I teologi e Amoris Laetitia

I teologi e Amoris Laetitia
14 Luglio 2016

Non si può negare che la dimensione sessuale sia quella in cui la distanza tra le indicazioni etiche del magistero e la realtà vissuta dai fedeli oggi, sia massima. In questo contesto, alcuni teologi cattolici si danno da fare per chiedere a papa Francesco una interpretazione autorevole di 19 frasi contenute in “Amoris Laetitia”, che a loro dire sono equivoche. (http://www.lastampa.it/2016/07/12/blogs/san-pietro-e-dintorni/amoris-angoscia-polemica-fitta-d3Q81oZfZ61QEmPeBjXIUL/pagina.html) Convinti forse che così si possa fermare questa “deriva sessuale”, dovuta, secondo loro, alla condizione culturale attuale, in cui lo spaesamento etico e la soggettività di giudizio la fanno da padroni.

In realtà io credo sia davvero dannoso, per la fede e la salute mentale dei credenti, questo modo di impostare la “risposta” cattolica alla deriva soggettivista e alla decostruzione dei rifermenti etici tradizionali. In particolare proprio in campo sessuale. L’ipotesi da cui partono questi teologi è che la certezza e la ferma chiarezza della regola etica proteggono dal male. Su questo ho due rilievi molto problematici da muovere a loro. La fermezza e la assolutezza della regola sollecita molto, invece, la paura del peccato, da evitare ad ogni costo, come se attraverso la paura potesse davvero crescere di più la nostra vita di fede. In verità il magistero ha già definito esattamente il contrario: “Il timore del male causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che vi si oppone” (CCC n. 1765). Cioè dalla paura del male nasce solo il male stesso e la collera ad esso connessa. Non cresce la fede, ma ci allontana dalla gioia di essere salvati.

In secondo luogo la precisione e la chiarezza della regola spinge a pensare che attraverso uno sforzo di volontà io possa stare dentro alle regole e perciò sentirmi “a posto” con Dio, come se io stesso fossi in grado di salvarmi da solo. E anche qui il magistero fa sentire la sua voce: “La preparazione dell’uomo ad accogliere la grazia è già un’opera della grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha incominciato: Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita” (CCC n. 2001). Perciò di suo l’uomo ci mette solo la disponibilità a lasciarsi convertire e il desiderio di collaborare all’azione interiore dello Spirito. Altro che sforzo di volontà per auto salvarsi, stando dentro alle regole!

La redenzione cristiana non sta in piedi sul rispetto della legge. San Paolo è molto chiaro sulla pervasività del peccato e sulla non efficacia salvifica della legge: “io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge. Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto” (Rm 7, 7-10). Cioè la legge serve a rivelare il peccato, ma non ha nessuna possibilità di liberare dal peccato. Anzi, ne aumenta l’effetto maligno. Lo stesso Paolo dice: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia” (Rm 11,32). E’ la grazia di Dio, invece, cioè il suo amore gratuito, che ci salva: “ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne” (Rm 8,3).

Se le cose stanno così il principio formale effettivo della scelta etica concreta per la persona, è la sua coscienza. Ancora il magistero: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro” (G.S. 16). S. Tommaso arriva a dire addirittura che l’uomo deve sempre seguire la propria coscienza, anche se questa è in errore, al punto da affermare che il non credente peccherebbe se aderisse, contro le proprie convinzioni, alla fede proposta dalla Chiesa. E Francesco aggiunge: “Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle. (A. L. 37)

E se il principio formale è la coscienza, il principio sostanziale, cioè a riguardo del contenuto, è l’amore, e non la corrispondenza a una legge esterna. “Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l’amore provocato dall’attrattiva del bene. L’amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto” (CCC n. 1765). A guidare cioè la morale cristiana è l’amore, il piacere e la gioia ad esso congiunti. La legge esterna ha solo il compito di segnalare, in sede di verifica etica, se si sta camminando nella giusta direzione o no. Ma non ha nessuna capacità di dare all’uomo la forza per camminare.

