Nei tre movimenti che animano il Vangelo di oggi, il terzo è quello della fede cristiana: ed è il movimento gratuito, quello che nasce dal ‘rendere grazie’, gesto quanto mai ‘inutile’, perché il fine è già ottenuto.
I prime due movimenti sono umanissimi e legittimi, ma sono ancora quelli dell’io: dieci lebbrosi vanno dal Nazareno e domandano, giustamente, una pietà concreta: guarigione dalla lebbra, ritorno nella vita sociale. Domandano pietà per porre fine a una sofferenza: chi non si riconosce in questa domanda? E infatti la guarigione avviene, secondo l’indicazione che il «Maestro» dà: presentarsi ai sacerdoti, seguire la legge: è il secondo movimento.
Tutto chiede salvezza, recita il titolo di un bel romanzo di Daniele Mencarelli. Tutto chiede salvezza, ma capire cosa sia salvezza, e capire che è nel terzo movimento, quello non scontato né prescritto, che essa si incontra, è rischio che corre solo uno su dieci. Perché compiuto il dovere e assolto quanto era stato richiesto, il movimento di nove uomini si ferma. Umanissima richiesta, umanissimo desiderio. E umanissima sosta. È stato assolto il compito, e va bene così.
Ma qui sta il terzo movimento, che solo lo straniero, l’impuro doppio (lebbroso e samaritano) compie, ed è il movimento del rendere grazie, cioè di fare qualcosa di non richiesto, ma che rappresenta il di più della fede: tornare e lodare; fare qualcosa di gratuito, senza utile proprio. È il movimento della fede cristiana, che passa dal «maestro» e dalla «legge» al gratuito del bene di Dio e per Dio. A ciò che chiamiamo ‘amore’, che anche Dio cerca in noi. Qui nasce la fede, che è capace di andare oltre la legittima domanda, per un semplice ‘dire grazie’, per una semplice ‘lode’. E lì che arriva l’invito ad alzarsi e andare, perché la fede ha procurato salvezza. È lì che avviene salvezza.
Troppe volte, forse, ci fermiamo al “maestro” e alla legge, pur legittimi; troppe volte diamo spazio all’io e poi ci fermiamo; seguiamo la prescrizione e non sentiamo nel cuore quel movimento gratuito del fare, andare, dire, incontrare Dio nel gratuito. Che è fare qualcosa oltre il proprio io. Siamo umani. Però il Vangelo di oggi dice che c’è una ricchezza nell’andare oltre, nell’osare a superare il ‘giusto’, la misura.
Forse aveva ragione Montale: «Occorrono troppe vite per farne una» (Estate, ne Le occasioni). Ma, forse, in una vita abbiamo occasione di viverne molte, o, per lo meno, di arricchire quell’unica con umanissimi movimenti, ma anche con ciò che è gratuito. Ed quello che, in fondo, dà sapore, lode, gioia. E salvezza.
Il Vangelo di oggi merita di essere segnalato. Come una condanna del ns silenzio a fronte dei profeti uccisi da noi del passato come Hus e tanti altri.
Il fratello che invita a credere nella Grazia mi ha ricordato una Persona di idee simili, barese, tanti anni fa su ICRC, ( che avevo fondato), testimoniava di essere scampato ad un incidente e quindi si proclamava prescelto ( mentre l’altro, che era morto….).
Spero sia chiaro a tutti l’errore madornale e denso di conseguenze negative..
Siamo sempre alle solite: voler imporre a Dio i PROPRI giudizi.
Non si ringrazia perche’ si ritiene che la malattia sia una vera e propria ingiustizia e la guarigione un diritto, non certo una grazia ,ma il minimo in un mondo creato come dicono le religioni da un Dio buono . Se Dio e’ buono e ci ama perche’ esistono i lebbrosi ? I malati di cancro? I disabili? I sofferenti?
E’ ingiusto che vi siano dei lebbrosi e dei sofferenti che uno muoia di cancro e un altro no, dunque il minimo che possa fare Dio e’ togliere la malattia e la sofferenza . Quindi i lebbrosi risanati devono ringraziare per cosa? Per ricevere quello che Dio avrebbe gia’ dovuto dare loro di diritto, come ha dato agli altri ai non-lebbrosi?
Temo che oggi come ai tempi di Gesu’ la maggior parte degli uomini ragionino cosi’ perdendo completamente l’ atteggiamento di stupore e di gratitudine .Perche’ la maggior parte degli uomini in realta’ non crede nella grazia ma solo nel diritto.