Analfabetismo biblico-religioso: una questione sociale?

In un recente testo che merita di essere rirpeso vengono analizzate la rilevanza del problema e le possibili soluzioni
29 Luglio 2024

In questi roventi pomeriggi estivi, in attesa di poter mettere il naso fuori casa dopo il calar del sole, ho ripreso in mano una pubblicazione del 2022, dal titolo L’analfabetismo biblico e religioso – una questione sociale. Il testo, curato da Brunetto Salvarani, raccoglie alcuni interventi presentati ad un convegno su questo tema svoltosi a Modena nel 2021.

Un argomento spinoso, ma che ha una sua rilevanza. Che la scarsa conoscenza religiosa e biblica sia un elemento diffuso, lo sa chiunque si occupi di catechesi. Io, per esempio, ho rilevato negli anni che nessuno nei miei gruppi di cresimandi adulti sapesse cosa è l’anno liturgico o quale sia la festa principale del cristianesimo. Ma perché questo analfabetismo dovrebbe essere un problema? E da cosa deriva?

Secondo Brunetto Salvarani, “l’analfabetismo religioso denota un impoverimento culturale” e “comporta anche elevati costi sociali, perché concede spazio, almeno indirettamente, a incidenti culturali che minano la coesione sociale e rallentano i processi di integrazione”. Ignorando i codici religiosi e in particolare biblici, inoltre, “ci si preclude la comprensione di molteplici presenze nella vita quotidiana dei Paesi di antica cristianità: come interpretare sculture e immagini che popolano città e campagne, capire espressioni, modi di dire e proverbi del linguaggio popolare e colto, muoversi tra calendari, celebrazioni e feste”

Dalle ricerche che sono state effettuate sulla questione, ma anche dalla esperienza quotidiana dell’insegnamento e della catechesi, l’Italia risulta essere  un paese povero di conoscenze religiose, e tra le cause si possono indicare la tradizionale diffidenza del clero cattolico che considera la troppa cultura  nociva alla fede, la mentalità laicista che ha accantonato ogni sapere religioso in quanto non rilevante, ma anche la rottura del filo di comunicazione dei fondamentali del cattolicesimo tessuto in famiglia prima ancora che nelle parrocchie.

Il fenomeno ha conseguenze precise, come rileva Francesca Cadeddu, che individua anche ciò che manca per risolverlo : “Il deficit di conoscenze e informazioni riguardanti le norme, i testi, le dottrine e le culture che le fedi abitano e hanno abitato storicamente ‘inquina’ tanto il vissuto comune quanto il modo con cui esso viene rappresentato nei media, con pregiudizi e stereotipi, provocando incidenti culturali che hanno un impatto diretto e immediato sulle persone  e il loro  senso di appartenenza  una società. Ciò che manca è una azione culturale che, coinvolgendo più sfere del vivere (scuola, famiglia, lavoro, sanità, tempo libero) e più livelli istituzionali (politico, religioso, scolastico, amministrativo) riduca gli scontri identitari a favore di una convivenza migliore”.

Il discorso dunque si allarga: l’ignoranza dei fondamenti religiosi si inserisce in un impoverimento culturale complessivo, che riguarda sia il linguaggio che i contenuti (si pensi, per esempio, alla scomparsa di tempi verbali come il congiuntivo o alla diffusa mancata conoscenza della nostra storia recente o della Costituzione come base legale e civile della nostra società). Nei percorsi di catechesi, la mancata conoscenza delle basi del cattolicesimo implica un’adesione molto soggettiva e spesso fumosa ai percorsi di fede, ma anche, di conseguenza, un disinteresse verso le altre tradizioni religiose, che invece sarebbe opportuno conoscere visti i contesti multiculturali in cui ci troviamo a vivere. Paradossalmente, poi, l’assenza di cultura religiosa favorisce forme di religiosità elementari, ai limiti della superstizione, e rende più vulnerabili al fascino delle sètte, sempre più diffuse (a dispetto della secolarizzazione!) e a volte anche pericolose (come testimoniano fatti di cronaca recenti e meno recenti).