Questo non significa che non si possano dare indicazioni etiche oggettive nel cristianesimo. Un rapporto sessuale fuori dal matrimonio è oggettivo che, in generale, non è un bene per l’uomo. Ma per Franco, che era abituato ad avere rapporti con qualsiasi donna, senza impegni sentimentali, e ora sembra davvero innamorato di Elena, avere un rapporto sessuale con lei e solo con lei, anche prima del matrimonio può essere indice di un progresso morale, non necessariamente di una sua insufficienza. Ma chi può davvero riconoscere questa positività se non la sua stessa coscienza? Nemmeno il suo direttore spirituale, ammesso che ce l’abbia, può avere la certezza che tale atto sia davvero un progresso etico. E se è onesto dovrà aiutare Franco a leggere la propria coscienza, non a sostituirsi ad essa.

Allora la domanda è: per aiutare queste persone ad arrivare ad un amore ordinato, si deve privilegiare, per prima cosa, la riconquista dell’amore o dell’ordine? Sul piano etico, per il cristianesimo viene prima l’ordine etico o l’amore? Se anche qui guardiamo il vangelo, Cristo, tutte le volte che incontra qualcuno, per prima cosa lo ama, lo fa sentire amato così come è, nella condizione in cui è. E quando questo apre la fede, Cristo la riconosce e la segnala alla persona. Solo dopo, alla fine dell’incontro, avanza una pretesa etica sulla sua vita dopo che lui si è lasciato convertire da quell’amore che gli è arrivato. La fede nasce dall’amore, non dall’ordine etico. Che, semmai, ne è la conseguenza. La prima cosa, perciò, a cui si deve guardare non è l’ordine, ma l’amore. E’ questo ciò da cui partire e da far crescere. Perché l’amore è il motore della vita cristiana.

Spesso, invece, nella Chiesa si da ancora per scontato che sia l’ordine etico alla base della fede. In realtà esso non è la base, ma semmai la conseguenza. Una regola esterna, infatti, può essere osservata anche senza essere spinti a ciò dall’amore di Dio. Dietro forti pressioni culturali e attraverso uno sforzo di volontà, mi posso imporre di restare dentro la regola, ma vissuta così non ha nessun valore di amore. “Se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi l’amore, nulla mi giova” (1 Cor 13, 3). Il rispetto della regola di per sé, perciò, non dice nulla sulla mia reale crescita interna, di amore e di fede. Non è una garanzia sufficiente. Spesso, fino a 40 anni fa, in una fede appoggiata sulla cultura e sulle sue regole, molti matrimoni sono andati avanti per anni, con una sessualità fatta di “uso” dell’altro, soprattutto dell’uomo sulla donna, senza che ci fosse trasgressione delle regole oggettive della fedeltà? E spesso la coppia dava per scontato che questo fosse giusto, perché la regola era comunque osservata.

Il cuore della vita sessuale, invece, è appoggiato sull’amore, sulla donazione di sé nel rapporto erotico. La conseguenza di ciò, oggi, è che la traccia educativa richiesta, sul piano sessuale, deve mettere al centro il desiderio d’amore, non tanto e primariamente il suo ordinato svolgimento. Se oggi ricerchiamo come primo obiettivo quello di un ordine etico ricomposto, piuttosto che lo sviluppo di un amore effettivo, rischiamo di essere fagocitati dal sistema post-moderno che, come un computer, preorganizza tutto, per avere il controllo pieno sulle persone, pure sulla loro capacità di amare, che così viene spenta sul nascere. Cosa che la Chiesa, molto spesso preoccupata dell’oggettività etica, ancora non riesce a vedere, rischiando di assumere in sé il lato più deleterio della post – modernità: l’azzeramento del valore della persona come essere unico e irripetibile, della sacralità della sua coscienza, con la conseguenza della sua potenziale “commercializzazione”. Una logica in cui lo spazio per l’amore si azzera.

 

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