di Chiesa che i Padri del concilio hanno indicato, o irrigidimento fino allo scontro con un mondo che si fatica a leggere come luogo di salvezza. Si deve rimanere nella linea della Ecclesia semper reformanda, cosa che papa Francesco ha tentato di fare innescando una salutare sinodalizzazione della Chiesa.

4) Ma veniamo alla questione della “minoranza”. Il cristianesimo è o non è minoranza oggi nella società civile?

Rispondo con un paio di controdomande: minoranza rispetto a quale maggioranza? Minoranza numerica o “minorità sociale”? Stiamo infatti parlando della prima religione del pianeta con 2,5 miliardi di fedeli, e della più numerosa confessione cristiana: i cattolici sono attualmente 1,4 miliardi (il 17,7% della popolazione mondiale). Nella nostra Italia, poi, si definiscono cattolici il 71,1% dei cittadini. L’ultima parte del libro entra di petto nella questione per quanto riguarda casa nostra, e lo fa commentando una preziosa indagine (dell’ottobre 2024) curata dal Censis in collegamento con l’Associazione Essere-Qui, un gruppo di circa quindici donne e uomini di cultura e pensiero convinti che la cultura cattolica abbia ancora molto da offrire allo sviluppo umano, sociale ed economico del Paese e dell’Unione Europea. Si tratta di un’Associazione – di cui è presidente il sociologo Giuseppe De Rita, noto per i suoi molteplici studi sulla società italiana – che si propone di accompagnare la “Chiesa in uscita” con riflessioni ad hoc.

5) Ci può parlare brevemente di questa ricerca? Cosa sta succedendo alla fede degli italiani e come sta cambiando il loro rapporto con la Chiesa?

Prima di tutto i dati. Dicevamo del 71% degli italiani che si dichiarano cattolici, che però vanno rapportati al 15,3% dei praticanti. Se si sceglie il criterio «prestazionale» (delle funzioni e dei riti), i cattolici sono senza appello una minoranza, mentre se si parla del “riconoscersi” nell’alveo cattolico (cioè di voler continuare ad appartenere a una comunità senza frequentarla), le cose cambiano perché succede allora che «i cattolici sono tanti». Ed è a questo punto che la ricerca in questione introduce il concetto di «zona grigia», che a ben guardare interessa quasi un italiano su due, insieme lontano e vicino, fuori ma anche dentro, critico e insieme sintonico, distante e nostalgico, non però nel senso di vagheggiare un qualche ritorno.

6) Potrebbe definirci meglio questa «zona grigia» e mostrarci eventuali vie di avvicinamento da parte della Chiesa “ufficiale”?

La “zona grigia” di cui parla la ricerca sopra citata indica quella moltitudine di italiani che ha una qualche radice nel mondo delle parrocchie, delle associazioni e del volontariato cattolico, e che in qualche modo, per i più svariati motivi, ha preso le distanze dalla pratica cristiana, soprattutto liturgica. Questa “zona grigia” non nutre ostilità nei confronti della Chiesa, anche se non ne condivide alcune opzioni (più spesso quelle che riguardano la sfera morale). Ora, per la Chiesa questa “zona grigia” potrebbe essere un’opportunità, ma per quanto tempo ancora visto il rischio che essa lentamente ma inesorabilmente evapori? Qui si gioca in buona parte il futuro della Chiesa (italiana ma non solo), nel senso che la tentazione potrebbe essere quella di rinchiudersi nel ghetto dei “pochi ma buoni”. D’altra parte, la «zona grigia» potrebbe diventare occasione di dialogo, sinergie, cammini condivisi, attraverso il vissuto di una “Chiesa in uscita” non col solo fine di portare dentro quelli che sono fuori (questo può accadere, ed è bello quando accade!), ma di costruire insieme il futuro di tutti. Stiamo passando dalla visione di una Chiesa che conteneva il mondo, sul presupposto che il mondo “buono” si trovasse nella Chiesa, alla Chiesa ospitata dal mondo e in questo davvero come “segno” anche quando non “luogo” di salvezza.

