Lo Spirito, che coltiva l’amore

Verso Pentecoste, ricordandoci che lo Spirito ci invita a non dimorare nel nostro io.
26 Maggio 2022

Nella consuetudine un po’ ripetitiva che abbiamo con la liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono Avvento e Quaresima perché le festività più quotate sono Natale e Pasqua, ci dimentichiamo (colpevolmente o meno non si sa…) di accogliere il tempo di Pasqua come una grazia e un dono. Il cammino verso Pentecoste viene fagocitato (absit iniuria verbi) dalle celebrazioni dei sacramenti, dal mese di maggio, dall’estate che incombe e già ci accalora, dalle iscrizioni all’Oratorio estivo… per gli scout è tempo di autofinanziamenti di emergenza, a fronte delle casse vuote, e di uscite di chiusura, oltre che di incastri mirabolanti per riuscire a far funzionare i campi estivi e le route…
La Pentecoste incombe come un evento quasi senza contenuto, relegando lo Spirito Santo (“che è Signore e dà la vita”, diciamo nel Credo) nel limbo delle immagini senza identità (e delle feste senza un dolce tipico). A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo, a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza?
In un romanzo che in passato mi ha emozionato, scritto da tale Paul Young (non il cantante) e intitolato ‘Il Rifugio’, la santa Trinità si mostra al protagonista nella forma di una consistente matrona di colore che prepara apple pie e dispensa saggezza nella sua cucina (il Padre), di una sorta di cowboy giovane e prestante che pare lavorare in una farm (il Figlio) e di una giovane donna gentile e un po’ misteriosa che si occupa di curare giardini con sapienza e pazienza (lo Spirito).
A me questa immagine dello Spirito dà grande conforto, perché mi aiuta a riconoscere che il Dio di Gesù non è l’ennesima divinità che – dopo qualche effetto speciale – ci lascia con la patata bollente dell’obbedienza morale, in realtà consegnandoci, se va bene, ai sensi di colpa dell’incapacità a fare il bene e trasformando il vangelo in un prontuario (non aggiornato) per non sbagliare.

Il Dio di Gesù proprio in lui ci ha rivelato che al centro di tutto sta l’amore. Non inteso come un esercizio di bravura, ma come la realtà che tiene insieme ogni cosa. Non è possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come afferma 1Gv 4,19-21: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”. La novità, la cosa mai vista e mai immaginata, sta nel fatto che l’amore di Dio si è rivelato in Gesù in una forma e in una misura straordinaria e sublime, luminosa e consolante. Ma senz’altro sorprendente e ‘spiazzante’.
A cosa ‘serve’ lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura. E dunque è questo l’unico comandamento cui sottoporre la nostra libertà: essere assimilati al suo amore per mezzo dello Spirito, imparando giorno dopo giorno a fare dono di noi stessi senza la misura del buonsenso, della paura, del calcolo, del riscontro umano anche lecito. Se la misura dell’amore rimane il proprio «io», presto crolla. Se la misura dell’amore è il donarsi di Gesù sino all’estremo (εἰς τέλος), allora si potrà veramente comprendere qual è il bene che l’altro mi sta chiedendo.

Lo Spirito insegna uno stile, offre un incoraggiamento, è memoria creativa della vicenda umana di Cristo. In Lui lo stile di amore dei discepoli di Gesù sarà facilmente riconoscibile da tutti: proprio per questo la comunità dei discepoli può diventare fermento per un progetto di umanità rinnovata dallo Spirito, che attua la volontà del Padre in questo mondo, in questa stagione storica, in questo contesto umano.
A dispetto di ogni apparenza di ‘volatilità’, lo Spirito coltiva con passione la terra del cuore e della mente di chi intuisce una diversa misura della propria umanità, in chi la riconosce visibile nel volto di Gesù, in chi si mette sulla strada che già molti uomini e donne hanno imperfettamente percorso, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo Lui sa tirar fuori da noi.

Lascio in conclusione le parole intense di una preghiera del card. Martini:

La verità di noi stessi è che siamo fatti per amare
e abbiamo bisogno di essere amati.
La verità di Dio è che Dio è amore,
un amore misterioso ed esigente, ma insieme tenerissimo.
Questo amore con cui Dio ci avvolge è la chiave della nostra vita,
il segreto di ogni nostro agire.
Noi siamo chiamati ad agire per amore,
a spendere volentieri la nostra vita per i nostri fratelli e sorelle,
e lasciare esplodere la nostra creatività
e ad esercitare la nostra intelligenza nel servizio degli altri.

2 risposte a “Lo Spirito, che coltiva l’amore”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Senza contare di quanto lo Spirito sia necessario quando vi è la necessità di “resistere” di avere un surplus di coraggio, quando permane quel dover subire una situazione come quella che mezzo mondo, per non dire intero, si sta vivendo; l’incertezza di pensare il domani a causa dei mali che serpeggiano nel mondo, malattia e guerre! Questo costringere cambiamento nei rapporti ha indebolito la sicurezza, a costretto la libertà goduta a altro comportamento, questo lascia segno nei più deboli, bambini, giovani che più impellente sentono la necessità di sperimentare se stessi.. Sembra si aprano spiragli nella cronaca di guerra, il miracolo, incredibile, e la scoperta che se viene a mancare il pane e carestia per tutti. Incredibile, come questo abbia il potere di ammorbidire intenzioni prima rigide, almeno a tanto speriamo e confidiamo quando si prega con i flambeau accesi.

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Tutto ciò che non corrisponde all’amore Cristo non è presente, non ci cibiamo del suo pane, seguiamo altro, costruiamo altro, vi è altro nelle opere che compiamo. Come saperlo? Dai risultati, per quanto alti i livelli raggiunti,realizzati, è sempre un andare avanti cercando, mai soddisfatti. Invece un solo gesto di amore riempie il cuore non solo a chi lo riceve ma anche di chi lo compie,ma anche triplice perché certo Dio si compiace in quanto anche Lui è nell’opera. Se non ci fosse lo Spirito, saremmo senza Cristo che di Cristo prosegue l’opera,con la presenza. Pietro era un semplice pescatore, dove la Chiesa seCristo non lo avesse chiamato fatto suo discepolo , capace Capo della sua Chiesa.’ vero, che in Essa, come accaduto tra i discepoli, c’è chi tradisce, chi infanga la tunica, ma anche chi la mantiene fuoco sempre acceso legna che non si consuma, quando sembra stia per spegnersi, uno Spirito soffia ravviva la fiamma ed è luce , tutto il mondo la cerca e la vede

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