C’è una domanda decisiva che apre la Parola di questa domenica dell’Immacolata, ed è domanda a cui rispondere non è agevole, ma necessario per tracciare bilanci provvisori e acquisire consapevolezze adulte: «Dove sei?». Domanda che Dio pone all’uomo, e che noi dovremmo porci — indimenticabile il capitolo che Martin Buber dedica all’interrogativo divino della Genesi nel suo gioiello che è Il cammino dell’uomo.
Ma quel «dove sei?» è anche la domanda eterna che l’uomo pone a Dio: «Dove sei?». Dove sei, Dio, in questo nostro tempo e in questo nostro spazio? Anche questo è un sostare necessario, che ci prepara al Natale, poiché per fede crediamo che il Dio incarnato visita l’uomo, ponendo la sua tenda tra noi (Gv 1,14).
C’è una possibilità ampia di risposte che possiamo avanzare, sia nel chiederci dove siamo noi, sia nel chiederci dove è Dio.
Il Vangelo di questa domenica dell’Immacolata, nel ricordo dell’Annunciazione e nel ricordo di Maria, ci offrono una risposta di luce: in un oscuro paesino del Mediterraneo, lontano dalle vie di potere e di successo, di dominio e di ambizione, una giovane donna riceve un annuncio di vita che è risposta alla domanda sulla presenza di Dio: Egli sceglie di stare tra gli uomini, di farsi loro fratello. E l’uomo, e la donna, dove sono? La disponibilità di Maria, nell’assenza per lei di ciò che è un’inclinazione originale all’egoismo, è ancora risposta a quel «dove sei?»: ella è lì, nell’offerta di sé, nel lasciarsi plasmare — non senza un timore iniziale, non senza un’esitazione necessaria che dice la sua profondità —dalla Parola che riceve, che è un sussurro di lieve peso, che è un invito nell’ombra, in una casa in ombra, in un villaggio oltre i margini della Storia. Ma lì qualcosa accade, e quel «dove sei?» — di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio — si intreccia.
È una postura, è un’umiltà che divengono capacità di farsi sfiorare e poi prendere dal mistero di Dio.
Non trovo parole migliori, a didascalia della scena evangelica, che quello incastonate da Mariangela Gualtieri in La celeste pazzia (tratto da Quando non morivo, Einaudi, 2009):
Procedi piano. Lascia che la mano
esegua il fragile dettato.
Abbi fede in quel niente
che viene – quel niente
che succede.
Non prendere la parola.
Lascia sia lei da sola. Diventa tu
la preda. Sia lei che ti cattura.
Avere fede in «quel niente / che viene»: è il quadro dell’Annunciazione, è l’oblazione sommessa di Maria, è sintesi di Avvento.
Nel silenzio («Non prendere la parola»), abbandonarsi alla «celeste pazzia», farsi catturare, aprire le braccia.
Così è la risposta al «dove sei?»: Maria è colei che ha «fede in quel niente / che accade», è fiducia in una Parola che prende la parola. Nel «fragile dettato» del vivere.
(pic: Annunciazione, Fra Angelico, Copyright ©Museo Nacional del Prado)
Quel niente che diventa “quel tutto” per ogni uomo che abbia nel cuore il desiderio di un mondo diverso da quello in cui viviamo oggi, circondati da Nazioni in guerra la serenità di un quotidiano vivere laborioso e rotta da news di missili che distruggono uccidono anche molti civili inermi, lontano dai ns. occhi ma il cui dolore dei superstiti.ci giunge vicino, impossibile da ignorare. Maria ns.Madre si è fatta ancora presente oggi in Terra, e ci incoraggia ad aver fiducia, invita di pregare per il dolore recato a quel suo Figlio, venuto a donarci la Pace il cui Natale si pretende così festeggiare.Lei allora ha detto Si” al disegno del Padre, ma oggi compartecipa alle umane sofferenze che sono anche inflitte a quel suo Figlio che ci è stato donato con amore a portare Pace e salvezza a ogni uomo. Il Natale non è atmosfera di magia, ma festa per un dono grande, gratuito alla Pace, alla alla Fraternità nel mondo
Sergio, grazie per queste parole che toccano l’anima. Un caro saluto