Continua il tentativo di Gesù di educare i suoi discepoli. Dopo la svolta fondamentale, rivelativa di Gesù come messia non trionfante che deve attraversare la Pasqua, domenica scorsa il tema era il senso del potere nel gruppo dei discepoli. E Gesù mostra come la Croce non sia strumento di potere, né sacrificio obbligatorio, ma servizio liberamente scelto per amore. Oggi il tema è il valore “esclusivo” dell’essere discepoli.
Con un certo senso di orgoglio e impeto, Giovanni riferisce a Gesù che loro hanno vietato a qualcuno di “buttare fuori il potente” (cacciare il demonio v. 38) nel suo nome. E il motivo che Giovanni riporta è molto rivelativo della concezione che i discepoli hanno: benché il gesto liberatorio sia stato compiuto in adesione a Cristo, quindi perseguendo ciò che Cristo desidera, non è un gesto da accettare perché chi lo compie “non fa strada insieme a noi” (non segue noi v. 38). Dove quel noi indica i discepoli senza Gesù, dato che aver impedito quel gesto è una decisione presa dal gruppo dei discepoli senza che Cristo lo sappia.
C’è in loro un’idea di fondo molto chiara (anche oggi presente tra alcuni fedeli): noi siamo gli unici autorizzati a “veicolare” Cristo e la sua forza liberatrice. Sembra di risentire l’interpretazione restrittiva (mai riconosciuta dal magistero) del famoso “extra ecclesiam nulla salus” (fuori della Chiesa non c’è salvezza). Tradotto: chiunque non “fa strada”, cioè non appartiene in modo concreto e visibile alla Chiesa, non può veicolare la salvezza di Cristo.
La risposta di Cristo cerca di rimettere a posto le cose. “Non vietate a lui!” Un imperativo molto netto, che sta ad indicare come per Cristo questo atto dei discepoli sia grave. In esso infatti si manifesta un’idea scorretta: chi non è con noi (discepoli) è contro di noi. Che Gesù corregge nel suo contrario: “Chi non è contro di noi è per noi”. Dove qui il noi contiene sia Cristo, sia i discepoli, assieme.
Va ricordato che Mt fa dire a Gesù: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30), che sembra essere l’opposto del testo di oggi. Ma in verità non è così. L’essenziale che discrimina chi sta dentro e chi sta fuori non è l’appartenenza concreta e visibile alla Chiesa, ma l’appartenenza nella fede a Cristo, di cui l’appartenenza alla Chiesa non è perfetta ed esclusiva traduzione. Perciò l’amore di Cristo può agire anche fuori della Chiesa visibile, nell’azione nascosta, ma reale, che lo Spirito Santo opera nel cuore delle persone. Perciò anche il semplice “non parlare male di me” (v. 39) è già un segno di appartenenza a Cristo.
E allora Cristo affonda il coltello sui discepoli. Non c’è bisogno di “fare strada” con i discepoli per fare azioni secondo Cristo, perché chiunque dia da bere un bicchiere d’acqua ai discepoli di Cristo, “non distruggerà affatto il valore del suo agire” (non perderà il suo salario v. 41). Per essere secondo Cristo è sufficiente, quindi, un atto così piccolo fatto in nome dell’appartenenza a Cristo, non la pienezza dell’adesione perfetta, che nemmeno i discepoli hanno ancora raggiunto. Tradotto: mentre voi dite a lui che non è di Cristo, non vi accorgete che siete voi a non esserlo nella stessa misura che chiedete a lui.
E qui si scopre, un po’ più precisamente, cosa viene indicato da Mc col termine “demonio” (v. 38). Il demonio è il “potente”, nel senso di colui che impedisce e blocca la crescita della fede. Guarda caso, esattamente la stessa cosa che produce “scandalo”, nella persona. Lo scandalo è la reazione di chi si sente “misurato”, verificato da qualcosa che, improvvisamente lo fa inciampare e gli produce il blocco di ciò che stava facendo. Cacciare il “potente” allora significa liberare le persone da tutto ciò che impedisce loro di aderire a Cristo e di “fare strada” con lui. Scandalizzare le persone, invece è a servizio del “potente”.
Perciò Gesù chiarisce ai discepoli l’idea che sono loro a dover essere liberati dal “potente”, che si annida nel proprio modo di agire (la mano, v. 43), di fare strada (piede, v. 45), di vedere – pensare le cose (occhio, v. 47). Perché quel loro modo di agire che nega l’azione di Cristo fuori dal recinto del gruppo è loro di scandalo, li blocca. Così pure il “fare strada” in modo esclusivista non fa crescere la loro fede. E allo stesso modo il pensare di essere gli unici depositari dell’amore di Cristo non li rende veri discepoli.
E quando Gesù passa a descrivere gli effetti di questo modo di essere dei discepoli, le frasi si fanno ancora più dure. In genere sono frasi che noi interpretiamo in senso figurato, collegandole a ciò che avverrà nell’aldilà. Credo invece che le cose stiano diversamente.
Chi scandalizza uno di questi “micron” (v. 42), cioè chi ha una adesione piccola a Cristo (non si tratta di bambini!), ma che nella sua piccola possibilità, comunque ama secondo Cristo, compie qualcosa di drammatico. La macina d’asino (circa 4 quintali di peso) legata al collo impedisce a chi è gettato in mare di riaffiorare. