Non si può negare che H. V. sia una enciclica che fa della legge naturale il suo perno essenziale. Credo che, a 50 anni di distanza, continui a ripresentarsi in modo sempre più pressante alla riflessione teologica la questione che sta alla base della oggettività della legge naturale: l’immutabilità della natura umana.
Possiamo ritenere tale concetto vero se consideriamo una natura astratta, la cosiddetta “essenza” dell’uomo. Ma, sia la storia naturale, sia la stessa storia della salvezza ci mostrano come la natura umana reale, concreta, quella delle persone in carne ed ossa, sia soggetta a “evoluzione”.
Per limitarmi solo al piano teologico, la natura creata, prima del peccato, è diversa da quella che ci ritroviamo oggi, dopo il peccato. E quella che avremo dopo la resurrezione non è ancora definibile, ma sappiamo che sarà ulteriormente diversa. Perciò si tratta di una natura che evolve. E non diciamo forse che la grazia sacramentale, non è solo un aiuto morale, ma “segna” la natura umana nella sua essenza più profonda? E quindi, che essa, in qualche modo, cambia tra prima e dopo il battesimo? Addirittura, nel sacramento dell’ordine sacro si parla di una “traccia” ontologica che resterà nell’essenza di quella persona anche dopo la resurrezione.
Perché allora non possiamo cominciare a riflettere sulla possibilità di riconoscere alla natura umana una “evoluzione”? Anche perché siamo alle porte di rivoluzioni antropologiche di cui non riusciamo nemmeno ad immaginare la portata. L’uomo avrà ancora la stessa essenza quando potrà connettersi wireless, mentalmente, ad un supporto non umano e recuperare informazioni cognitive solo con un atto di volontà? O quando avrà imparato a controllare le sorgenti chimiche delle proprie emozioni, attraverso informazioni elettriche decise mentalmente? Ma forse, il futuro sarà ancora più in là.
Il mantenimento di una etica fondata sull’idea di una natura umana immutabile rischia davvero di rendere i suoi dettami assolutamente insignificanti rispetto all’uomo del futuro. Già oggi il rischio della insignificanza è visibile, tra i cattolici, proprio sulle dimensioni e nei valori “corporei” delle azioni umane. E già oggi esistono dati storici che mettono qualche dubbio sulla immutabilità della legge naturale, che discende da tale concezione della natura.
Ad esempio, scoprendo, l’esistenza dell’inconscio, nel ‘900 siamo passati da una posizione di assoluta condanna etica del suicidio, alla sospensione del giudizio, fino all’ammissione ai funerali anche di chi si toglie la vita. O anche, che per la Chiesa oggi, una donna può rifarsi lecitamente il seno per motivi puramente estetici, quando fino a metà del ‘900 l’inviolabilità del corpo era assoluta. Tanto che, tra il ‘600 e il ‘700, un maschio evirato che diventasse prete, poteva dire messa solo se portava con sé il sacchettino con i propri testicoli, perché il sacerdozio chiedeva l’integrità fisica come base per la sacralità del suo ruolo.
Due casi in cui, quella che veniva considerata un tempo legge immutabile, si è rivelata poi mutabile. E allora? Personalmente ritengo che H. V. dica la verità sul principio etico generale che preside alla sessualità. Ma se la base teorica con cui lo si legge e da cui si traggono le conseguenze, resta quella dichiarata nel testo, non riusciremo a salvare ulteriormente una sessualità umana e integrale. Lo so, abbandonare l’oggettività derivante dal concetto di natura immutabile spaventa. Ma, forse, se invece di continuare a minimizzare il valore dall’intenzionalità personale, soprattutto di chi ha fede e ha ricevuto i sacramenti, provassimo a prendere questo fondamento come base per costruire una inter-soggettività etica, potremmo ridefinire dei “paletti” etici sufficienti.