Una grande luce dentro

In un tempo ancora di fatica e forse di buio, possiamo di nuovo dare fiducia all’annuncio del profeta «un Bambino è nato per noi», per accogliere quel Bambino come compagno delle nostre vite.
24 Dicembre 2021

Risuona, in una notte ai margini della storia, un invito del profeta, che si staglia memorabile:

«Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse».

È questa la prima Parola di Dio che echeggia nella notte di vigilia, non solo nei luoghi in cui è proclamata la profezia, ma anche oltre, perché quell’annuncio è capace misteriosamente di giungere in ogni notte dell’uomo: nell’eterno conflitto tra bene e male, tra dolore e redenzione, tra alba e crepuscolo, sorge una «grande luce»; per quanti attraversano le fatiche della storia, per quanti attraversano una «terra tenebrosa», ebbene per questi, per tutti, «una luce rifulse».

E chi, nei meandri della storia, nelle secche del tempo che viviamo, anno del Signore 2021, può dire di non sperimentare, di non aver sperimentato una qualche forma di tenebra? Di non aver vissuto almeno un’ombra? La cronaca quotidiana dei numeri si incarica ogni sera di ricordarci quanto viviamo da quasi due anni, andando a incidere continuamente nelle nostre vite. E poi, ancora, i drammi del mondo, in ogni regione; e, nelle pagine delle nostre esistenze, i drammi privati, dalle solitudini che non si infrangono alle pene di tanti: volti che scorrono nei pensieri di ognuno. Su cui desideriamo fermarci.

Eppure, «una luce rifulse». Non si tratta di un bagliore folgorante, ma di una luce minima: è una luce di vita ˗ semplice, misurata, antica e sempre nuova ˗ nelle misure di un neonato. Una donna, in una provincia ai margini del manoscritto della storia, «diede alla luce il suo figlio primogenito». Una donna, una giovane madre, dà alla luce un bambino: da qui una frattura nel cammino dei secoli. Dalle fragili membra di un bambino si espande una luce gentile, diventando Egli stesso luce per chi varca i giorni: «Perché un bambino è nato per noi», ci ricorda ancora il profeta.

Di fronte alla culla di Betlemme dobbiamo porci, però, per onestà e lealtà verso il nostro tempo e verso le vite dei molti su cui gravano pesi e dolori, delle domande vere. Dobbiamo avere il coraggio delle domande autentiche, non edulcorate da pennellate di devozione o da furberie di consumismo, che rendono il Natale un pretesto per altri scopi. Dobbiamo sentire la necessità di domande inquiete: hanno senso, oggi, stanotte, le parole e le immagini del profeta? Ha senso ascoltare la Scrittura, quando dice per mezzo del profeta: «Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia»? Ha senso che uomini e donne prestino orecchio a queste parole, in queste notte?
Se non abbiamo l’audacia di domande simili, trasformeremo il Natale in una via di fuga momentanea. In una stanza delle luminarie, ma senza quella luce che ha la forza di tagliare le tenebre.
Dunque, ha senso oggi festeggiare il Natale? Ha senso, sì. E ha senso non solo perché Dio si fa compagno, ha senso non solo perché, dice l’angelo, «è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore», ma soprattutto perché quel Dio è un Dio Bambino, quel Dio è un Dio che inizia il suo viaggio nella storia nelle proporzioni minime di un «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Qui risiede il senso profondo della gioia e della letizia: una piccola luce è capace di fendere il buio che la storia, da sempre, può sperimentare. Quelle tenebre, dunque, non sono l’unico punto di vista, l’unica atmosfera da respirare. C’è altro. E quindi possiamo vivere gioia e letizia, dal momento che non guardiamo a un Dio che si erge senza appello a dare giudizi ed emanare sentenze, ma a un Bambino che di tutto ha bisogno, dalla tenerezza e dall’affetto di due genitori all’imprevista festa dei pastori, altri uomini ai margini del manoscritto della storia. È un Dio che ama i margini quello che viene a farci visita.

