“Smettete di fare quel che fate”

Se facciamo contatto, tra questo testo e la situazione attuale delle nostre Chiese, ne possono venire alcune importanti indicazioni.
21 Luglio 2024

Al ritorno dalla missione (quella vista domenica scorsa), i discepoli si riuniscono attorno a Gesù e gli raccontano come è andata. La predicazione sembra aver ottenuto molto interesse, tanto che, per il grande numero di persone che “vanno e vengono” (v. 31) non hanno nemmeno un “tempo opportuno” per mangiare. A quel punto Gesù, usando l’imperativo del verbo essere, gli dice: “Siate voi stessi in disparte, verso un luogo solitario e smettete per un po’ di fare quello che fate” (letterale v. 31).

Ci sono due cose strane in questo passo, se misurato su Mt 11,28, che istintivamente sembra parallelo. Intanto Gesù non li chiama a sé, come invece fa in Mt quando li vede affaticati e appesantiti dal ruolo pastorale. Qui, invece, non c’è menzione della loro fatica e l’azione di Gesù sembra avere un altro obiettivo, quello di far stare i discepoli un po’ da soli con sé stessi, ben diverso dal riposarsi positivo di chi si ritrova con il Signore.

Secondo: non sembra che Gesù abbia un moto di compassione verso di loro, come in Mt quando si offre come “ristoro” facendogli sentire che il suo carico è dolce e leggero. Qui, anzi, sembra che Gesù voglia farli riflettere sul loro prodigarsi, che appare come qualcosa non adeguato (come già visto domenica scorsa) e che deve essere corretto.

Come a dire che nella loro missione, i discepoli, non hanno trovato una forma adeguata del loro parlare ed agire, anche se ciò ha prodotto un grande interesse attorno a Gesù. Tanto che, quando arrivano in quel luogo deserto, lui solo scende dalla barca, loro, invece, vi restano dentro (v. 34). Cioè, Lui prende direttamente in mano le redini della missione, perché i discepoli non hanno agito secondo quanto lui desiderava. Può esserne una riprova la percezione che Gesù ha delle folle, sbandate e, appunto, senza pastori adeguati, che in lui provoca una compassione viscerale verso di esse (letterale v. 34), in cui si smuove fino nel profondo del corpo. E, in quella situazione, i discepoli, nel loro stare fermi nella barca a riflettere, possono guardare Gesù all’opera, per imparare come si fa.

Se facciamo contatto, tra questo testo e la situazione attuale delle nostre Chiese, ne possono venire alcune importanti indicazioni.

Primo. Sentirsi “da soli” e vedere le chiese un po’ “deserte”, è esperienza pastorale molto diffusa oggi. Spesso ci lamentiamo, tra noi e con Lui, per la crisi di partecipazione e lo sfilacciamento delle relazione dentro la Chiesa, quasi pensando che il “mondo” sia sfuggito dalle sue mani. Ma questo testo ci potrebbe permettere di leggere questa condizione come un dato anche positivo che ha a che fare con la volontà di Cristo. Infatti, riconoscere che questa condizione non è sfuggita all’amore di Dio, potrebbe permettere di farci qualche domanda proprio sul nostro modo di essere “evangelizzatori”, invece di restare bloccati nel lamento, o di pensare che tutto dipende dal mondo attuale, diventato così impermeabile al vangelo.

Secondo. In cosa i discepoli avrebbero sbagliato? Nel testo letto domenica scorsa due note sono chiare: hanno tentato di “convertire”, quando questo non veniva chiesto loro; hanno centrato la loro missione sui “miracoli”, rischiando di far intendere che il fine di Gesù fosse solo quello di “risistemare” le cose sul piano umano, attraverso la sua potenza amorevole.

Come non vedere in queste posizioni, due atteggiamenti pastorali oggi molto diffusi. Da un lato chi pensa che si debba puntare direttamente sulla “conversione” come fine dell’azione pastorale, impegnandosi in un “proselitismo” che non appartiene al vangelo. Non è la quantità dei cristiani a fare il regno di Dio, ma la qualità e la motivazione della loro adesione. Dall’altro chi spinge sul “miracolismo” come strumento pastorale per mostrare la trascendenza del vangelo e la sua efficacia nelle questioni umane, senza renderci conto che il miracolo non è la via ordinaria della presenza di Gesù risorto e che l’adesione a lui non nasce da una esperienza limite, il miracolo appunto, ma dentro al limite di ogni esperienza umana, cioè nell’amore vissuto nella normalità delle relazioni quotidiane, come conseguenza della sua incarnazione nella natura umana.

