Peccato
In un piccolo dizionario del giubileo, dopo la parola amore, è inevitabile parlare di “peccato”. Mediamente l’idea diffusa è che il peccato sia un’azione dell’uomo (ma anche un pensiero, una parola, un’omissione) che infrange le regole della morale che Dio ha dato e che la Chiesa ripresenta. Detto così, però, perdiamo davvero l’essenziale di questa parola.
In verità, nella Bibbia, il peccato è descritto da due parole, ebraica e greca, che significano “mancare il bersaglio”. Cioè l’uomo non centra il suo obiettivo di vita, la pienezza nella relazione con Dio. Perciò l’essenza del peccato è la rottura, parziale o totale, da parte dell’uomo, della relazione con Dio: il rifiuto del suo amore. Quando pecchiamo rifiutiamo di essere amati infinitamente da Lui e andiamo a cercare la nostra pienezza di vita da soli, con i nostri modi e tempi, finendo per accontentarci di quel poco di bene che ci possiamo portare a casa in questo modo.
Un esempio. Rubare è certamente sbagliato. Ma la legge che dice di “non rubare” è stata generata dalla percezione che il furto rovina il rapporto con l’altro, perché si perde la fiducia tra le persone, base della relazione sociale. Primariamente è un problema relazionale, e solo dopo diventa un problema giuridico. Questo vale già sul piano umano, tanto che fino qui parliamo di reato.
Ma noi sappiamo che “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Il peccato, allora esiste perché nel furto (ad esempio) noi non crediamo che Dio possa regalarci la pienezza di vita nei suoi modi (mancanza di fede), non speriamo che i tempi del suo regalo siano buoni per noi (mancanza di speranza) e così ci accontentiamo di quel piccolo bene “rubato” (mancanza di amore), quando Dio ci vorrebbe regalare la vita piena. Cioè, in quell’atto noi interrompiamo non solo la relazione con l’altro, ma soprattutto quella con Dio.
Quando ciò viene fatto liberamente e con consapevolezza, la tradizione della Chiesa dice che noi siamo colpevoli di quella azione. E questa “colpa” consiste nel fatto che avremmo potuto non fare quell’atto, ma l’abbiamo fatto. Inoltre quell’atto produce un danno, agli altri e a noi, che la Chiesa chiama “pena”, l’insieme dei beni distrutti dalla nostra azione, al fine di ottenere il nostro bene desiderato.
Ad esempio, nel furto, roviniamo il valore della fatica che l’altro ha fatto per avere quel bene e la sua sicurezza di saper proteggere le proprie cose e di poterle usare per sé. E roviniamo la stima di noi come esseri capaci di vivere nel bene per la società e che si possono fidare dell’amore di Dio.
Conseguenza. Detto così, anche se sembra paradossale, in ogni peccato resta sempre un pezzettino di bene che noi cerchiamo. Nel furto, ad esempio, cerchiamo di avere per noi qualcosa di valore. Di per sé questo è buono. Ma lo facciamo senza renderci conto che ciò produce la distruzione di qualche altro bene collegato alla nostra azione.
Questo significa che il peccato non può essere semplicemente distrutto, ma va “recuperato” assieme al peccatore: quel pezzo di bene che noi cerchiamo e rende possibile il peccato, va riannodato a tutto il resto del bene che esiste. Ciò ci permetterà di spiegare la dinamica del perdono, dell’indulgenza, della penitenza e di altre parole legate al giubileo.
I 10 Comandamenti sono via maestra non solo da cristiani, ma anche a divenire una persona laica che risponde a dei principi meritevole di fiducia per una onesta’ di comportamento. La vita è un continuo divenire di esperienze che coinvolgono tutta la ns. persona in scelte che si ritengono anche buone, se poi si rivelano passi falsi, errori quel tanto di coscienza che possediamo ci fa rendere consci del danno procurato sia a noi che ad altri. L’importanza di credere in Dio diventa anche conoscenza del male recato e a Dio chiedere l’aiuto necessario per rialzarci cosa che manca all’uomo solo che non ha percezione del proprio errore e quale la via più sicura incamminarsi e per questo anche ricevere il coraggio di superarsi nella prova
Quello che voi comunicate con quello che scrivete è un vuoto di significati spaventoso. Il significato del peccato nel vangelo sta nel rimettere i debiti, nel perdonare i peccati, non nel peccato in sé. Per chi fa il peccato c’è sempre qualcuno che ne subisce le conseguenze e il perdono consiste in un fare e non in un dato di fatto come una constatata fragilità.
Ma di cosa stiamo parlando ?ll peccato oggi non esiste piu’ per la Chiesa cattolica , perche’ parlare di peccato e’ tradizionalista! E anche forse discriminatorio !E comunque poco inclusivo .
. Si deve parla di “fragilità”. Se uno tradisce la moglie e magari poi divorzia e’ fragilita’ . Se una abortisce e’ fragilita’ . Se uno fa sesso con un altro dello stesso sesso e’ fragilita’ .a parola fragilita’ ha sostituito la parola peccato. E le fragilita’ si devono ,capire ,giustificare, accompagnare .