Nella seconda parte dell’encilcia Pace in terris si affrontano i rapporti tra le comunità politiche, i quali ugualmente “vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà… La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche” (nn. 47ss.; nn. 64ss.).
Dopo un riferimento alle minoranze (nn.52-53) e alla questione dei profughi politici (n.57) – ai quali, oggi, possiamo aggiungere gli immigrati per fame e l’enorme numero degli “immigrati climatici” – l’enciclica (al n. 59) affronta di petto la questione della corsa agli armamenti, la deterrenza e le testate nuceari, invocando una necessaria “giustizia, saggezza ed umanità” che arrivi a mettere al bando tali armi innanzitutto dentro di noi: “l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità” (61).
Tale obiettivo è per Giovanni XXIII ragionevole: “è evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante. È un obiettivo desideratissimo. È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra” (62). Soprattuto, sembra essere dettato dallo spirito del tempo: “si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato” (67).
Nell’ultimo capitolo si affronta il tema dei rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale: “l’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune della intera famiglia umana” (69).
Anche qui, Giovanni XXIII evidenzia un importante segno dei tempi: “come è noto, il 26 giugno 1945, venne costituita l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU); alla quale, in seguito, si collegarono gli istituti intergovernativi aventi vasti compiti internazionali in campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario. Le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza. Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà” (75).
Fondamentale, in tal senso, è lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione: “l’istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad attingere gradi superiori, mentre l’istruzione religiosa rimane di grado elementare. È perciò indispensabile che negli esseri umani in formazione, l’educazione sia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di pari passo con la continua sempre più ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il metodo idoneo secondo cui svolgere in concreto i loro compiti” (80).
Di fronte a quello che viene definito “compito immenso” (nn. 87-88), l’enciclica non può che concludersi con il richiamo a quel Principe della Pace il cui mistero pasquale viene celebrato dalla comunità dei credenti: “egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola… E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai vicini” (Ef 3,14-17) … Egli lascia la pace, egli porta la pace: “Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat ego do vobis” (Gv 14,27). Questa è la pace che chiediamo a lui con l’ardente sospiro della nostra preghiera” (n. 90).
La chiediamo rivolgendoci a Lui, ma è reale che siamo noi ad agire come artefici di Pace. Questa viene solo sbandierata per indurre a combattere in armi sempre agitando l’idea che è saggio premunirsi di armi sempre più aggiornate per la difesa di quel domani che sarà uguale all’oggi!! Se non sappiamo che tempo farà domani quale il fondamento di tale pronostico. Rinunciare a vivere non sembra più essere convincente, tanto più gli animi di giovani che sognano un futuro, sembra sicuro che anche con le migliori armi non è detto si possa restare vivi per godere il grande dono della vita. Se poi uno ha una Fede, in genere si sente nominare la Pace, la serenità di mente a vivere guardando a edificare opere per il bene di tutti. Quale felicità può esservi se mogli, madri perdono figli e genitori? quale futuro e quanti sacrifici per un ripristinare ciò che è andato distrutto!” Beati invece i Costruttori di Pace”