Abbiamo bisogno di Dio o desideriamo Dio? Una domanda che sembra teorica, ma che in realtà è molto più carnale e concreta di quanto si pensi.
Una diocesi confinante con la mia mi ha chiesto di raccontare ad alta voce le mie esperienze e riflessioni sui nuovi linguaggi giovanili di fronte agli operatori educativi della diocesi, in particolare dei molti oratori presenti in essa. Durante la pausa del convegno (le cose migliori accadono sempre nelle ricreazioni!) un educatore mi avvicina e mi dice: “Mi sono ritrovato molto nella sua descrizione dei giovani attuali, perché anche io li vedo così come lei li descrive: molto incasinati dentro ai propri bisogni insoddisfatti o mal soddisfatti e poco capaci di “alzare lo sguardo” alla bellezza della vita. E mi rattrista un po’ questa visione, perché ho l’impressione che sia difficile educarli a cosa grandi, belle, soprattutto alla misura del Dio di Gesù Cristo”.
In realtà avevo cercato di mostrare anche come, soprattutto questa ultimissima generazione (di solito indicata con la Z), stia cercando di trovare modi e forme in cui rintracciare e vivere un po’ più di bellezza e di senso (rispetto a quella dei millennials, ad esempio), pur dentro al bisogno di garantirsi che sono vivi, che sono importanti per qualcuno, che possono imparare a rimettere insieme i pezzi del puzzle di sé stessi. Ma la sua osservazione mi colpisce perché mi sollecita a chiarire, a me e a lui che rapporto ci sia tra la soddisfazione dei bisogni e la possibilità di aprire i desideri nel rapporto con Dio.
“In realtà – gli dico – credo che il modo con cui i bisogni dei ragazzi vengono soddisfatti, apra o no la possibilità di “guardare in alto”. Lo sappiamo, il bisogno è diverso dal desiderio. Il primo è un grido istintivo che richiede cura e attenzione a noi stessi e per questo si impone, ci inchioda alla necessità di rispondervi perché è una mancanza che va colmata. E in fondo garantisce solo la stabilità dell’essere delle persone. Il secondo è generato dallo stupore di fronte alle stelle, cioè di fronte alla bellezza e al mistero della vita, perciò è elettivo, cioè è una presenza possibile che ci attira alla grandezza della vita, ma senza obbligarci ad essa. Parla perciò di pienezza della vita, non solo della sua stabilità. Solo che il passaggio dall’uno all’altro è graduale, non netto. Perciò c’è sempre la possibilità, a partire da qualsiasi condizione dei bisogni, di rispondere ad essi in modo tale da stimolare nei ragazzi il desiderio del di più”.
La risposta mia è rimasta a metà, perché il convegno ci ha chiamato. Ma la mia testa non ha smesso di riflettere. Che succede quando scambiamo bisogno e desiderio e pensiamo che Dio sia la risposta? Esiste davvero un bisogno di Dio? Dio diventa obbligatorio, affinché l’uomo stia in piedi? Già Bonhoeffer ci aveva messo in guardia dal “Dio tappabuchi”, perché questa è la radice di tutti gli integralismi. Se Dio è usato per rispondere ai nostri bisogni, è lui che ci serve e non noi che lo serviamo.
Ma soprattutto oggi, dove apparentemente questi bisogni sono soddisfatti molto meglio, più in fretta e a costo minore dal mercato, presentato così Dio non ha più molta possibilità di essere percepibile. Soprattutto, perché oggi il mercato offre soddisfazione ai bisogni in chiave emozionale e sensoriale.
Forse, negli anni ’70 – ’80 del ‘900, quando il baricentro culturale era più razionale e ideale, il tentativo di chiamare Dio a soddisfare un bisogno sembrava essere ancora efficace. L’esperienza di CL e di don Giussani aveva battuto questa strada a piene mani, senza tuttavia essere esente dai rischi inevitabili dell’integralismo. Ma oggi, anche questa prospettiva lascia il tempo che trova. Oggi, assistiamo piuttosto a forme di fede in cui Dio è chiamato a rispondere ai bisogni sul piano emotivo e sensoriale: miracolismi, movimenti emozionalistici e leaderistici sembrano più accattivanti. Ma nemmeno questi sono esenti dallo stesso rischio, mantenendo la stessa sovrapposizione tra bisogno e desiderio nel rapporto con Dio.
La possibilità di riaprire una percezione di Dio connessa al desiderio passa, invece, dalla modalità più che dai contenuti (emozionali o mentali che siano), di chi si cura dei bisogni dell’altro, all’interno di una relazione di evangelizzazione. In essa, chi vuole evangelizzare, deve saper riconoscere e permettere che, all’inizio, l’altro sia più interessato alla soluzione del proprio bisogno, anche rischiando la dipendenza nella relazione. Ma nel frattempo va stimolato a mobilitare la sua capacità di esprimersi anche in opposizione all’evangelizzatore, fino alla percezione di poter essere autonomo da lui e di provarne piacere. Solo a questo punto sarà possibile far balenare la bellezza della pienezza della relazione con Dio, testimoniandola con sincerità e franchezza, affinché l’altro, nell’interdipendenza con chi evangelizza, possa imparare a consegnarsi, come l’educatore stesso, a quel Dio che li ha afferrati entrambi.
