Probi viri e dintorni

Probi viri e dintorni
25 Ottobre 2019

Per chi non ha pregiudizialmente cassato il sinodo sull’amazzonia, e prova a seguire le discussioni e i temi che sembrano essere caldi, la questione della possibilità di far accedere all’ordine sacro probi viri, cioè uomini sposati di provata fede (e anche donne) appare centrale. In tutta onestà non credo che lo sia davvero, ma almeno in termini di news e commenti sui social sembra esserlo.

La grande motivazione avanzata da più parte è quella della mancanza di preti nella zona amazzonica. I dati dicono che il rapporto medio mondiale tra sacerdoti e battezzati si attesta, nel 2017, a 3170 fedeli per ogni prete. In Europa tale media si attesta attorno ai 1650 fedeli per prete, ed in Italia ci attestiamo attorno ai 1100. Per l’amazzonia non esistono dati precisi, ma una stima probabile indica una presenza complessiva di cattolici attorno ai 6 milioni di persone e di circa 800 sacerdoti, per un rapporto di circa 7500 persone per prete.

In Amazzonia perciò vi sono meno della metà dei preti rispetto alla media mondiale, e ben 5 volte in meno rispetto alla condizione europea. La mancanza di preti perciò è reale, se si prende come modello di riferimento la gestione della pastorale ordinaria europea, in cui il prete è quasi sempre ancora il “fac totum” della comunità. In tutta onestà io credo che questo modello abbia già ampiamente dimostrato la sua inefficacia e la poca capacità di far presa sulle persone reali di oggi. Allora la domanda per me sarebbe: dobbiamo allargare la base di chi può essere ordinato sacerdote o dobbiamo provare a mutare modello di gestione pastorale?

Sono d’accordo con Simone Sereni, che su fb indica come il rischio di allargare la base potenziale dell’ordine sacro senza cambiare modello pastorale rischia di essere un boomerang, soprattutto in relazione al clericalismo. Se il prete continua ad essere pensato come centro e somma di tutti i carismi, come riferimento concreto di ogni scelta pastorale di ogni laico, come il “dominus” assoluto della parrocchia, anche probi viri e donne rischierebbero seriamente di finire fagocitati da questa stessa prospettiva di lettura del proprio ruolo.

Diciamo la verità: il modello ecclesiale del Vaticano II non è mai stato veramente attuato, e lo sbandierato sacerdozio comune dei fedeli è rimasto di fatto solo un concetto. Ciò anche perché, lo stesso concilio, sceglie di leggere il sacerdote essenzialmente come “persona Christi”, cioè ri-presentatore reale di Cristo alla comunità, mettendo in ombra totalmente il suo essere “persona “Ecclesiae”, cioè ri-presentatore reale della comunità di fronte a Cristo. E’ evidente che lui è entrambe le cose, ma spostare l’accento sulla prima non favorisce la valorizzazione della comunità come insieme di battezzati che hanno tutti un sacerdozio comune da vivere.

Anche la riforma liturgica del concilio, che ha posto il prete dall’altra parte dell’altare, “in front of” assemblea è stata inesorabilmente concausa della separazione tra sacerdote e comunità. Con ciò non vorrei ritornare alla messa tridentina, ma se non cambia il contesto ecclesiale e la dinamica di fondo dei rapporti di potere nella Chiesa, probi viri ordinati e donne prete non sono la soluzione.

Metto lì una provocazione. Come hanno fatto i cattolici giapponesi tra il 1641 e il 1843, durante la fase del “paese blindato” in cui nessun prete aveva potuto restare presente? Come fu possibile che nel 1850, i primi missionari gesuiti ammessi in Giappone trovarono, con loro grande sorpresa, gruppi di cattolici che avevano mantenuto la fede con la bibbia e il battesimo? Mancava la pienezza della Chiesa, perché senza eucarestia, e senza vescovi, ma la fede era rimasta viva. Oggi, temo, a volte ci troviamo nella situazione ecclesiale opposta: abbiamo la pienezza della Chiesa con eucarestia e vescovo, ma la fede dei fedeli latita fino quasi a spegnersi.

La situazione amazzonica assomiglia a quella giapponese? Non lo so. Di certo, però, so che cercare di trasferire in amazzonia il modello pastorale europeo non porterà da nessuna parte.

La questione della ordinazione dei probi viri (e delle donne) va posta non per mancanza di preti, ma per ristrutturazione del ruolo del sacerdote, rispetto ai laici e alla comunità tutta. Possiamo continuare a ritenere sensato lo spostamento di un prete da una parrocchia all’altra? O non è forse meglio immaginare che ogni comunità parrocchiale trovi al suo interno chi possa ricoprire questo ruolo, come era all’origine del cristianesimo? Se resta vero che il prete può essere spostato dove vuole il vescovo, allora perché non ammettere lo spostamento anche tra diocesi diverse, perciò magari anche in Amazzonia, non come scelta straordinaria (vedi Fidei donum), ma come scelta pastorale ordinaria? Forse che un prete ha la vocazione ad essere prete in solo in quella diocesi?

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