La cultura cattolica italiana ha perso quest’anno un’occasione importante. A maggio sono trascorsi venticinque anni dalla morte di Luigi Santucci, ma non pare che alla cosa sia stata dato particolare rilievo.
Eppure, per avere un’idea di quanto Santucci sia stato nella trama di quella cultura, basterebbe una fotografia scattata a Milano nel novembre 1957. Sul balcone c’è un gruppo di amici: sono lì per predicare nella grande missione popolare indetta da Montini. Si riconoscono tra gli altri Turoldo, Mazzolari, Barsotti. Il balcone è quello di casa Santucci, e Luigi è lì con loro, insieme ai suoi figli.
Sempre questo 2024, peraltro, ha segnato i cinquantacinque anni di quello «splendido testo di catechesi narrativa» – come scrive Ravasi nella premessa alla più recente edizione – che è il suo Una vita di Cristo, edito nel ’69 da Mondadori.
Il testo è tutta una appassionata e innamorata risposta a quella domanda di Cristo che non a caso completa il titolo dell’opera: Volete andarvene anche voi? Quella domanda – scrive l’autore nella sua prefazione – «batte ad una certa ora per ogni uomo», e «forse solo questa frase di Lui può fornire una battuta d’arresto».
Rispetto alle altre vite di Cristo note, quella di Santucci ha la bellezza della poesia, senza tuttavia mai indulgere ad un vago sentimentalismo. Anzi, spesso la meditazione ha toni spietati, con se stesso e con i personaggi che intervengono sulla scena. Tanto che alla fine tutto diventa – come scrive egli stesso – «un’enorme metafora dei nostri sentimenti e del senso dell’eterno».
L’impressione è che quel libro – che spezza un po’ l’uniformità del genere letterario delle sue altre opere – Santucci non l’abbia scritto per gli altri, ma anzitutto per Lui. È la trascrizione della sua vita interiore, la partitura della sua vita di fede. Una vita di fede che ad un certo punto preme così tanto dentro, che chiede di uscire – come per le doglie del parto. E lì comincia la scrittura.
Non sorprenderà, così, che i vertici di bellezza del testo assumano la forma di una parola rivolta direttamente al «Tu». Come una preghiera che corre in tutto il testo, che palpita come vita, come sangue, sotto le vene delle parole stampate, e che di tanto in tanto emerge con passione: «Lasciaci solo il tuo nome, Gesù Cristo, da ripeterlo quando tutte queste altre parole siano tramontate. Poi spegni pure il sole e le altre stelle e fa’ di noi quello che vorrai».
L’occasione dei 25 anni dalla morte e dei 55 anni del libro può essere ancora raccolta in tempo, se, per questo Natale, ci regaleremo di leggere le sue pagine.
Forse, scopriremo che non avevamo mai pensato al sollievo di Maria, perché non c’era posto per loro nell’albergo: «Segretamente è un sospiro di sollievo: perché il Bambino non nascerà lì, tra quel sudore di ribaldi, fra quel falso russare di furbastri, in mezzo al becero egoismo degli arrivati primi».
Forse, insieme ai Magi, scopriremo che «neppure è vero che il sapiente gli è molesto. Gli ripugna soltanto la ricchezza di chi non sa alzarsi di notte, aprire i suoi forzieri per portare dei doni a un bambino sconosciuto; la dottrina di chi crede stolto inseguire una stella capricciosa».
Forse ci accorgeremo che non L’abbiamo mai visto che «ci guarda e ci ripete, in un’antica promessa mantenuta a se stesso: La mia gioia è di essere coi figli degli uomini».
Per accorgersi di certe cose, c’è bisogno (ancora) dei poeti.
CONOSCO IL LIBRO DI LUIGI SANTUCCI DALLA SUA USCITA E, PER ME, RESTA UNO DEI LIBRI PIÙ BELLI, PROFONDI, MEMORABILI CHE ABBIA MAI LETTO.
DI VERTIGINOSA BELLEZZA LE . PAGINE INIZIALI DEDICATE ALLA GENEALOGIA DI GESÙ E A SAN GIUSEPPE.
E POI TUTTO IL LIBRO