Certo Dio resta all’opera nella relazione fin dal primo momento, fin da quando l’attenzione è sulla soddisfazione del bisogno. Ma fino lì Dio non può rivelarsi come pienezza. “In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). Se l’evangelizzatore anticipa troppo questa rivelazione, spinge l’altro verso un rifiuto della stessa o verso l’innesco di un corto circuito in cui Dio diventa un idolo.
Questo perché non ha posto abbastanza attenzione a far percepire all’altro i segni che oggi possono aprire il desiderio della pienezza, quelli che mostrano un amore gratuito dell’evangelizzatore, non necessitato nemmeno dal bisogno dell’evangelizzatore stesso. Sono segni che mirano a far percepire all’altro quanto lui sia davvero importante, quanto lui, in ciò che è, così com’è sia al centro dell’attenzione gratuita di chi evangelizza e così possa percepire che “esiste” davvero in pieno. Sono segni che dicono all’altro: “È bello che tu esista, così come sei”.
Per avere o provare desiderio di Dio, lo si dovrebbe prima conoscere, altrimenti qualsiasi altro idolo prende il suo posto. Infatti, come si è rilevato riguardo ai giovani, e l’età dei desideri a procurare passioni facili a dare un volto, magari molto umano. Invece il Dio Cristiano lo si incontra strada facendo, cioè attraverso esperienze anche quotidiane, non esaltanti ma che sono insite in atti, nei rapporti con un prossimo, famigliari e non, a scuola come al lavoro. Durante il Covid, negli ospedali, dove è stato importante il lavoro solitario con degenti bisognosi di affetto, tanto che anche un laico si è fatto per questo consolatore del cuore del malato. I giovani sembrano essere digiuni di queste attenzioni pur ricevendo di tutto e di più di ciò che si può avere con denaro. Triste, sono soli e per questo bisognosi di sentirsi apostrofare da un interesse verso la loro persona singola. La Fede dopo che hanno scoperto Chi e Colui dal quale può venire l’aiuto vero.
Se il desiderio è una
a-spirazione verso qualcosa, questo nasce prima da un’i-spirazione, cioè da una sensazione di bisogno che lì mi ha spinto . Ma se questo bisogno verte sull’immediato, o sul tangibile e necessario, anche la mia aspirazione, il mio desiderio verso qualcosa, sarà così orientato.
Come fare per sentirsi ispirati verso un desiderio, quindi una aspirazione, verso un di più, che mi proietta oltre il mio piccolo spazio chiuso?
I- spirare rimanda ad un dentro ed è al centro di se stessi che occorre guardare, perché quello è il vero Tempio Sacro in cui trovare Dio. .
Dio è trascendenza perché solo guardando e mettendomi in ascolto del Dio in me, la mia interiorità, potrò trascendere i miei bisogni essenziali e puntare la freccia più in alto.
Nel frastuono dei nostri giorni credo che possa servire educare al silenzio, affinché ognuno sia ricondotto a se stesso, non per soddisfare desideri egoistici, ma perché lì passa Dio .
Che l’ Uomo abbia “ bisogno “ di Dio e’ qualcosa esistito fin dalla notte dei tempi.
Quello che cambia sono i “ bisogni “ . In una societa’ e cultura del tutto materialista ed individualista come la nostra i bisogni sono del tutto materiali e individuali. Ognuno crede in Dio solo se Dio lo approva nelle scelte di comportamento e da’ il beneplacito sul nostro modo di vivere. I giovani di oggi vogliono un Dio “ amicone “ che ti batte la mano sulla spalla e ti dice “ Vai bene cosi’ “ . Quasi nessuno sente il bisogno di un Dio trascendente , Onnipotente, un Dio “ altro “ , capace di prodigi per l’ intero popolo, , come invece ne sentivano il bisogno gli antichi ebrei , un Dio che li salvava dei nemici, ma non individualmente, salvava tutto il popolo dall’ estinzione. Ad ogni epoca il suo Dio, o meglio la sua immagine di Dio.
Leggendo Gil sui giovani, tema assente da qualche tempo, un pensiero mi balenava in testa ( in veritá balena anche nel msg..).
Bisogno o desiderio di Dio.
L’errore sta tutto in quel “di Dio”.
Quando vi si rivolge al mondo esterno di oggi bisogna:
Etsi Deus non daretur.
Quindi io mi fermerei a bisogni/desideri, eliminerei qs divisione posticcia, e mi concentrerei/limiterei a capire quali sono i bisogni del giovane oggi.
Non è il sesso ( forse + presente in anziani 😂 ).
Non è Dio.
E credo utopico il ” portarli in alto”….Difficile, lo stesso Gil lo scrive.
L’altro? Forse ma, imo, riportato dentro se stesso.
Se mi guardo intorno vedo gattini indifesi chiusi x paure… Gattini che, capita, possono trasformarsi in aggressivi.
Ma è la stessa cosa.
Di cosa necessitano?
Forse di qualcuno che riesca ad aprire la porta di accesso e sappia ASCOLTARLI?