Quello che il papa non dice

Non è in questione la paura di perdere la verità, contro il coraggio di regalarla a tutti.
1 Ottobre 2013

Ho letto con attenzione il discorso del Papa ai catechisti e ho ascoltato in diretta l’omelia della messa in occasione del loro incontro mondiale nell’Anno della fede. E poi ho cercato di mettere questi due discorsi sullo sfondo di tutto il dibattito intra-ecclesiale (anche su questo blog) sulla nuova evangelizzazione. E ho visto che a farmi pensare non sono tanto le cose che il papa dice, ma quelle che non dice.

Innanzitutto non dice nulla sulla questione della conoscenza delle verità della fede. Possibile che sia stato così distratto? Che non dia nemmeno una indicazione su questo tema? Che sembra a volte essere il nodo essenziale con cui la Chiesa lotta, perché la sua verità non è più data per scontata nel mondo di oggi. In realtà un piccolo accenno c’è. Nell’omelia dice che nell’annuncio bisogna trasmettere “la dottrina nella sua totalità, senza tagliare, né aggiungere”. 

Ma che indicazione è? Questa è una affermazione di uno dei fondamentali compiti della Chiesa. E’ valida per ogni tempo e per ogni ambito. Non dice nulla sul come, sul cosa privilegiare, su quale gerarchia tra le verità sia quella più adatta all’oggi, su quale tipo di filosofia sia meglio “appoggiare” la ricerca di una credibilità per la Verità della fede. E stiamo parlando di un incontro mondiale dei catechisti!! Che non hanno a che fare solo con bambini, ma anche con adulti e con uomini di cultura!! Eppure il papa non dice nulla su questo. Anzi, in due passaggi del discorso ai catechisti che si presterebbero bene a ciò, quando parla del kerigma ricorda il centro del Kerigma e dice semplicemente che è un “dono”, che come è stato ricevuto va ridonato. Nulla di più.

Non c’è insistenza sulla necessità di far fronte al “relativismo”, di tornare a dare “ragione” della fede. E dire che nell’omelia è ben chiaro che il papa sa bene quale è la condizione della cultura attuale, dandone un giudizio pesante, parafrasando Ger. 2,5: “Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità”. Perciò non si può dire che il papa indulga o ceda alla cultura dominante. Eppure il centro del suo insegnamento, sia nel discorso che nell’omelia, stanno da un’altra parte. 

Secondo. Il papa non dice nulla sulla necessità di difendere la fede rispetto alla cultura dominante e sulla percezione che la Chiesa sia sotto attacco nel mondo, da parti diverse. Come è possibile che non si renda conto che in Africa e in Asia stanno massacrando i cristiani per la loro fede? Che in Europa e nel mondo occidentale le basi della cultura cristiana siano corrose dagli acidi della post-modernità? Eppure è lui stesso a segnalare, nell’omelia, che la cultura attuale, facendo della “spensieratezza” un obiettivo a cui sottomettere tutto, finisca per avere come centro il proprio benessere e così perda l’identità, il nome, non sappia più chi è. E ancora lui ci segnala, nel discorso, che la persona “rigida”, ferma dentro ai propri schemi mentali, chiusa nel proprio orizzonte ideologico o teologico, non può richiamarsi a Dio per giustificare le proprie azioni (anche quelle violente), perché “Dio non è chiuso, non è rigido!”. Non è quindi che il papa non si avveda di questa situazione. Ma non ritiene necessario spendere nemmeno una parola per metterci in guardia da ciò.

Anzi, su questo sembra andare nella direzione opposta. Ci invita a non preoccuparci per nulla di ciò, ed ad uscire da noi e andare nelle periferie del mondo. Ma come? In una situazione di assedio e di corrosione dei fondamenti culturali dovremmo mollare la difesa e andare incontro all’altro? Come fa a non rendersi conto che si rischia di scomparire e di essere travolti? Verrebbe da dire: caro Francesco, un po’ di prudenza! Ma lui invece, citando Giona, addirittura sembra voler scardinare il fondamento di questa nostra paura, cioè che il cristiano abbia qualcosa da difendere. “Giona non se la sente. Andare là! Ma io ho tutta la verità qui! Non se la sente”. Ho tutta la verità qui! Come faccio a metterla a rischio? Devo difenderla! Nella mente del papa in ballo cioè non c’è la prudenza contro il coraggio. Anche qui il centro sta da un’altra parte.

Terzo. Il papa non dice nulla sulla questione dei linguaggi, che spesso viene indicato come uno degli ostacoli per l’efficacia della catechesi. Eppure lui stesso è la dimostrazione vivente del tentativo di cambiare linguaggio e di rendersi più comprensibile all’uomo di oggi. Ormai questo lo vedono anche i muri! E allora come mai parlando ai catechisti non si preoccupa di dare indicazioni sui linguaggi, quali siamo più efficaci, quali da cambiare, quali da valorizzare? In realtà nel finale del discorso dice che il catechista deve saper cambiare per adeguarsi alle “circostanze” nelle quali annuncia il Vangelo. E in chiusura richiama “l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo”. Ma anche questo suona come una ripetizione di un “mantra” che da molto aleggia nella Chiesa. Certo il papa non dice nemmeno di assumere il linguaggio di questa cultura, con buona pace di chi la pensa diversamente. Anche qui il papa mette al centro un’altra cosa.

Cosa mette al centro? A partire da Gesù Cristo mette al centro ciò per l’uomo di oggi è il centro del problema della fede. Non è in questione la verità della fede, è in questione il fatto che questa verità riesca a “scaldare” il cuore, cioè “attiri” le persone. Citando papa Benedetto, Francesco dice: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. Non è in questione la paura di perdere la verità, contro il coraggio di regalarla a tutti. E’ in questione che la Verità non è già tutta qui, dentro il nostro schema mentale! E che Gesù ci aspetta nelle periferie in primo luogo non per farsi amare e soccorrere da noi, ma ci precede lì per rivelarci altre parti della sua Verità! Non è in questione la necessità di assumere i linguaggi del mondo, ma di stare davanti a Gesù nell’eucarestia e nelle persone delle periferie per farci “guardare” da Lui, perché in questo noi impariamo i linguaggi che servono oggi. Non è in questione la trasmissione di alcune idee che possiamo tirare fuori dalla Bibbia e dalla tradizione della Chiesa, ma di fare memoria a noi stessi e agli altri delle grandi opere che Dio ha fatto nella nostra vita. 

Ma riusciamo davvero a vedere che ne ha fatte?

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