Seguire il bene che attrae

Seguire il bene che attrae
19 Marzo 2019

Una cara amica mi ha segnalato questo video. (https://www.youtube.com/watch?v=HwuOVc7wQyw&t=110s). Personalmente sono molto d’accordo con le indicazioni in esso contenute, su come fare una buona quaresima. La cosa che mi ha colpito, però, è la dinamica spirituale che l’autore del video, don Giammario Pagano, presuppone nella sua antropologia, a confronto invece di altre dinamiche che vengono di solito maggiormente suggerite nelle catechesi o nelle omelie.

Don Giammario non parte dall’idea che l’uomo possa migliorarsi se vive sempre in modo spontaneo senza mai chiedersi obiettivi anche “faticosi”. Al contrario mostra come la vita spirituale sia proprio il tentativo di discernere quali istinti vadano assecondati e quali no. Qui l’idea è che l’uomo possiede istinti diversificati in termini di valori, e che quindi alcune spontaneità siano corrette e favoriscano la crescita anche spirituale della persona, mentre altre non la favoriscono.

Mi sono trovato spesso, invece, ad assistere a catechesi, omelie, ritiri, in cui la dinamica di crescita spirituale veniva presentata quasi sempre come una lotta tra una razionalità buona, perché illuminata dalla fede e dalla grazia, e un’istintività che nel migliore dei casi veniva indicata come “problema” per la fede, nei peggiori come “sede del peccato”. In altre parole il discernimento cristiano si dovrebbe fare tra pensieri positivi e istinti negativi. Senza mai ipotizzare l’esistenza di impulsi istintivi al bene, ma che, invece, il bene vada ricercato solo con lo sforzo della volontà volente, che sarebbe mossa dalla verità che la ragione riconosce.

Nel primo modello di dinamica spirituale, invece, si ipotizza che l’uomo possa assecondare il bene non solo e non tanto perché lo ha riconosciuto razionalmente come tale, ma soprattutto perché è attratto da quel bene e la decisione di seguire quell’attrazione, se ripetuta nel tempo, porti a trasformare quell’istinto di bene in un sentimento di bene, cioè in un vissuto di carattere emotivo che si è stabilizzato nel fondo dell’anima e diventa la bussola interna per farci percepire dove sta il bene nella nostra vita concreta. La razionalità in questo caso tende solo ad organizzare le forme, i modi, i tempi, di queste scelte di bene, ma senza pretendere di essere lei a prendere le decisioni esistenziali su cosa fare.

In questo modello testa, cuore e pancia si ritrovano in sintonia nel fare il bene, ma il luogo delle decisioni è il cuore, non la testa, permettendo un baricentro spirituale equilibrato, nel centro di sé, in cui tutta la persona è attivata verso l’obiettivo spirituale. Qui, la grazia di Dio raggiunge l’uomo su tutte e tre le dimensioni (testa, cuore, corpo), quando suggerisce, attraverso l’istinto, il desiderio di quel bene, quando stabilizza nel sentimento la percezione di gioia che si vive nel fare il bene e quando fa luce alla mente per permetterle di organizzare quella decisione in termini concreti, possibili e compatibili coi vincoli della realtà.

Nel secondo modello di dinamica spirituale, invece, le cose non stanno così. L’ipotesi di partenza è che l’uomo possa assecondare il bene solo se ne ha chiarezza razionale sufficiente. Questo a sua volta muoverebbe in automatico la volontà razionale, quella per intenderci che ci permette di autoimporci qualcosa anche quando non ci piace, costruendo così un’azione reale in cui noi possiamo cercare quel bene solo con sforzo, quello necessario per tenere a bada, o tenere fuori campo, le interferenze dell’istinto.

E’ evidente che qui la frattura fra istinto e ragione non solo non è ricomposta, ma addirittura può essere presa come segno della vera vita spirituale. La sofferenza interiore derivante da questa frattura può segnalare alla persona che la sua scelta è buona: più soffro e più sono nel giusto. In questa prospettiva la grazia di Dio raggiungerebbe l’uomo solo nella dimensione razionale, solo nel fare luce sulle verità di fede da riconoscere come tali. Da lì in poi, invece, la spiritualità sarebbe opera dell’uomo che dovrebbe metterci di suo lo sforzo della buona volontà, partecipando in questo modo alle sofferenze di Cristo, appoggiato però solo sulle proprie forze razionali. Il cuore infatti dovrebbe essere tenuto chiuso, o di lato, perché potrebbe inclinarsi agli istinti, che, a loro volta, andrebbero semplicemente spenti.

Invece, “la perfezione morale consiste nel fatto che l’uomo non sia indotto al bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo queste parole del salmo: «Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente» (Sal 84,3)” (CCC 1770). Se vogliamo tendere alla perfezione credo, perciò, che il secondo modello non sia sufficiente.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)