Il sociologo Franco Ferrarotti sottolinea con forza l’urgente necessità di “riscoprire e rivalutare la funzione salvifica del sacro come l’anti-profano, l’anti-mercato e il meta-umano, che potrà aiutare l’uscita dalla società dell’usa e getta e ricostruire l’unità del  vivente umano, passare dall’homminitas alla humanitas. Una società come quella attuale che scelga come principio-guida l’innovazione tecnologica è condannata in partenza, destinata a passare da compagine a congerie, disorientata, ansiogena, tecnicamente progredita e umanamente inaridita”. “La tecnica (…) è certamente un valore, ma è un valore essenzialmente strumentale. Non ci dice da dove veniamo, dove siamo, dove andiamo. (…) Lo stesso discorso va fatto per l’economia di mercato (…). Il mercato è perfettamente legittimo come foro di negoziazione e transazione in termini economici e finanziari. Ma è un patetico errore di indirizzo considerarlo una bussola, la fonte di segnali per la vita sociale”. “Occorre riscoprire e risvegliare in noi il senso dell’antitesi sacro-profano. C’è un valore al di là e contro i valori strumentali del mercato. È un valore finale. È il sacro: un valore meta-umano, essenziale per la comunità umana”.   “In altre parole, il meta-umano, il sacro, lungi dal porsi come illusoria speranza (…), emerge e resta, fermo, come la difesa estrema del carattere umano della società umana, la garanzia della sua sopravvivenza, l’assicurazione contro il suo auto-annientamento”.

La mia esperienza di catechista per le cresime degli adulti conferma in pieno l’analisi di Ferrarotti. Le persone che hanno partecipato ai vari corsi erano tutte inserite nel modo del lavoro,  e si stupivano quando riflettevamo sull’importanza del silenzio e della riflessione personale, che consente di individuare valori e mete diversi da quelli indicati dalla società del profitto, dalla logica del lavoro ininterrotto e alienante, dalla esclusione del tempo personale e relazionale poiché totalmente asservito alle esigenze lavorative. Era per loro una sorpresa: la scoperta delle possibilità di una vita più umana, garantita proprio dall’elemento religioso.

Ricordo bene gli sguardi stupiti, e anche le parole di ringraziamento alla fine degli incontri. Piccoli barlumi di vita capaci di restituire un po’ di senso all’esistenza.

Alfabeto di fede, alfabeto di senso: speriamo di ritrovarlo al più presto!

 

 

2 risposte a “Analfabetismo biblico-religioso: una questione sociale?”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Che differenza tra analfabetismo e ignoranza?
    Io trovo le radici nell’aver ridotto tutta la REALTÁ semplicemente a quello che passa per la MIA mente.
    Ne deriva che
    – ognuno pensi come vuole
    – la Veritá diventa individuale quindi non puö esistere la Veritá condivisa!
    – cercare di riflettere sul senso di
    REALTA’ Virtuale e ei capirå xchę Oggi l’ignoranza ė diventata la Norma.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Certamente è importante anteporre il sacro al profano per attraverso la Parabola far conoscere il pensiero Cristiano incarnato nell’oggi. Supponendo di parlare a persone digiune di cultura cristiana, senza porsi domande del perché non c’è stato passaggio di testimone, ma ex novo fare della Parola strumento che apre a un dialogo fraterno, umano che raggiunge il cuore dell’uomo di oggi, quasi a sottoporre al suo giudizio cosa è perché può giovargli il discernere il bene che più e conveniente a rendergli la vita interessante , degna di essere vissuta. Infatti il dramma che oggi cade sotto i nostri occhi e l’accettazione della morte, la fine con il corpo dell’uomo come se di se non resti traccia per cui tanto vale vivere cedendo a passioni, una vita temporale vissuta libera da discendente da un proprio giudizio e volere, dove anche l’uccidere un proprio simile diventa arbitrio personale

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