Svuotare i nostri templi

Il Vangelo ci invita a fare spazio a Dio, rimuovendo ciò che nel tempo ha occupato i nostri luoghi interiori - impedendoci una vita piena -, avendo magari accumulato solo quanto è destinato ad appesantirci per poi perire nell’oblio. Come accade in un celebre romanzo di Giorgio Bassani.
7 Marzo 2021

È un Gesù severo, quello che ci viene incontro in questa terza domenica di Quaresima. Un Rabbì divorato dallo «zelo» per la casa di Dio, un Rabbì pronto a prendere una sferza di cordicelle e a cacciare fuori tutti coloro che usano il sacro e strumentalizzano la religione per i propri affari. Gente che occupa il tempio non per mettersi in relazione con Dio, ma per fare uso del nome di Dio a proprio personale vantaggio: cambiavalute, venditori, ciarlatani. Alla preghiera si sostituisce il «mercato», all’Altissimo si preferisce il guadagno: il Padre è messo in ombra dal denaro.

L’ammonimento di Gesù è netto: «Portate via queste cose». Poche parole, ma ricche di risonanze interiori: quali cose anche noi siamo chiamati a portare via? Con quali cose abbiamo occupato il nostro tempio, ovvero lo spazio riservato a Dio? Ognuno di noi, se è onesto, sa che nel corso del tempo si accumulano cose che vanno a riempire lo spazio di Dio, per cui, ciclicamente, siamo invitati a ‘portare via’, a ‘fare pulizia’. Forse qualcuno ha occupato il proprio tempio con desideri e ambizioni che hanno frenato l’abbandono fiducioso, ancorché difficile. Qualcun altro ha magari deposto pigrizie e rimandi, piccoli egoismi e meschinerie. Altri potrebbero aver sostituito al tempio i propri idoli religiosi, l’attaccamento a forme e culti antichi, non così evangelici. Qualcuno si è crogiolato nella tristezza; qualcuno ha alimentato alibi e scuse, al posto di responsabilità. Altri si sono adeguati alla passività.
Altri si sono così tanto affezionati a dottrine e convinzioni da non permettere più alcuna novità allo Spirito…
Sono veramente tante le pecore e le colombe che si muovono sui banchi dei nostri templi; senza contare il denaro…

Ma il Vangelo ci ricorda che tutto quanto occupa lo spazio di Dio impedisce l’ascolto, rendendo pesante la fede… se c’è un insegnamento dei mistici è che lo Spirito si fa strada là dove si opera lo svuotamento: svuotare il tempio per fare spazio a Dio. Al contrario, lo intuiamo, ciò di cui abbiamo colmato le stanze del nostro tempio è destinato solo all’accumulo, e poi alla morte, alla dimenticanza: quanto di quello che credevamo importante si è poi dimostrato di scarso peso? Quanti fossili permangono nei nostri templi, invece del soffio di vita del Creatore?

C’è una romanzo che mi riporta al tema dell’effimero, della precarietà, dello sforzo vano: è Il giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani.
Del grande parco e della bella casa della famiglia Finzi-Contini, attorno a cui ruotano le vicende dei personaggi della storia, dal narratore a Micòl, da Giampiero Malnate a Alberto… cosa rimane alla fine, quando la furia della guerra si abbatte su quel piccolo mondo?

Il giardino, o per essere più precisi il parco sterminato che circondava casa Finzi-Contini prima della guerra, e spaziava per quasi dieci ettari fin sotto la Mura degli Angeli, da una parte, e fino alla barriera di San Benedetto, dall’altra, rappresentando di per sé qualcosa di raro, di eccezionale […] oggi non esiste più, alla lettera. Tutti gli alberi di grosso fusto, tigli, olmi, faggi, pioppi, platani, ippocastani, pini, abeti, larici, cedri del Libano, cipressi, querce, lecci e perfino palme ed eucalipti, fatti piantare a centinaia da Josette Artom, durante gli ultimi due anni di guerra sono stati abbattuti per ricavarne legna da ardere, e il terreno è già tornato da un pezzo come era una volta, quando Moisè Finzi-Contini lo acquistò dai marchesi Avogli: uno dei tanti grandi orti compresi dentro le mura urbane.

Anche della grande tomba familiare, alla memoria della quale il narratore risale visitando un cimitero etrusco, la cui descrizione apre il romanzo, che cosa rimane? Tutto è distrutto, o dimenticato:

E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba, istituita, sembrava, per garantire il riposo del suo primo committente – di lui, e della sua discendenza -, uno solo fra tutti i Finzi-Contini che avevo conosciuto ed amato io, l’avesse poi ottenuto, questo riposo. Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il figlio maggiore, morto nel ’42 di un linfogranuloma. Mentre Micòl, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno, e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della signora Olga, deportati tutti in Germania nell’autunno del ’43, chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi.

Tanto di ciò che consuma la vita e porta via energie occupa un tempio che dovrebbe invece avere spazio libero per una vita autentica, una vita feconda, una vita da giocare con coraggio e speranza, con misura evangelica e spirito di fiducia, con fede e con vero amore. Parola abusata, certo: ma alla fine, davvero, ciò che conta è l’amore.

2 risposte a “Svuotare i nostri templi”

  1. Maria Teresa Pontara Pederiva ha detto:

    E soprattutto abbiamo riempito i nostri templi di ricchezze di vario tipo. E’ accaduto anche alla Maddalena che profuma i piedi di Gesù con olio costoso, ma se guardiamo ai cosiddetti “tesori” custoditi nelle varie chiese lungo la storia (es. basilica di san Marco) qualche domanda ce la possiamo fare. Certo ha ragione il post: non ci sono solo le cose materiali a fare ingombro … ma…

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Donare e’ l’azione di un sentimento che esprime amore e viene dal cuore. Il Covid ha prodotto con il contagio un allineamento di uguaglianza tra uomo e uomo, ricco o povero, ha brutalmente smantellato ogni differenza che sia stata costruita dall’uomo a distinzione ‘uno con un altro, quello che il Vangelo di Cristo predica ,suggerisce Di avere amore come via privilegiata sentirsi “fratelli” figli di un medesimo Dio. Ha scacciato i venditori dal Tempio perché era a un altro dio quello a cui la gente si rivolgeva. E’ news da quotidiano che un Presidente di fronte al disastro pandemico, si propone di donare vaccini ai Paesi più poveri, per convenienza, il bene di tutti. Dunque l’amore Suggerisce il donare, ma anche giustizia vuole, che si riconosca al cittadino di ogni dove, povero o debole, giovane o vecchio in qualunque stato si trovi il dovere morale a essere soccorso e il diritto a godere di uguaglianza per quanto riguarda alla vita e alla salute.della umanità.

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