Le parole del giubileo – 17 – penitenza

Penitenza è dare il meglio di sè nell'amore.
10 Maggio 2025

Penitenza

Una parola molto legata alla confessione, o ad esperienze forti di conversione. Nella visione popolare indica quelle azioni da compiere per esprimere concretamente il proprio pentimento e la decisione effettiva di cambiare vita. Ciò è stato interpretato spesso in due direzioni.

La prima, di stampo più giuridico, assegna alla penitenza il valore di “riparazione” del male commesso. Nell’idea che il peccato sia una ingiustizia, la penitenza servirebbe a ristabilire l’equilibrio infranto della bilancia morale. Gli esempi del vangelo di Luca ci indicano, però, che non esiste una corrispondenza “bilanciata” tra il male commesso e la penitenza operata.

Nell’incontro tra Gesù e Zaccheo (19,1-10), la non corrispondenza è evidente: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Nell’episodio della donna peccatrice (7,36-50), la penitenza non è correlata ai peccati commessi, ma all’amore per Gesù. Il buon ladrone (23,39-43) non ha nemmeno il tempo per operare una penitenza e di fronte al peccato di Pietro, che rinnega Gesù, per tre volte (22,61-62) non c’è alcuna richiesta di penitenza. E negli altri testi del N.T. non appaiono mai esempi in cui la penitenza sia intesa come riparazione.

La seconda, di stampo più psicologico, assegna alla penitenza il valore di “cancellazione” della memoria dei peccati commessi. Nell’idea che si possa azzerare il ricordo del male commesso, si ipotizza che la penitenza agita possa tacitare il proprio senso di colpa. Ma anche qui, il N.T. sembra andare in un’altra direzione.

La splendida descrizione del travaglio interiore di Paolo (2 Cor 12, 7-10 e Rm 7, 7-24) mostra chiaramente come non si possa cancellare la memoria del peccato commesso e che il cristiano può liberarsi dal senso di colpa non con un suo sforzo personale, ma affidandosi all’amore di Dio: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9). Pure l’intima confessione di Pietro (Gv 21 15-19) evidenzia come ci si liberi dal senso di colpa trasformandolo in senso di peccato: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21,17). E questo è sufficiente per Dio, che non chiede altro sforzo, se non quello di fidarsi del suo amore.

Queste considerazioni aprono, allora, al possibilità di indicare un senso positivo della penitenza. Non si tratta di “riparare” o “cancellare” il male. Ma di lasciare che l’amore di Dio fiorisca dentro di noi tanto da spingerci a fare azioni amorevoli verso gli altri, spinti dalla gioia e dalla bellezza di fare del bene a qualcun altro. La penitenza ha senso se viene vissuta spostando lo sguardo da noi e dal nostro peccato, al bene che altri possono vivere tramite noi. Ecco perchè Zaccheo ridona quattro volte tanto!

Fare penitenza, allora significa dare il meglio di sé nell’amore. Non è condannare o tacitare una parte di sé, ma è lasciar fiorire l’amore gratuito che Dio continua a regalarci sempre, portandoci fuori da noi stessi, nella consegna amorevole agli altri. Chi fa penitenza in questo senso ha un volto sereno e gioioso, spande attorno a sé il profumo del vangelo, realizzando Mt 6, 17: “Profumati la testa e lavati il volto”.

4 risposte a “Le parole del giubileo – 17 – penitenza”

  1. Alberto Ghiro ha detto:


    La sintesi delle volontà è questa:
    – la volontà del padre e la salvezza dei figli che si esprime nel perdono
    – la volontà di fare dei figli è discernere i peccati e fare penitenza
    – la volontà di vivere dei figli corrisponde alla volontà del padre ed è la volontà di salvezza dal peccato assimilato alla morte

  2. Alberto Ghiro ha detto:

    Penso che per arrivare a fare penitenza sia necessario capire che il peccato è associato alla morte e quali siano i propri peccati di cui ci si vuole liberare per cercare la salvezza nel perdono di Dio. Il perdono è l’espressione della volontà del padre che vuole la salvezza del figlio senza eccezioni. Da parte del figlio ci dev’essere una volontà di vivere per cui si senta la necessità di salvarsi dalla morte conseguenza del peccato e una volontà di fare ovvero di non peccare, per cui la penitenza è l’unica soluzione possibile per non cadere continuamente nel peccato. Se ci si abbandona al non volere, la vita diventa una penitenza non voluta e un’ulteriore penitenza voluta sarebbe impossibile anche da immaginare. Se l’esistenza è vista come una croce, “prendi la tua croce” è sinonimo di fare penitenza e di esercitare sempre la volontà fino alle situazioni più estreme in cui sembra che la volontà dell’uomo sia sopraffatta ma non la volontà del padre.

  3. Pietro Buttiglione ha detto:

    Da ciò deriva che tutte le affermazioni del tipo che io chiamo SPIC&SPAN non possono essere usate per ( qui mi devo scoprire,} tutto ciò che riguarda lo Spirito, cioè DIO. Cadono le prove di esistenza del tipo causa->effetto. Cadono tutti gli automatismi dei Sacramenti, Battesimo in primis.. Cade la penitenza che lava, e tu lo hai detto. Ma anche il senso di AMA.. va rivisto. Sbagliato porre lo Spirito, che chiamiamo amore, sullo stesso piano delle ns azioni povere e meschine.
    Dio è ALTRO. Dio è uno stato dell’essere.
    E per noi partecipare è la meraviglia delle meraviglie. è entrare in un mondo/sostanza/luce/vita/Verità/Saggezza. al cui cospetto le ns penitenziucole fanno ridere ( o pena??)
    Ciao

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    Carissimo Gil, al solito ho letto con gusto quanto scrivi. Che ha generato, al solito, tanti pensieri. Che poi riorganizzo in modo siste-matico, che vado a porgerti.
    Io partirei da un GRANDE assunto:
    Dio ha lasciato la PIENA LIBERTA’ sia all’Universo che soprattutto all’Uomo.
    E SOLO a lui la libertà UNICA di scelta/decisione, quella che chiamiamo libero arbitrio=FW. Ora il volo pindarico.
    Segue x oversize..

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