Tra i film ai quali sono stati assegnati vari premi Oscar quest’anno troviamo “The Whale” del regista Darren Aronofsky e magistralmente interpretato dall’attore Brendan Fraser, al quale è stato assegnato appunto il premio come miglior attore protagonista.
Se è vero, quindi, quello che in un titolo geniale di un suo libro scrisse un noto psicoterapeuta: “ogni vita merita un romanzo” , questo è particolarmente vero per Charlie, il protagonista di questa storia. E infatti questo è a mio avviso un grande film sul senso profondo della narrazione che si fa vita e della vita che si fa narrazione.
Non per niente il protagonista è un professore universitario che insegna letteratura online a telecamere spente, per nascondere il dramma della sua vita, quella di possedere un corpo di oltre 250 chili che lo rende ormai incapace di svolgere le più normali attività quotidiane. Isolato nel suo piccolo e sudicio appartamento, egli passa infatti le sue giornate ingurgitando ogni genere di cibo, visitato quotidianamente da un’amica infermiera che lo va a trovare ed assiste impotente al suo lento suicidio, dal momento che sempre di più il cuore e il respiro sembrano cedere sopraffatti dallo sforzo a cui sono sottoposti.
Riceve anche indesiderate visite da uno strano giovane missionario, Thomas, membro della Chiesa della Nuova Vita, che ha deciso di convertirlo all’amore di Dio, mentre la sua salute si rivela sempre più incerta, il respiro affannoso e il cuore in continue crisi. Particolare è però come Charlie, che ostinatamente non vuole chiamare l’assistenza ospedaliera, ad ogni crisi respiratoria, chieda invece sollievo agli altri facendosi leggere qualche passo del ” miglior saggio che abbia mai letto”, un saggio appunto su Moby Dick. Il saggio recita ad un certo punto: “I capitoli digressivi e noiosi sulle balene mi rendevano ancora più malinconica, perché ero consapevole che l’autore voleva distrarci dalla sua triste storia, anche solo per un po’”.
Ma qual è la triste storia da cui quella “balena” (altro titolo di Moby Dick è appunto “The whale”, “la Balena”), metaforico animale in cui Charlie si rispecchia, deve sfuggire? Nella sua storia umana è un passato che lo perseguita, un lutto amoroso da riassorbire, e infine un suo abbandono di moglie e figlia. Ed è proprio quest’ultima che riappare prepotentemente a un certo punto, chiamata dal padre nello sforzo di rimediare al tempo perduto per ricostruire la loro relazione, che sembra impossibile con quell’adolescente scanzonata e rabbiosa verso di lui. Ellie dunque, la figlia, sembra infatti incarnare il ruolo narrativo del capitano Achab, personaggio del libro che odia la Balena bianca proprio perché lo ha deturpato anni prima privandolo di una gamba, così come Ellie a otto anni è stata privata della presenza del padre che l’ha abbandonata seguendo una nuova vita e un nuovo amore.
Sarà proprio lei, infatti, con visite sporadiche, sadiche ritorsioni verso il padre, cinismi apparenti e domande impietose a ricordargli continuamente il suo aspetto mostruoso, mentre lui continua a ripeterle “Sei una creatura meravigliosa, Ellie. Non potrei desiderare una figlia migliore!”. E più avanti aggiungerà: “Non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare?”. Se Charlie, dunque, inabissato nel suo lutto per la perdita del suo grande amore, in preda a un senso di colpa straziante per l’abbandono della figlia, ha deciso come unica soluzione di imprigionarsi in un corpo-balena, uccidendosi di overdose di cibo, ugualmente, come il bianco cetaceo, non ha perso l’istinto, per lui l’istinto dell’amore e della fiducia nelle persone, che egli vede tutte meravigliose, tranne se stesso, autocondannato senza possibilità di assoluzione.
Eppure ai suoi allievi online, che non lo avevano mai visto, all’inizio del film durante una lezione diceva: “Lo so che queste regole possono sembrarvi limitanti, ma ricordate lo scopo di questo corso è imparare a scrivere in modo chiaro e persuasivo… tenete a mente la verità delle vostre tesi.” Quello che conta per Charlie rimane la verità della tesi della propria narrazione interna, della narrazione della propria vita che ha conosciuto l’amore e ne ha pagato alto il prezzo, un prezzo così alto da portarlo all’autodistruzione. Perché la vita è fatta anche di “capitoli digressivi e noiosi sulle balene”, ma questa è la verità del vivere e sopportarli è la verità di ogni grande amore, come quello di Charlie disperato che vuole riconquistare il tempo con la sua Ellie, e di Ellie che ritrova un padre mentre lo sta perdendo.
Che Achab e la Balena, in fondo in fondo, inseguendosi così, siano stati anche corpi che si attraevano e non solo si respingevano?
Ho trovato il film banale, realizzato con professionalità, tecnica e qualità interpretative, narra una vicenda da romanzetto politicamente corretto: lui s’innamora dello studente, per inseguire l’amore abbandona moglie e figlia, l’amato si suicida perché la sua chiesa condanna l’omosessualità, lui si autodistrugge con il cibo. Insomma, autenticità dell’identità gay soffocata dalla società retriva. La favoletta non può esasperare i toni e ci sono i correttivi: lui è un cattivo padre, ma anche no (mette da parte i soldi per la figlia resa orfana); la moglie è risentita per il tradimento, ma anche no (come giudicare un amore?), la ragazzina è una iena con la vocazione per far del male agli altri, ma anche no (cucciola che attende la manifestazione illuminane dell’amore paterno); i religiosi sono bigotti, ma anche no (il missionario ha tanta buona volontà). E alla fine si vogliono tutti bene, il sole splende e le balene possono volare.