7) Come legge il dato di individualismo spesso emergente in coloro che ancora partecipano assiduamente alla vita della Chiesa?

Il termine individualismo è ambiguo, soprattutto per il fatto di contenere un retrogusto moraleggiante. E poi, chi di noi non si prende cura del fatto di essere “individuo” (dal latino individuus, che significa “non divisibile”) e quindi portatore di una sua unicità? Preferisco parlare, come fa oggi la sociologia, di individualizzazione, nel senso che ognuno cerca nella vita percorsi adatti a sé; come pure, insieme a Charles Taylor, di «individualismo espressivo», per cui ci si orienta ai valori – con il dovuto sacrificio – non trascurando al contempo la realizzazione di sé nella ricerca della propria autenticità. Tutto questo accade anche nelle file dei fedeli che frequentano le chiese, che si ritagliano un cristianesimo su misura. È sempre più difficile fare comunità, credere “insieme”, condividere la stessa fede… ma non impossibile, perché molti lo fanno.

8) Che possibilità ha oggi, secondo lei, la Chiesa nel riconnettersi alla “spiritualità personalizzata e meno istituzionalizzata” che si sta diffondendo?

Se un tempo la spiritualità era il cesello della vita cristiana, quasi un suo sviluppo nella linea dell’approfondimento e del perfezionamento, oggi la spiritualità è il punto di partenza, la tensione che sta alla base di tutto, anche se molte volte in modo confuso e frammentario. Il passaggio evidente non è più dalla religione alla spiritualità, bensì dalla spiritualità alla religione, soprattutto per i giovani, come dimostrano molte indagini sociologiche. Se questo è vero, non si può più diffondere la fede con il megafono, magari aumentando il volume, bensì alzando delle robuste antenne in grado di intercettare i molti cercatori dell’oltre. Non è facile, mi rendo conto, perché nella Chiesa siamo abituati ad inquadrare, a mettere paletti e a dettare regole, per cui o sei dentro o sei fuori, o sei dei nostri o non sei. Ci sono e ci saranno sempre più figure ibride e spurie di fede di cui dobbiamo imparare a prenderci cura.

9) Il concetto di “minoranza” che emerge dalla ricerca da lei citata come si lega al cammino sinodale?

Innanzitutto, quello della sinodalità non è un tema tra gli altri, bensì il tema della Chiesa in cerca della propria identità più vera, una Chiesa nella quale tutti sono soggetti attivi e responsabili. Insomma, la sinodalità scommette sul coinvolgimento e sulla partecipazione, perché ognuno possa esprimersi con la sua voce, camminare con il suo passo, contribuire con le proprie idee. La sinodalità non è comunque questione di numeri, bensì di qualità, e tra l’altro l’espressione evangelica che la definisce è molto esplicita: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). L’importante è che nel mezzo ci sia il Signore, perché è la sua presenza a fare la differenza, non il fatto che si tratti di un gruppo sparuto o di una folla. Il cammino sinodale, in ogni caso, è un cammino “inclusivo”, di una minoranza in Italia certamente non piccola e non insignificante, una minoranza che vuole essere e restare comunque “aperta” e “a favore di tutti”.

10) Personalmente, come vede la Chiesa del futuro? Quali speranze a partire dallo sguardo ai giovani di oggi?

