Il 4 dicembre del 1963 il Concilio Vaticano II approvava il Decreto sugli strumenti della Comunicazione Sociale “Inter Mirifica”. A sessant’anni di distanza, quel decreto sembra dimenticato. Del resto in questi sessant’anni è cambiato tutto, nel mondo dei media: allora la televisione era comparsa da poco, non era ancora in tutte le case, lo strumento di informazione per eccellenza erano i giornali, seguiti dalla radio; non c’era Internet, non c’erano i social, men che meno c’era l’intelligenza artificiale.
Un altro mondo, davvero, nel quale si intravvedevano le potenzialità della comunicazione sociale e dei suoi strumenti, ma non si poteva prevedere come si sarebbero evoluti e di quale potere si sarebbero conquistati. Forse anche per questo, il tema non appariva così importante nei lavori del Concilio: come ha scritto dieci anni dopo Padre Enrico Baragli, «si può dire che l’argomento entrò in Concilio per una porta di servizio, un po’ come una Cenerentola a Corte» (E. Baragli, A dieci anni dalla promulgazione dell’Inter Mirifica, “Civiltà Cattolica” 5 gennaio 1974). Ma nonostante fosse stato da alcuni osteggiato a più riprese, alla fine il decreto vide la luce: fu importante allora, ma ha qualche cosa da dirci anche oggi.
L’IMPORTANZA DELL'”INTER MIRIFICA”
Per cominciare, ebbe il merito di attirare l’attenzione della Chiesa, anzi specificatamente della gerarchia, sul tema dell’importanza dei media e, dice sempre Baragli, l’ha anche spronata all’uso «impegnato e sistematico dei mass media in funzione apostolico-pastorale».
Un secondo merito sta nel fatto che per quei sacerdoti, religiosi e laici «che, spesso incompresi e lasciati soli, da anni e decenni andavano profondendo nella stampa, nel cinema e nella radio-televisione le loro migliori energie, si tratta del più solenne ed universale riconoscimento, e del più autorevole incoraggiamento» che potessero sperare di ricevere.
Un terzo motivo per cui è importante è che questo documento è stato la base di tutto il magistero della Chiesa negli anni e nei decenni successivi.
Bati pensare all’adozione dell’espressione “strumenti della comunicazione sociale”, che venne preferito a mass media o a “tecniche di comunicazione” o ad altri termini più generici. L’espressione racchiude infatti il riconoscimento dell’importanza della tecnica, ma anche quella dell’uomo che la governa e la usa, e nella parola “sociale” c’era l’importanza del destinatario: non singole persone, ma realtà complesse con dinamiche proprie. In fondo, la scelta di questa terminologia ci dice anche che l’approccio dell’”Inter Mirifica” non era clericale né moralistico, ma culturale e sociale.
UN APPROCCIO COSTRUTTIVO
Ed era, sostanzialmente, un approccio positivo, pur nella consapevolezza che, se non usati correttamente, gli strumenti della comunicazione sociale portano con sé dei pericoli: «La Chiesa nostra madre riconosce che questi strumenti, se bene adoperati, offrono al genere umano grandi vantaggi, perché contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché a diffondere e a consolidare il regno di Dio. Ma essa sa pure che l’uomo può adoperarli contro i disegni del Creatore e volgerli a propria rovina». [Inter Mirifica 2]
Citazione, questa, che ne richiama una del documento “Verso una piena presenza”, pubblicato dal Dicastero della Comunicazione nel maggio 2023 e dedicato ai social network: una frase che da una parte riecheggia l’atteggiamento di fondo, dall’altra fotografa il cambiamento radicale avvenuto nel mondo della comunicazione in questi anni: «Nel 2009 Papa Benedetto XVI ha affrontato i cambiamenti nei modelli di comunicazione affermando che i media non dovrebbero solo favorire la connessione tra le persone, ma anche incoraggiarle a impegnarsi in relazioni che promuovano “una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”. In seguito, la Chiesa ha consolidato l’immagine dei social media come “spazi” e non solo come “strumenti”, e ha lanciato un appello affinché la Buona Novella sia annunciata anche negli ambienti digitali». [“Verso una piena presenza”, 3]
Dunque, anche oggi la Chiesa mantiene un atteggiamento sostanzialmente positivo nei confronti degli strumenti di comunicazione, non più solo per «sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché diffondere e consolidare il regno di Dio», ma anche per costruire relazioni, essendo i nuovi media non solo strumenti, ma spazi da abitare.
IL DISORDINE INFORMATIVO
C’è poi tutto il tema dell’informazione: l’“Inter Mirifica” ne riconosce l’importanza per il bene comune, e ricorda che essa è un diritto: «…la pubblica e tempestiva comunicazione degli avvenimenti e dei fatti offre ai singoli uomini quella più adeguata e costante conoscenza, che permette loro di contribuire efficacemente al bene comune e di promuovere tutti insieme più agevolmente la prosperità e il progresso di tutta la società. È perciò inerente alla società umana il diritto all’informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, interessa gli uomini, sia come individui che come membri di una società» [Inter Mirifica, 5].
Oggi il diritto all’informazione è soffocato da moltissimi fattori. Sono ancora evidenti e attivi quelli che da sempre condizionano i media tradizionali: i conflitti di interesse, la mancanza di pluralismo (si pensi al problema delle televisioni in Italia, di cui non si discute più, ma che si ripresenta con forza devastante ogni volta che sale al Governo il centro-destra), le tecniche di propaganda, gli interessi economici di chi controlla le reti e le testate giornalistiche, eccetera. Ma si sono aggiunti tutti i fattori che confluiscono in quello che oggi viene definito disordine informativo e che è un pasticcio fatto di molti ingredienti: l’overload della comunicazione (cioè il fatto cha siamo sottoposti ad un eccesso di input che non siamo in grado di padroneggiare, per cui alla fine sappiamo tante cose che non ci interessano e non sappiamo tante cose che ci interesserebbero); gli algoritmi, che usano i nostri dati per decidere che cosa farci vedere e cosa no (per cui non siamo più noi a scegliere); la disinformazione, la mala informazione e la misinfomazione.
Ed è soprattutto quest’ultima la novità su cui ognuno di noi è chiamato ad assumersi la propria responsabilità: con il termine “misinformazione” si indica quella dinamica in base alla quale i cittadini condividono fake news e informazioni manipolate, e contribuiscono a farle girare. Non solo non si rendono conto che sono notizie false, ma spesso credono in buona fede di essere d’aiuto e non si rendono conto che invece, oltre a dare spazio a falsità, contribuiscono a diffondere il risentimento sociale. Così, se una volta erano i potenti a manipolare l’informazione, ora ci troviamo a fronteggiare un’alleanza devastante tra potenti e cittadini.
Il discorso sarebbe ancora lungo, ma proprio questa complessa situazione dell’informazione e della comunicazione rendono attuale quell’affermazione dell’”Inter Mirifica”, secondo la quale abbiamo diritto non solo all’informazione, ma a un’informazione volta al bene comune. Solo che l’impegno a costruirla, oggi non appartiene solo ai giornalisti e alle categorie professionali, ma ad ogni cittadino.
Brava come sempre Paola. Dovremmo fare una chiacchierata dalle mie parti sulla misinformazione e sui suoi effetti su un pubblico non preparato.