Qualche giorno fa il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Sceam), per bocca del suo presidente il cardinale Fridolin Ambongo, ha reso pubblico un documento in cui scrive a chiare lettere che le Chiese di Africa non applicheranno la possibilità aperta da “Fiducia supplicans”, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede dello scorso 18 dicembre, di concedere benedizioni pastorali – non liturgiche o rituali – a coppie omosessuali. In verità il dicastero ha offerto questa possibilità a tutte le coppie irregolari, ma i vescovi africani limitano la non applicazione alle coppie omosessuali.
Non mi interessa entrare nel merito. Vorrei invece soffermarmi su un dettaglio, rivelato nella lettera dei vescovi africani, quando affermano che il loro scritto “ha ricevuto il consenso di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Eminenza il Cardinale Víctor Manuel Fernández”, dal 1° luglio 2023 prefetto del Dicastero per la dottrina della fede.
Non è la prima volta, durante il pontificato di Francesco, che autorevoli rappresentanti della gerarchia dichiarano pubblicamente di non riconoscersi in alcune posizioni di Francesco. Per due volte, due gruppi di cardinali hanno inviato pubblicamente interpellanze al papa, mostrando di non condividere posizioni pastorali del papa, la prima sull’eucarestia alle coppie di separati, la seconda sul valore delle risoluzioni del sinodo, attualmente ancora in corso, sulla Chiesa sinodale. Oltre a questi casi vanno ricordate le rimostranze del cardinale Robert Sarah sul tema del celibato dei preti e una serie di dichiarazioni pubbliche di alcuni vescovi, americani soprattutto, di presa di distanza dalle posizioni espresse da Francesco in “Amoris Laetitia”.
Mi sembra, però, la prima volta che Francesco riconosce e accetta pubblicamente il dissenso. E non è un dato da poco, visto che, anche solo con Benedetto XVI questo sarebbe stato impossibile. In realtà non si tratta di un vero e proprio dissenso, perché “Fiducia Supplicans” non impone, ma solo si limita a rendere possibile, in certe condizioni, la benedizione di coppie irregolari. Ma forse proprio in questo si vede il primo significato di questo gesto di Francesco: rendere effettivamente concreta una Chiesa più sinodale, in cui le conferenze episcopali possano avere più spazio decisionale di quanto fin’ora sia accaduto. Di fatto ciò significa riconoscere che Roma non ha l’unica parola, su questioni non essenziali della vita di fede, bensì ha l’ultima parola.
Si manifesta così un interessante paradosso. Proprio quelle aree della Chiesa, soprattutto della gerarchia, che non vedono di buon occhio un ridimensionamento del potere di Roma a favore di una chiesa più sinodale, con la loro pubblica presa di distanza, accettata e riconosciuta dal Papa, di fatto danno vita ad una Chiesa che va esattamente dove loro non vorrebbero che andasse. E, in questo senso, la strategia di Francesco raggiunge l’obiettivo.
Ma Francesco è sempre molto attento a non “strappare” troppo, perché sa che chi non ha una visione sinodale della Chiesa, può davvero sentirsi “fuori casa” se i cambiamenti avvenissero troppo in fretta e in modo impositivo. Perciò, dapprima ha scelto la linea del silenzio di fronte al dissenso, e ha evitato nel sinodo sull’Amazzonia uno strappo troppo forte sul tema del celibato sacerdotale. Poi è passato alla risposta personale, con tanto di spiegazione della propria visione, uscendo così dalle strette maglie di una tradizione di potere papale che si impone ma non spiega, a fronte delle richieste di chiarimento sul valore delle scelte del sinodo. Infine ha aperto una possibilità inusuale sulla benedizione delle coppie irregolari, ma non l’ha resa vincolante, accettando pubblicamente anche che alcune Chiese possano non applicarla, anche se solo in parte.
In questo quadro prende un senso anche lo stop, nei fatti, che Francesco ha esercitato nei confronti della conferenza episcopale di Germania, sulla questione del riconoscimento alle donne di un maggiore ruolo ecclesiale. Fino a che si tratta di possibilità aperte dalle decisioni vaticane, se non sono imposte, possono rappresentare una possibilità per quelle Chiese che ne avvertono maggiormente la necessità. Quando però si tratta di possibilità decise da singole conferenze episcopali sembrano, per ora, più un rischio per la Chiesa che non una possibilità.
Francesco, forse, vuole continuare a mantenere il controllo complessivo sul cambiamento della Chiesa, proprio nel tentativo di non lasciare indietro nessuno, ma senza che tale cambiamento si fermi. In questa direzione, se la salute lo sostiene, potremmo aspettarci che Francesco faccia altri possibili allargamenti del recinto tradizionale, su cose non essenziali, ma sempre evitando che qualcuno lo sorpassi e provochi reazioni troppo difficili da mantenere in unità.
