Mein Jesu, gute Nacht! La traduzione è immediata: mio Gesù, buona notte, dormi in pace. Siamo al n. 67 della Passione secondo Matteo, quasi al termine. Cosa possiamo dire al Signore? Hai finito di soffrire. Tornerà il tema del sonno negli ultimissimi versi di entrambe le Passioni. Nella Passione secondo Giovanni il Coro “Ruht wohl” Riposate in pace, sacre spoglie ha proprio l’andamento di una Ninna Nanna.
Fatta eccezione per qualche Ninna nanna popolare dedicata al Bambino Gesù e pochi brani struggenti davanti al sepolcro, riservati a un tempo breve (per quello che è stato un brevissimo soggiorno), dobbiamo riconoscere che nei nostri discorsi “di Chiesa”, il sonno non gode di grande e buona considerazione. Del Maestro sappiamo che dormisse poco: sappiamo di attività di guarigione fin dopo il tramonto, di dialoghi notturni, di sveglia molto presto per ritirarsi in preghiera. I discepoli, invece, non sono all’altezza, infatti nell’orto degli ulivi, Gesù li richiama “Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?”. Questo ci introduce ai molti riferimenti al sonno nel significato di debolezza, cedimento. Tutte le vergini, anche le sagge, si addormentano in attesa dello Sposo; di contro parole di elogio per i servi che il padrone troverà svegli al suo ritorno. Evidentemente nell’attesa qualcosa non va per il verso giusto, se l’apostolo Paolo si vede obbligato ad esplicitare l’invito a destarsi (Rm 13,11).
Nonostante queste premesse, forse vale la pena spendere qualche parola sul sonno. Proprio il sonno e il riposo, senza troppe metafore.
Non possiamo non partire dalla Scrittura. “Ti coricherai, non avrai paura; ti coricherai e il tuo sonno sarà dolce” è scritto nei Proverbi. Ravasi, commentando il Salmo 4, riferisce una dolce preghiera della sera usata dalla sinagoga: “È un dono della tua santa volontà, o Signore, che io posso coricarmi in pace e svegliarmi sereno…”. Fa eco lo splendido Salmo 127: nel sonno arriva il ristoro ai prediletti dal Signore.
Ma c’è anche il sonno perso. Gli amanti perdono il sonno. Continueranno a perderlo, se la creatura che potranno aver generato proprio non vorrà dormire. E fin qui, come si suol dire, sono cose belle.
Severa l’annotazione di Qoelet: “dolce è il sonno del lavoratore, poco o molto che mangi; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire”.
Riferisce Giobbe: Quando io dico: “Il mio giaciglio mi darà sollievo, il mio letto allevierà il mio lamento”, tu allora mi spaventi con sogni e con fantasmi tu mi atterrisci. Riconoscibili immediatamente i fantasmi delle nostre angosce. Che poi fantasmi non sono, se c’è qualche preoccupazione vera, per noi stessi o per i nostri cari. E così nel Salmo 6: “ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, bagno di lacrime il mio letto”.
Può capitare che nella notte si riacutizzino i dolori nelle ossa, alle articolazioni, magari eredità di un intervento o una caduta. Ancora Giobbe: “Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo.” E così il dolore toglie il sonno… Qualche malato, nei momenti più difficili, arriva a chiedere di metter via gli orologi a pendolo, che scandiscono le ore di insonnia. Ci sono disturbi fastidiosissimi che si riaffacciano solo di notte. Nella notte potrà anche capitare di dover condividere il dolore altrui, e sembra che siamo tornati proprio a quella notte nell’orto degli ulivi (molto interessante l’invenzione/provocazione del Beato Angelico: i discepoli si sono addormentati, invece Marta e Maria vegliano…).
Al mattino poi, life must go on, show must go on. Comunque sia andata la notte (intesa, anche, come metafora di spazio intimo e segreto), saremo chiamati ad affrontare la giornata, adempiere ciascuno ai propri doveri, accudire i propri cari, lavorare, ascoltare cose di poca importanza, se non insulse, risolvere situazioni ed imprevisti, magari incrociare persone moleste o indisponenti. Forse è anche questo il senso di un aforisma che, di tanto in tanto, si rifà un giro sui social: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre” (J. Watson, alias Ian Maclaren). Chi, per una ragione o per l’altra, è stato privato del bene ristoratore del sonno, di una notte serena, forse non vorrà parlarne; tanto più se la cosa va avanti da diversi giorni. In fondo è la stessa forma di pudore che ci porta a tenere celato un periodo di ristrettezze. Magari potremo intuire qualcosa dal sorriso stanco, dallo sguardo spento con cui si affronta la fatica di ogni giorno.
Intanto, ogni giorno, ciascuno di noi ha accanto un “suo” Gesù di cui aver cura, per poi augurargli, alla sera: buona notte, dormi in pace!