Questa è la domanda più difficile, perché ognuno di noi proietta nel futuro i suoi desideri e ci vede quello che vorrebbe vedere. E poi, di quale futuro stiamo parlando? A cosa stiamo pensando, alla Chiesa del XXII secolo o tra una decina d’anni? Nel primo caso c’è ben poco da dire, nel secondo anche. Ricordo che negli ultimi cinquant’anni i grandi cambiamenti sociali non sono mai stati intercettati in anticipo, com’è accaduto con la protesta giovanile che sta sotto la sigla del ’68, una protesta che scoppia proprio quando si teorizzava il disinteresse dei giovani per il sociale e il politico; oppure all’occupazione della scena pubblica da parte del mondo islamico iniziata con la salita al potere di Khomeyni nel ’79; ma anche alla caduta del muro di Berlino nell’89 e alla crisi finanziaria globale del 2007; per non dire della pandemia provocata dal Covid-19 (2020) che ha messo in ginocchio l’intero pianeta. Per quanto riguarda le religioni, poi, negli anni ’60 la teoria della secolarizzazione era piuttosto radicale e prefigurava un loro veloce tramonto, cosa che non è avvenuta; così come non si è dimostrata convincente, a cavallo del passaggio di millennio, la tesi del «ritorno del sacro». Il concilio Vaticano II, per fare un altro esempio, è stato un vero fulmine a ciel sereno, voluto da Giovanni XXIII e cresciuto nei quattro anni della sua celebrazione, con frutti di cui godiamo anche oggi. Non mi azzardo quindi a delineare la Chiesa del futuro, perché si tratterebbe di un esercizio retorico; potrei dire come la desidero, ma questa è un’altra cosa; penso che invece di sprecare energie per delineare la Chiesa del futuro, siamo chiamati a costruire insieme – come detto sopra – un presente che abbia futuro.

La prospettiva “a partire dai giovani” è la più delicata e difficile da intercettare. I giovani di oggi non sono né peggiori né migliori di quelli di ieri, crescono e cercano il loro posto nel mondo e nella Chiesa. Desiderano trovare il loro modo di credere, senza ripetere il passato, e hanno un approccio alla spiritualità diverso da quello delle generazioni precedenti. Vanno perciò avvicinati come risorsa e non come problema, e per la Chiesa possono rappresentare una vera e propria profezia.

 

4 risposte a “Un Cristianesimo di minoranza?”

  1. Andrea Cavallini ha detto:

    Molto belle l’intervista e le parole di Sartorio. Ha ragione nel dire che non si può delineare la Chiesa del futuro, ma solo costruire un presente che abbia futuro

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E questa sera in Piazza San Pietro, così gremita per la recita del S.Rosario davanti alla statua della Madonna di Fatima, illuminata dalla luce del tramonto ha offerto una bellissima immagine di Chiesa orante, che si dimostra fare attento l’orecchio all’ascolto del Santo Padre Leone XIV, il Pietro di oggi dialogante con il popolo in ascolto. Che addita sempre a guardare al Signore Gesù Cristo, sempre presente nel mondo oggi così travagliato da problemi di non facile soluzione. Ed e proprio per questo che ci rivolgiamo supplicanti come tutti coloro che Nella sua vita terrena ha incontrati per le vie della Palestina, e guariva i loro mali, e istruiva gli Apostoli nella Fede in un Dio che amava l’uomo così come egli e’, bisognosi del suo aiuto, a renderci sensibili all’ascolto della voce del cuore..In questa cornice la Chiesa è apparsa da non potersi contare, il mondo in ascolto del Dio presente come quello antico a imparare come saper vivere nella e della Sua Pace.

  3. Pietro Buttiglione ha detto:

    Finito di leggere di Gil Scquizzato
    ” il Dio che non è Dio’.
    Unico appunto: troppi etimo..
    La sua critica fondamentale è all’antropomorfismo pervasivo.
    Quindi il Dio dei mistici, l’indicibile.
    Ma imo emerge anche come una religione totalmente LAICA sarebbe la più accettabile dal “FUORI” e fruttifera perché ridotta al kerigma della Parola, senza le varie ristrutturazioni dei secoli successivi.
    E io credo che potrebbe davvero cambiare il mondo.

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    Letto.
    Una?
    SE un gruppo di minoranza, per giunta diviso e senza ‘carica’, passa notti e giorni e studi ad interrogarsi su SE STESSO…
    Dove approderà??
    Forse ai valori di Joas?
    PS.
    Salvo il § dove …2 o +…
    Ma invito caldamente tutti a guardare il FUORI: è lì che si gioca il NS futuro.
    Preciso:
    Il futuro dell’Umanitå.

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