«Il padrone che serviamo non giudica solo la nostra vita, ma la condivide, l’assume per sé», ricordava George Bernanos nel Diario di un curato di campagna: la grande luce annunciata dal profeta è una piccola luce, in una capanna, nelle pieghe dimenticate del mondo. Nelle ferite, nelle oscurità, negli abissi allora può arrivare una luce. Allora le tenebre non sono l’unica condizione che l’uomo vive: sono possibili, sempre, costruzioni di speranza e di gioia. Guardiamoci attorno: ancora la vita resiste, tenace; ancora permangono il bene e l’amore, ancora si compiono scelte di futuro e di gratuità, ancora sentiamo che ogni giorno possiamo, in qualche modo, farci compagni tra noi. Oggi, e ogni giorno: «Io so che il bene è possibile, ogni giorno, in ogni ora e in questo stesso istante», scriveva Jean Paul Sartre dal profondo del suo misterioso ateismo, ne Il diavolo e il buon Dio. Tanto più possono pronunciare queste parole coloro che, pur non risparmiandosi il peso del buio, si accostano a Gesù Bambino.

Ma forse è proprio il Dio Bambino che ci invita a superare le faglie della storia, e farci capaci di uno sguardo che supera distinzioni e separazioni: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»: l’amore di Dio raggiunge l’umanità intera – tutta, anche dove non sembrerebbe – e qui risiede la radice della letizia che si sprigiona dal Natale. Ogni uomo, ogni donna è, per vie che non conosciamo, terminale ultimo dell’amore del Dio Bambino. Qui si apre una possibilità per ogni persona, in ogni momento, come aveva ben intuito Etty Hillesum: «La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio»: parole scritte in una lettera del 18 agosto 1943, dal campo di transito di Westerbork, l’anticamera di Auschwitz.
Possiamo dunque davvero essere in colloquio con Dio, che diviene Parola incarnata nel volto di un Bambino. Possiamo sentirlo compagno, sentirlo vicino, sentirlo amico e fratello. Potremo sentirci, per questo, anche fratelli, ‘fratelli tutti’, pure in questo ulteriore Natale di pandemia e di timori. Di comuni disorientamenti e private fatiche. Possiamo abbattere pregiudizi e demarcazioni, per avere sguardi buoni di speranza e accoglienza, nella certezza che nessuno sa tracciare i confini dell’amore di Dio: «Non posso fare a meno di continuare a domandarmi se, in quest’epoca in cui una parte così grande dell’umanità è sopraffatta dal materialismo, Dio non voglia che vi siano uomini e donne che, pur essendosi votati a lui e al Cristo, rimangano fuori della Chiesa» (Simone Weil).

Allora, di fronte all’annuncio del profeta, annuncio divenuto a Betlemme di Giudea buona notizia per l’umanità, possiamo sostare in un silenzio colmo di stupore e gratitudine nei pressi della mangiatoia, facendo nostre le parole di uno dei Canti spirituali di Novalis:

Lascia che il suo sguardo mite
penetri a fondo la tua anima,
e dalla sua beatitudine eterna
tu dovrai esser rapito.
Tutti i cuori, gli spiriti e i sensi
inizieranno una danza nuova.

Prendi senza timore le sue mani,
fissa a te il suo volto,
devi sempre volgerti a lui,
come fiore volto al sole;
se il cuore intero gli mostrerai,
sarà tuo come sposa fedele.

Nostra è adesso divenuta
la divinità che spesso tememmo,
al sud e al nord ha destato
rapido i germogli di cielo,
e così nel ricco giardino di Dio, fedeli
attendiamo ogni boccio, ogni fiore.

Lasciamo che «il suo sguardo mite» penetri le nostre anime, per portare, là dove resistono le tenebre, la sua luce e la sua speranza.
«Ci sia pure buio fuori, il blackout, come lo chiamano, ma ci sia luce dentro di noi» (Mario Rigoni Stern).

Che sia questo l’augurio di un buon Natale. Di luce, oltre le tenebre. Di luce.

Una risposta a “Una grande luce dentro”

  1. Emanuela Sangaletti ha detto:

    GRAZIE per questa “luminosa” riflessione, piena di verità e misteriosa bellezza, che accompagna questo giorno di vigilia… Buon Natale di speranza!

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