Terzo. I discepoli che restano “bloccati” nella barca e riflettono, sono nella condizione ottimale per vedere Gesù all’opera direttamente, senza mediatori umani che ne offuschino o ne travisino i modi. E allora, quando nella pandemia ci siamo trovati impossibilitati ad agire (e dall’allora questa impossibilità sembra non essere migliorata), potevamo e possiamo stare ad osservare come lo Spirito di Cristo agisca, da solo, dentro e fuori la Chiesa, anche oggi, provando ad imparare proprio da lui, per ridefinire i nostri stili pastorali. La prima operazione della Chiesa in uscita non è  “portare” Cristo a chi non ce l’ha. Questo, semmai è l’effetto finale di un processo che inizia invece con l’uscire per capire come, oggi, lo Spirito si rende ancora presente in questo mondo e provare a sintonizzarsi su quello stile.

Quarto. Una nota che sembra marginale, ma forse non lo è. Quello che i discepoli vedono in Gesù direttamente all’opera è un coinvolgimento amorevole che attraversa in lui tutte le sue dimensioni anche umane. Questa sembra essere, allora, un’indicazione pastorale positiva da seguire: la missione, oggi, può essere efficace se il discepolo si coinvolge umanamente tutto nella relazione con chi incontra, fino a mostrare un amore che lo sconvolge “visceralmente”, come Cristo. Il vero “miracolo” e il vero lavoro di “convinzione” sta nel far sentire quanto la nostra umanità sia coinvolta  nell’amore pastorale, fisicamente, emotivamente e razionalmente . Cosa che non si costruisce a tavolino, o seguendo lo stile del gruppo a cui apparteniamo, ma nasce solo nella relazione effettiva di fronte al “bisogno” dell’altro. Ma che può nascere solo se, prima, questo stesso coinvolgimento radicale lo abbiamo vissuto nella relazione con Cristo.

4 risposte a ““Smettete di fare quel che fate””

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Una vita generata e spesa con lo scopo essenziale di rivelare che Dio è Padre e cosa significhi essere figli di Dio ha bisogno giustamente di altro tempo per essere compresa.

    Anche il suo msg
    Pietro. ancora non con-vertito.🙃
    ..

  2. Alberto Ghiro ha detto:

    “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno*, “Padre nostro che sei nei cieli”, “essere per lui figli adottivi”.
    Lo sproloquio al fine di convertire, il plagio per educare e dare per scontato il messaggio che Dio è padre hanno tutta l’aria di venire dal maligno. Una vita generata e spesa con lo scopo essenziale di rivelare che Dio è Padre e cosa significhi essere figli di Dio ha bisogno giustamente di altro tempo per essere compresa.

  3. Maria Cristina Venturi ha detto:

    La prima Lettura della Santa Messa di oggi parlava di pastori che abbandonano le pecore ,le pecore sono senza pastore perche’i pastori sono traditori e apostati
    “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
    Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere’.
    il Vangelo dice che Gesu’ ebbe compassione delle folle perche’ erano come pecore senza pastore e lui stesso insegno’ loro molte cose .
    Quale ritratto della Chiesa di oggi !!!! Se non ci insegna Gesu’ stesso siamo proprio allo sbando .

  4. Francesca Vottoria vicentini ha detto:

    Gesù si è fatto umano per capire chi è l’uomo, il pensare dei suoi contemporanei (Dio lo ha mandato ed è nato in quel certo tempo), ha lavorato in tra la comunità, partecipando nella sua crescita a conoscere l’animo umano e solo così ha potuto comunicare il Suo pensiero. Come accade a una madre dedita ai propri figli, li conosce in profondità tanto che di ognuno sa descrivere la personalità e per questo quando lo istruisce sa per ognuno trovare la via. Forse occorre il tempo giusto anche per il suo comprendere. Certo che però è da escludere lo stare ad aspettare che si bussi alla porta solo per una funzione del ministero, Lui faceva domande, era attivo sempre fuori e dentro la loro vita così come era vissuta e il pensiero dei dottori della Legge fuorviato da interessi altri tanto che per questo esisteva il misero, il povero emarginati come uomini a essere solo servitori. Oggi è ancora così e forse di più, strade deserte dov’è Dio non è il benvenuto

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