Coronavirus: e dopo?

come tutte le cose umane, anche questa finirà e torneremo alla nostra quotidianità fintamente garantita e lecita. E dopo? Dopo non avremo imparato nulla?
24 Febbraio 2020

“Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene” (CCC 310-311). Sgomberiamo subito il campo dalle follie interpretative sulle cause del Coronavirus che riemergono in questi giorni, sia in casa cattolica, sia in casa islamica.

E concentriamoci invece sulla parte costruttiva: “misteriosamente, sa trarne il bene”. Sembra davvero fuori luogo e quasi un insulto, oggi, provare a scovare quale sia il bene che Dio può trarre per noi da questa epidemia. Non lo so di certo io! Solo penso che, come tutte le cose umane, anche questa finirà e torneremo alla nostra quotidianità fintamente garantita e lecita. E dopo? Dopo non avremo imparato nulla?

Anche qui non ho la risposta, ma qualche riflessione sparsa si.

Intanto questa epidemia sta mettendo a nudo una verità che il dogma “post-moderno” della intangibilità della volontà del singolo ha cercato di nascondere il più possibile, senza riuscirci, perché la realtà è superiore all’idea: nessuno è un isola! Che nessuno possa vivere senza avere bisogno degli altri era già palese, ma che il mio vivere produca sempre e realmente effetti sulla vita degli altri era molto meno evidente. E che, poi, il modo di rapportarmi a me stesso abbia anch’esso, sempre e realmente, effetti sugli altri lo era ancora meno.

A chi verrebbe in mente che gironzolare per una settimana per mezza padania per lavoro, con un po’ di tosse, febbricola leggera e piccoli disturbi respiratori, possa avere effetti sanitari sugli altri? Al massimo ci preoccupiamo di stare abbastanza bene noi e di potercela fare a reggere fisicamente.

A chi verrebbe in mente che raccontare l’epidemia sottolineando i rischi e minimizzando i dati possa avere un effetto di distorsione valutativa negli altri? Tutt’al più ci interrogheremmo sulla riuscita giornalistica del pezzo, misurata sulla concorrenza.

A chi verrebbe in mente che la ricerca di un colpevole, identificabile e additabile, possa avere un effetto razzistico negli altri? Al massimo siamo contenti che questo ci rassicuri, affinché il nostro piccolo individualismo sia ancora salvo. L’altro non è un problema mio.

Quando, però, il problema diventa mio, le cose cambiano e allora ci attiviamo per difendere noi stessi dagli altri. Perché, in una epidemia, il pensiero di fondo di ognuno è che chiunque potenzialmente è un pericolo per me. Paradossale rivelazione “sub contrario” che nessuno è un isola, proprio mentre “isolarsi” sembra poterci salvare.

Ma qui emerge un’altra riflessione. L’ipotesi che isolarci possa salvarci sta in piedi soltanto se deleghiamo compiutamente all’istituzione la gestione del sistema “vita”. La quarantena funzione solo se fuori da essa ci sono persone che, applicando regole oggettivate dall’istituzione, rende possibile la mia vita in quarantena e quella degli altri fuori da essa. Ci siamo convinti che sottrarre istituzionalmente ruolo all’iniziativa sociale del singolo garantisca più protezione e sicurezza sociale. Ma la realtà è superiore all’idea e l’istituzione, come l’epidemia evidenzia, è ben lontana dall’essere in grado di garantire e proteggere tutti.

A chi verrebbe in mente di dire al garzone del supermercato che ci porta a casa la spesa: metti la mascherina che ho l’influenza? Al massimo ci preoccupiamo che non ci faccia spendere eccessivamente e che ci porti proprio quello che avevamo richiesto.

A chi verrebbe in mente che la mascherina possa essere messa non solo per non essere infettati, ma anche per non infettare gli altri? Al massimo ci diciamo: ho già i miei problemi da risolvere, gli altri si arrangino, o, appunto, ci penseranno le istituzioni.

A chi verrebbe in mente che mantenersi in salute sia un valore anche sul piano sociale e non solo individuale? Al massimo, quando va bene, lo pensiamo in relazione ai più stretti legami famigliari, figli, famiglia, genitori. Ma oltre questa cerchia non è proprio pensabile.

Infatti, il dogma “post-moderno” della intangibilità della volontà del singolo, va di pari passo col suo omologo dogma: il potere sociale deve competere tutto ed esclusivamente all’istituzione, che per funzionare deve, ovviamente, limitare la volontà dei singoli. E così si rivela la contraddizione più radicale della post – modernità. Né il singolo, né l’istituzione sono in grado di realizzare ciò che sono, e tra loro entrano profondamente in conflitto.

Negli anni ’50, mia madre andava a trovare suo zio in ospedale. E vedendo le infermiere molto indaffarate le veniva spontaneo dire: “se volete vi do una mano a pulire il pavimento”. E le infermiere, a loro volta, accettavano volentieri. E’ ancora percorribile?

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