Ma che ci fa l’annuario pontificio del 2008 nella sala di attesa di un oculista? Eh, la realtà ha sempre più fantasia di quanto non pensiamo. E la curiosità non è solo femmina. E il mio oculista è perennemente in ritardo sugli appuntamenti. Perciò l’ho preso e l’ho sfogliato, nell’attesa del mio turno. E forse ho capito il motivo di quel libro in quel luogo. E’ una prova per misurare le diottrie. E’ scritto in caratteri quasi microscopici, e mi sono confermato di aver fatto molto bene a venire a farmi controllare la vista.
Ma sono ugualmente riuscito a farmi colpire da una cosa. L’annuario elenca nove titoli ufficiali con cui il ruolo del papa può essere nominato. Io ne ricordavo cinque e pensavo di saperne molti. Non si finisce mai di imparare. E quello che mi ha colpito è che mediamente, negli articoli di giornale o su internet, nei servizi in tv viene dato per scontato che si sa di quale ruolo si sta parlando quando si parla del papa. E lo stesso capita tra i fedeli, quelli della domenica, come quelli di tutti i giorni: il papa è il papa, è chiaro di cosa parliamo.
Eppure l’attesa dall’oculista, più che la visita, mi ha aperto gli occhi. E mi ha reso consapevole che non è per nulla scontato che il papa è il papa. Nel senso che il suo ruolo può essere letto davvero in modi molto diversi tra loro e che non si lasciano facilmente riunificare in una idea unitaria, benché proprio questa unitarietà sia ciò che da senso a tutti i nove titoli papali. Come al solito il cristianesimo è “et-et” e non “aut-aut”. Ma ecco quello che ho letto strizzando gli occhi sull’annuario: Vescovo di Roma, arcivescovo e metropolita della Provincia Romana, primate d’Italia, patriarca d’occidente (sebbene papa Benedetto XVI abbia rinunciato a questo titolo, nota del redattore), sommo pontefice della chiesa universale, sovrano dello Stato della Città del Vaticano, successore del principe degli apostoli, vicario di Gesù Cristo, servo dei servi di Dio.
E siccome il mio oculista era molto in ritardo, il mio demone ha preso il sopravvento e mi sono messo a pensare. I primi cinque ci rimandano il lato ecclesiologico del ruolo del papa, e sembrano essere costruiti secondo la logica della somma dei carismi e non di quella del carisma della somma. Questo spiega perché di solito ci si ricorda molto più dell’ultimo di questi cinque, che non degli altri quattro. Pochi infatti, persino tra i cristiani, tengono conto che il papa è anche vescovo di Roma, perché quella comunità è fondata sul martirio di Pietro e Paolo, e di cui Pietro è stato il primo vescovo. E questo ci ricorda come il titolo che più si avvicina all’origine del suo ruolo, al senso delle parole evangeliche su cui si fonda la specificità di Pietro, è quello di principe degli apostoli, cosa anche questa dimenticata da molti, fedeli e non.
Ma sono gli ultimi due titoli dei nove iniziali, che mi danno di più da pensare. Sul titolo vicario di cristo, più che per su altri titoli, si sconta l’ignoranza teologica di molti fedeli. Non è specifico del papa. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che ogni vescovo è vicario di Cristo (al n° 1560). E mentre tale idea nasce già con Ignazio di Antiochia (1° sec.), solo in un sinodo del 5° sec, si applica tale titolo al papa, e lo si fa in forza del fatto di essere vescovo di Roma, non per il suo ruolo specifico nella chiesa universale. Ma ancora. Sempre pochi sanno che il papa stesso si firma con l’ultimo di questi nove titoli: servo dei servi di Dio, unitamente all’appellativo Vescovo, come a dire che questo sia quello che meglio di tutti indica la natura del suo ruolo specifico nella chiesa. Ed è un titolo che dobbiamo a Gregorio Magno, a cui dobbiamo anche la riforma liturgica e il canto gregoriano. Forse non a caso!
E siccome l’oculista ancora non mi faceva entrare sono andato oltre. La storia della chiesa e la varietà di questi nove titoli ci dicono che il ruolo papale può essere vissuto in tante forme e in tanti stili. A me sembra che oggi sia sensato chiederci quale stile sia meglio per l’oggi, senza con questo essere letto subito come uno che critica il papa. Quale stile di papato testimonia di più il nocciolo duro del vangelo di Cristo alla gente di oggi? C’è più bisogno di mostrare il suo lato “divino”, potente irraggiungibile, impeccabile, coi rischi di divinizzazione che questo offre, o di far percepire, anche nello stile del papa, l’amore di Dio per l’uomo, di un Dio che muore per noi? Lo stesso Benedetto XVI su questo è chiarissimo nel suo libro intervista. “Oggi si tratta di mettere in luce i grandi temi, e nello stesso tempo, come con l’enciclica “Deus Caritas est”, che Dio è amore. Di rendere di nuovo visibile il nocciolo dell’essere cristiani e così anche la semplicità dell’essere cristiani” (p.115). Lui non ha mai chiesto di essere divinizzato, difeso o adorato. Ma semmai di pregare perché sia sempre più fedele a Cristo.
Io prego perché la firma del papa sia davvero il nostro stile. Quanti tra coloro che si sentono offesi se si discute dello stile del papato, sono disposti a sentirsi offesi allo stesso modo se viene calpestata la dignità di un nostro fratello, nel corno d’africa per la fame e la sete, come in Italia per chi muore prima di nascere, nella terra promessa per le bombe o nel mare mediteranno per cercare una salvezza? Eppure il papa, con quella firma, è li proprio a ricordarci che lui non è maggiormente Gesù di quanto non lo siano i nostri fratelli, chiunque siano, dovunque vivano e qualunque fede professino.