Di Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, ho sempre ammirato la sua propensione alla vita cenobitica. Una scelta di vita, certo, personale e comunitaria, ma anche e soprattutto un vivere il Vangelo accanto alle domande di un’umanità in cerca dello sguardo di un Dio che sorride. Il cristianesimo di Enzo Bianchi è sempre stato un cristianesimo vivo, “perdutamente” relazionale, corporeo e quasi mai introspettivo, forte nella scelta della radicalità del Vangelo, battagliero al tempo stesso in campo ecclesiale, provocatorio sulla cosiddetta “religione civile” e nuovo persino nella scelta di un monachesimo “contemporaneo” pur attingendo alla ricchissima tradizione secolare benedettina (nonostante tanti all’interno del mondo cattolico se lo siano presto dimenticato in seguito alla nota vicenda del “caso Bose” -vicenda che, va detto, si sta risolvendo con i classici tempi lunghi della Chiesa, soprattutto adesso che il nuovo priore di Bose è Sabino Chialà, monaco di grande spessore spirituale e culturale). Ma aggiungo, è stato anche (e per fortuna) un cristianesimo dell’abbraccio e dell’uscita, molto tempo prima che la parola “uscita” diventasse in campo ecclesiale un modo di essere cristiani nel nostro tempo grazie a papa Francesco.
L’uscita di sicurezza, per citare Ignazio Silone, è, per Enzo Bianchi, ancora oggi, il sapore del pane fatto in casa, l’accoglienza fraterna e la tavola imbandita, la buona musica all’ora del vespro, l’icona orientale che vale più di una preghiera, le spezie dell’orto, l’amicizia condivisa. Lo ha dimostrato nelle migliaia di conferenze fatte in ogni parte d’Italia, negli articoli scritti per i migliori giornali italiani, ma soprattutto nei libri. Scritti a cavallo tra secolo passato e attuale, sono stati davvero un unicum nel frammentato universo cattolico, mettendo insieme leggerezza della scrittura, profondità dei contenuti e inno alla vita.
Così, quando ho visto in libreria Fraternità pubblicato da Einaudi, non ho resistito alla sua lettura, immaginando che quel titolo, forse, potesse spiegare, almeno in parte, la narrazione un po’ artefatta e partigiana che abbiamo avuto almeno negli ultimi tempi anni rispetto al “caso Bose”. Ho pensato: fraternità ferita e fraternità da ritrovare?
Oggi Enzo Bianchi vive a Casa della Madia ad Albiano d’Ivrea, una fraternità monastica composta da alcuni uomini e donne che condividono stabilmente la vita, il lavoro e la preghiera comune. «Siamo semplici laici – così è scritto nel sito della comunità – che cercano di vivere il Vangelo nella vita comune a servizio dei fratelli e delle sorelle, e tra loro soprattutto gli ultimi e i poveri. Siamo un luogo di incontro, di fraternità e sororità, una tavola approntata per la condivisione e lo scambio delle parole, degli affetti e della speranza. Abbiamo vissuto per decenni nella Comunità monastica di Bose e ora continuiamo la vita che abbiamo fatto restando fedeli alla nostra vocazione monastica e alla professione dei voti di celibato e di vita comune. Noi di Casa della Madia, insieme alla Comunità monastica di Cumiana, formiamo una comunione fraterna che ha come fondamento il seguire la Regola di Bose scritta nel 1972 da fr. Enzo Bianchi, fondatore di Bose. Questa comunione si esprime in un forte legame di fraternità, visite e scambi frequenti, sostegno e aiuto reciproco, collaborazione in alcune attività e celebrazioni comuni nel corso dell’anno».
Siamo dunque al nocciolo della questione: la fraternità. Che significato ha oggi? Come viverla? L’esegeta Bianchi ci parla della fraternità nella Bibbia ebraica, la fraternità di Gesù, e indica come viverla. Parla di fraternità instaurata, ma anche di fraternità e tradimento. Fraternità come fondamento e ragione per una necessaria fiducia nella bontà del vivere insieme; fraternità come solidarietà tra i membri di una convivenza ai quali è necessario riscoprire il bene comune; fraternità come incessante ricostruzione di ponti, come riproposizione di confronti, di riconciliazioni religiose, culturale ed etniche. L’accettazione della fraternità, insomma, richiede l’accettazione incondizionata del fratello e della sorella e la solidarietà come cura e custodia reciproca.
La fraternità può rigenerarsi anche dopo una frattura. In mille modi e forme diverse, come dimostra oggi Casa della Madia e come ha più volte rimarcato papa Francesco incontrando Enzo Bianchi dopo il “caso Bose”. Nella prefazione al libro, papa Francesco scrive che «Enzo Bianchi, con la sua abituale profondità umana e intelligenza spirituale, mostra che la fraternità è la vocazione dell’umanità».
Sebbene Enzo Bianchi non citi espressamente la fraternità riconciliata, ci sembra questa l’attitudine per ogni fraternità, anche quella tradita, che aspiri all’abbraccio con l’altro. La fraternità-sororità, d’altronde, è un compito che sta sempre davanti a noi. E va costruita giorno per giorno.
Ecco, in questa “costruzione di un amore”, canterebbe Ivano Fossati, che «spezza le vene delle mani/mescola il sangue col sudore/ se te ne rimane», c’è il fondamento di una fraternità che non sia solo dichiarazioni di intenti.
Il tempo – che asciuga le ferite – e lo spazio – che non limita, ma amplifica il legame tra cenobio ed eremo costruendo ponti – non possono che tracciare una strada riconciliata. E, almeno per chi scrive, attesa.
Buongiorno, essendo stato alcune settimane fa’ per alcuni giorni ( corso cucina) ho potuto constatare quello che l’ articolo descrive: ho respirato proprio “un’ aria” di fraternità con delle persone veramente fantastiche ( sia i partecipanti al corso ma, soprattutto, le persone che vivono quotidianamente ne La Casa della Madia) il tutto con la presenza costante,e molto importante, di Enzo Bianchi. Grazie di cuore e….a presto. Flavio Brognoli
Molto interessante e stimolante il commento, grazie!
La fraternità è sicuramente la forma, il modo di vivere il cristianesimo oggi, non ci sono altre vie….con tutte le complessità e fragilità umane che comporta.