“No, non credo che Gesù sia risorto. Non credo che un uomo sia tornato dal mondo dei morti. Ma il fatto che lo si possa credere, che io stesso l’abbia creduto, mi intriga, mi affascina, mi turba, mi sconvolge – non so quale sia il verbo più adatto. Scrivo questo libro per non pensare, ora che non ci credo più, di saperne più di quelli che ci credono e di me stesso quando ci credevo. Scrivo questo libro per cercare di non essere troppo d’accordo con me stesso” (p. 244)
Ho appena finito di leggere Il Regno di Emmanuel Carrère. Più di 400 pagine di indagine serrata sulle origini del cristianesimo e, di riflesso, sull’intimo dello scrittore francese. Onesto, fino dove può e riesce a esserlo (come spesso nei suoi libri).
Le righe sopra riportate sono a metà del libro. Mi chiedo: quando mai uno scrittore “cattolico” riesce al tempo stesso, in poche parole, a condensare il suo punto di vista e riconoscere che anche l’altra posizione, opposta, è legittima e degna? Che va rispettata al punto da non considerarla peggiore o inferiore? Che l’inquietudine e l’umiltà sono lievito per ognuno? (Ovvero: rispettare il credente e il non credente che stanno in ognuno, come diceva un grande pastore, e prima di lui Joseph Ratzinger in Introduzione al cristianesimo: ma forse ce lo siamo dimenticato).
Non tutto certamente è condivisibile nel libro di Carrère. Però siamo di fronte a un autore di successo, non credente, sceneggiatore per cinema e televisione, che dedica molti anni a studiare, approfondire e scrivere centinaia di pagine per cercare di capire come è nato e si è sviluppato il cristianesimo. Un eufemismo: la questione lo interroga sino al midollo, non lo lascia in pace. Quanti “cattolici” avrebbero avuto lo stesso coraggio, la stessa lealtà e la stessa libertà? Chi si sente in dovere, oggi, di mettersi a scavare, con le proprie mani, per cercare la fonte di ciò in cui crede (ancora meno per ciò in cui non crede, o in cui ha creduto)?
Da Il Regno il credente può ricavarne molti stimoli. Ribadisco, non tutto è condivisibile (e in queste settimane tanto inchiostro è stato speso sul libro). Ma molto stuzzica, interroga, colpisce. E che venga dalla penna di un uomo che ha conosciuto il cristianesimo per poi allontanarsi può essere fecondo.
Appunto 4 temi che, personalmente, non mi hanno convinto, ma mi hanno pungolato, al di là delle fantasie che l’autore si prende la libertà di seguire per coprire lacune nella vicenda di Paolo e degli altri Apostoli (a proposito: chi sa che ci sono vuoti e contraddizioni nel Nuovo Testamento? O ancora: quanti lo hanno letto per intero?)
1) Nel libro di Carrère manca, ovviamente, un protagonista: lo Spirito Santo. Un’indagine storica (o storicista), informata e profonda, condotta da chi non è un esegeta, ma che si è molto documentato, sia su bibliografia cristiana sia di matrice ebraica o atea. Eppure: descrivendo e romanzando i conflitti, le tensioni, le liti tra le prime comunità di cristiani e addirittura tra gli apostoli, viene spontaneo pensare che, anche se solo un decimo di quanto si legge fosse vero, è necessario pensare e credere che senza lo Spirito Santo la Chiesa primitiva si sarebbe schiantata nel giro di un paio di generazioni. Lo Spirito è il grande assente che continuamente richiede la sua presenza. Ieri… e oggi.
2) Nessuno spazio, naturalmente, per la metafisica. Ma così sfugge anche il mistero… e torniamo allo Spirito Santo, se vogliamo. Oppure semplicemente fermiamoci al mistero. È il rimprovero che l’amico Hervé rivolge all’autore: “Non cominciare dicendo a te stesso che ne sai più di loro [i primi cristiani]. Sforzati di imparare da loro invece di metterti in cattedra. Questa non c’entra niente con quella violenza mentale che consiste nel costringersi a credere in qualcosa a cui non si crede. Apriti al mistero, invece di scartarlo a priori.”
Per inciso: Hervé non è cattolico, ma simpatizzante buddista.
3) Carrère lo ammette senza problemi: Gesù è storicamente esistito. Ma non era Dio e quindi non è risorto. Tuttavia… Gesù dice il vero sui valori che propone, che sono un ribaltamento totale del buon senso (meglio essere poveri, malati, dimenticati. Qui l’autore esagera un po’ nel ritrarre la carta del Regno. Ma non troppo).
Ammette che lui, al contrario, persegue successo, gloria, riconoscimento. Però: “Credo che la vocina del Vangelo dica il vero. E me ne vado, come il giovane ricco, rattristato e pensieroso perché ho molti beni”.
4) Infine si intuisce che coglie il Regno, che dà il titolo al volume, nella caritas gratuita, che regala gioia. La vede, nel finale, negli occhi di una ragazzina down. Lì è il Regno: gioia e amore gratuiti. Non devi essere bravo o intelligente o sano per meritarli. Sono donati. Gratis. E chi li può offrire? Dio, diremmo noi. Il testimone, direbbe forse Carrère. Ma le due cose, sappiamo, sono unite. C’è un fil rouge che lega tutte le pagine e le sezioni del libro: la centralità del testimone. Che sia la madrina dell’autore nella fase della sua parentesi cristiana, gli apostoli, o Luca il medico-evangelista, o ancora Jean Vanier nel finale. Il cristianesimo non si dà senza testimoni, si diffonde attraverso i testimoni. È così dalle origini, dalla prima testimone dell’evento centrale: Maria Maddalena. Certo, se non si crede alla resurrezione, dice san Paolo, vana è la nostra fede (Carrère insiste molto su questo punto, citando l’apostolo). Ma come arrivi a sapere e credere che Gesù è risorto se qualcuno non te lo racconta e ti mostra che è possibile crederci? E fa questo gratuitamente?
Nota finale: se la chiave di volta è la gioia gratuita, torniamo alle pagine in cui l’autore descrive la sua fase “cristiana”. Non c’è da stupirsi che si sia esaurita in tre anni. Navigava seguendo una rotta in cui la gioia gratuita non si vedeva nemmeno all’orizzonte.