Segnali positivi, grazie all’autore di averceli evidenziati. Tre dubia:
– Lo sforzo di mantenere l’unità mi sembra velleitario: in ogni epoca qualcuno si stacca. Il freno a mano tirato aiuta a tenere dentro i più “conservatori”, ma frustra e talvolta perde i più “progressisti”: siamo sicuri che ne valga la pena? Non sarebbe meglio il contrario?
– Mi chiedo anche se non si confonda l’unità con l’uniformità
– il prezzo più grosso però lo paga lo Spirito, che chiede riforme ma il papa gliele nega (cf richieste inascoltate del Sinodo in Amazzonia e in Germania): davvero non ne vale la pena!
Sono architetto,progettista di chiese e da circa tredici anni opero in Kenya.Va ricordato che la chiesa africana è ancora giovane e inserita in democrazie molto giovani (a proposito dei diritti civili). La posizione dei vescovi africani appare in netta contraddizione con quella vocazione “naturale” degli africani di rapportarsi con Dio, un Dio indiscutibilmente onnipresente e misericordioso che appartiene alla loro cultura etnico-tribale; tuttavia risente di due aspetti negativi: il primo, che i giovani preti vedono nella scelta di vita consacrata un riscatto economico-sociale ancora lontano dall’essere “bene comune”; il secondo, una visione”clerical-curiale” nell’esercizio del dicastero, un modello di chiesa sicuramente esportato con origine nelle università teologiche occidentali, ovvero l’esaltazione della la teologia del “dire” piuttosto che la teologia del “fare”. Papa Francesco fa bene ad attendere che cresca, ma va accompagnata.
Mi sembra che una risposta circa iniziative che tendono a “radunare un gregge disperso” la si possa leggere nella realtà di fatti. Ci sono state proteste da comunità’ omosessuali che non intendono rinunciare a essere coppia genitoriale e diventare famiglia, opporsi perciò a decisioni di autorità regionali contrarie a concedere loro il consenso all’adozione di bambini provenienti gia ‘ da una problematica situazione famigliare. Questa decisione dimostra la premura rivolta alla persona “bambino” il quale se già provato da un vissuto difficile, necessita essere accolto in un ambito che rispecchi un modello positivo di benestare. Un pensiero laico e’ quello tendente a criticare un Dio che “impone” la sua Legge a un uomo che però aspira e si fa diritto di una sua diversa.libertà. La Chiesa di Cristo non può che ricercare e insegnare quell’Amore che Egli ha testimoniato, quello del Padre stesso, via, verità e vita , attirando seguirlo
È vero, una buona notizia: se il metodo sarà mantenuto (sottolineo “se”…) forse avremo una Chiesa più pluralista. A che punto però fermarsi per “fare unità”? Perché – ad esempio – sostenere che le donne prete siano impossibili in quanto essenziali al contenuto della fede? Al limite il metodo può portare a una Chiesa dove i vescovi sono l’ultima istanza di unità delle comunità (e i fedeli possono riconoscersi sotto l’uno o sotto l’altro). Sempre al limite, si rischia il superamento del concetto di religione stessa (“religare”), che forse è auspicabile ma che certo avrebbe conseguenze sociali e culturali di enorme peso.
“Su cose non essenziali’ proprio questo e’ l’ assioma,falso, di questo discorso: infatti la Fiducia Supplicans non tratta affatto di cose non essenziali’, ma anzi essenziali, ed e’ per questo che non solo i vescovi africani ma anche molto europei ,sudamericani, nordamericani hanno dichiarato che non possono in coscienza seguirla. Se si trattasse di cose non essenziali non ci sarebbe stata questa sollevazione generale.Come ha detto anche il card. Parolin si tratta di un tasto molto delicato.
Credo che se non recuperiamo la centralità del messaggio evangelico, ci perdiamo in mille elucubrazioni filosofiche.Gesù ci ha fatto vedere come vivere una vita in pienezza nell’ amore.A noi non spetta decidere chi benedire, chi salvare o chi consacrare. Questo è già stato deciso. A noi viene chiesto, se lo vogliamo, di stare alla sequela di Gesù. E la nostra vita da risorti non sarà in base alle regole e alla legge, ma in base all’ amore. Questo è universale. Questo è per tutte e tutti.
Esatto! È così semplice, Gesù ci insegna e noi ci perdiamo in un bicchiere d’acqua. Amore, inclusione, pietà. Lui ha combattuto il ” clericalismo” e noi ancora quì a sostenerlo.