Un giorno di agosto, nel caldo serale della Terrasanta, stavo nel giardino della casa dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, a Nazareth, là dove il nobile irrequieto si era fatto servo delle clarisse, abitando da eremita una capanna abbandonata. Parlava, quel piccolo fratello, e a un certo punto si accostò ad un alto arbusto, piegò un ramo che aveva foglie e fiori e disse “questo è un albero di senape e questi sono i suoi piccoli semi” e li distribuì.
Faceva caldo, non tirava un alito di vento, la luce abbagliante di quelle regioni stava cedendo il posto al crepuscolo, tutto era arido. Eppure, quel seme — con la sua eco evangelica — portava con sé un respiro di vita: così piccolo nel palmo della mia mano, così capace di portare ombra e refrigerio nel tempo…
Mi scuso per la parentesi personale, ma ogni volta che la Parola mi fa incontrare con la parabola del granello di senapa la memoria va subito là, in quel brullo giardino di Nazareth. E così mi ricorda quella concretezza e quella quotidianità che animavano i discorsi di Gesù: vita comune, immagini, esperienze di molti… tutto più evidente nella terra arida delle contraddizioni, nelle contrade assolate dove il Nazareno camminava e sapeva che parlare di semi, piante e ombra assumeva un significato vivo e capace di generare un mistero: infatti, ci ricorda il Vangelo nell’altra parabola che precede quella dell’albero di senapa, il Regno di Dio è come il seme e misteriosamente apre la sua strada: “il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”.
Credo che sia questo uno dei grandi segni di speranza del nostro tempo: il Regno è già qui, è in marcia, e spontaneamente avanza. A chi sa osservare, non sfugge che i movimenti del bene sono sempre presenti e che, appunto, essi ‘germogliano e crescono’, ben al di là di tanti nostri ragionamenti, azioni, piani pastorali, progetti: “come, egli stesso non lo sa”. Il Regno cresce e forse dovremmo avere la forza e il coraggio di dargli spazio, senza voler per forza circoscriverlo, o spiegare allo Spirito cosa è lecito e non è lecito… Il Regno è qui, e dà ombra, offre ospitalità, diviene casa: “fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Fare il nido, trovare un luogo che sia la manifestazione del Regno per noi: è un compito e un dono, è una speranza e un orizzonte, come ci ricorda Ezechiele: “Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, / ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.”
Sarà l’immagine del seme o quella dell’albero, ma tutto ciò mi rimanda a una pagina profonda e delicata di Mario Rigoni Stern, in apertura a Arboreto salvatico, la sua raccolta di racconti dedicata agli alberi. Lì, introducendo il libro, l’autore si fa da parte per dare spazio a un altro grande scrittore, Anton Čechov, uno dei maestri dell’Ottocento russo:
Čechov, nel 1888, scriveva «Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi ugualmente logiche e semplici». Dieci anni dopo a un amico che va a trovarlo in Crimea dice: «Qui ogni albero l’ho piantato io e mi sono cari. Ma ciò che importa non è questo, è il fatto che prima che venissi io qui non c’era che un terreno incolto e fossi pieni di catrame e cardi selvatici. Ho trasformato quest’angolo perduto in un luogo bello e civile. Lo sa? Fra tre, quattrocento anni, tutta la terra si trasformerà in un bosco fiorito e la vita sarà meravigliosamente leggera e facile”.
Far crescere il seme del Regno, a partire dalla nostra vita, con un po’ di fantasia e fiducia. Dare spazio, coltivare la presenza del Mistero nella vita. Rendere possibile allo Spirito di trasformare l’incolto in terra feconda.
Non è anche questo il messaggio di Charles de Foucauld? Arrendersi e dare spazio al granello di senapa, farsi egli stesso granello, per poi portare frutto, generando vita e fecondità…
Forse, prima di tante riunioni parrocchiali e comunitarie, oppure nei nostri momenti di bilancio personale, quando siamo di fronte a noi stessi, dovremmo chiederci se stiamo permettendo al Regno di crescere, se concediamo fiducia alla fecondità di Dio, che va sempre oltre i nostri calendari, i nostri narcisismi e le nostre convinzioni: “Qui ogni albero l’ho piantato io e mi sono cari. Ma ciò che importa non è questo, è il fatto che prima che venissi io qui non c’era che un terreno incolto e fossi pieni di catrame e cardi selvatici. Ho trasformato quest’angolo perduto in un luogo bello e civile”.
Ma perché il Regno fosse, Dio ha mandato il Figlio a seminare la Parola e ci fossero dopo di Lui altri a diffonderla a far crescere il seme del Regno.. Ha chiamato lavoratori affidando loro l’incarico di renderlo grande, partecipe a tutti quelli che abitano la terra, desiderosi di farne parte. Nei fatti di oggi, la sua Chiesa, a salvaguardia della incolumità del gregge affidatole, si fa attenta Madre e Maestra perché non sono mura che Ella vuole salvare, ma si fa avvocato a dare testimonianza di Colui che ha detto ai suoi allora, vi perseguiteranno…ma :” io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere ne’ controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi…. sareteodiatida tutti a causa del mio nome. Ma neppure un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vita”.(L.21.12)