Sinodo sulla sinodalità: abbiamo scherzato?

A pochi giorni dal primo "redde rationem" sinodale, proviamo ad immaginare quale sarà il contenuto del Documento di sintesi finale...
25 Ottobre 2023

Oggi, mercoledì 25 ottobre, sarà pubblicata la Lettera al popolo di Dio dei padri e delle madri sinodali. Sabato 27, invece, verrà diffuso il Documento di sintesi. Riguardo al contenuto di quest’ultimo, il card. Aguilar Retes ha affermato che «se si mette in pratica quello che è stato discusso e vissuto, ci sarà un percorso da compiere». Possiamo quindi immaginare che in quei tavoli circolari e concentrici non si è giocato né scherzato. O, almeno, non solo…

Siamo noi, allora, che possiamo giocare ad immaginare cosa emergerà sabato dalle «tante idee e contenuti che sono stati messi sul tavolo» (T.Söding). E lo facciamo rivolgendo lo sguardo a quelle “mastodontiche” schede di lavoro allegate all’Instrumentum laboris (IL). In esse, probabilmente, c’è già molto (tutto?) di quello che potranno aver definito i lavori sinodali per quanto emerso dai briefing giornalieri: più chiarificazioni di problemi e percorsi di approfondimento che soluzioni o risposte (se non in forma appena abbozzata).

Cominciamo dalla prima parola-chiave: la comunione (cfr. B1).

Che si tratti di giovani, di poveri (profughi, migranti e rifugiati, bambini di strada, persone senza dimora, vittime della tratta di esseri umani, ecc.), di divorziati e risposati (o in matrimonio poligamico), di persone LGBTQ+, con disabilità o variamente discriminate (per motivi razziali, tribali, etnici, di classe o di casta), di vittime di ogni forma di abuso, di persone, gruppi o movimenti che non appartengono alla Chiesa cattolica (gli altri cristiani, le altre culture e religioni, le ideologie secolarizzate, ecc.), il nodo della questione è se i padri e le madri sinodali acconsentiranno (o meno) alla proposta secondo la quale nella Chiesa si può «imparare» da queste persone: da coloro che rispetto al noi ecclesiale sono gli altri.

Il passaggio è problematico perché richiede, non solo di «non lasciare indietro nessuno e di essere capaci di andare al passo di chi fa più fatica», ma soprattutto di riconoscere che non abbiamo – o non siamo posseduti da – tutta la «verità». Con la conseguenza che il compito di un credente non può esaurirsi nel riversarla sul o nel prossimo – spesso mediante un fiume di parole – ma comporta anche il dovere di «riconoscere il bene che c’è nel mondo», di comprendere (e provare ad accogliere) come «doni» le «tradizioni» degli altri: «se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (EG, 246), avendo «fiducia nel fatto che lo Spirito agisce in ogni cultura, rendendola capace di dare espressione alle verità della fede cristiana».

Certo, questi doni non debbono essere avvelenati (come in una «forma di colonialismo»), ma non si può escludere che essi siano positivamente, mutuando dalla saga di Harry Potter, dei doni della morte. Espressioni come «unità trascendente nella diversità» o «profondità della nostra interconnessione», difficilmente avrebbero senso se nelle comunità ecclesiali non fosse presente «la disponibilità ad abbracciare la dinamica pasquale di morte e resurrezione anche rispetto alle forme concrete che assume la vita della Chiesa».

Senza tale disponibilità al «cambiamento» non avrebbe neanche senso chiedere l’istituzione di ministeri «artigiani» della riconciliazione e della pace, oppure di «ascolto» e «accompagnamento»: tutti fondamentalmente «“traduttori” (…) che aiutano a creare ponti tra religioni, culture e persone». Così come, senza tale disponibilità, avrebbe poco senso la richiesta di aprire a livello di Chiese locali alcuni «spazi» di dialogo franco – e anche di disaccordo, conflitto, tensione ed incomprensione (con l’accortezza di non frammentare ulteriormente il tessuto relazionale ecclesiale) – ma dinamico e costruttivo, se non addirittura profetico.

In effetti, in merito alla vexata quaestio della modificabilità e/o dello sviluppo della dottrina (su cui è tornato l’altro ieri anche il card. Schönborn), nell’introduzione alle schede di lavoro allegate all’IL si afferma in modo molto significativo che il fatto per cui «alcuni interrogativi emersi dalla consultazione del Popolo di Dio riguardano questioni su cui già esiste uno sviluppo magisteriale e teologico (…) non può essere liquidato sbrigativamente», ma «deve essere oggetto di discernimento e l’Assemblea sinodale è un ambito privilegiato per farlo». Soprattutto se «il ripresentarsi di una domanda fosse il segnale di un cambiamento della realtà o della necessità di un “traboccamento” della Grazia, che richiede di tornare a interrogare il Deposito della fede e la Tradizione viva della Chiesa». Così sia!

[1^ parte]

2 risposte a “Sinodo sulla sinodalità: abbiamo scherzato?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Forse in un tempo come questo dove l’uomo e estasiato di fronte ai successi che l’intelligenza gli ha permesso raggiungere, si è incamminato, a scoprire vie nuove , mondi nuovi, le leggi dell’universo e di altri pianeti da sfruttare per se stesso, per i propri fini, non si è accorto di essersi impoverito moralmente, diventato schiavo di passioni che hanno imbruttito il suo spirito reso capace di uccidere un proprio simile da belva. Questo è ciò che si sta vivendo, senza opporre adeguata resistenza, pretendendo e convinti capaci di fraterna accoglienza con i ns.limiti!! Ma Cristo non ha perso tempo, ha parlato facendo! Non ha indicato chi ha ragione o torto, ma di deporre le armi perché è la vita quella che serve all’uomo per redimersi. E non si manda a morire tanti esseri umani in nome giustizia o libertà. Cristo si è consegnato per salvare l’umanità, ha insegnato che la vera legge e non uccidere il proprio fratello. Oggi urge fare questo vangelo

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Causa Covid forse non andró domani all’Assemblea Diocesana, xció lo a ppunto qui.
    Se, e solamente SE, ci si rendesse conto della Realtá, della GRAVITÀ’ del momento,
    del DEGRADO ns interno e dei bisogni/ansie/baratri di umanitá che ci circondano… Beh. Lasciatemi dire che la storia delle Veritá da difendere nelle ns Tradizioni mi fa ridere&piangere: semplicemente NON si é ancora capito/visto/resi conto della SITUAZIONE.
    Come pure quel discettare sulle Veritá degli altri e sulla ns aulica loro accettazione.
    Imo a conclusione del Sinodo basterebbe declinare UNA sola Parola: UMANITA’
    Quale??? Alzare il Crocifisso.

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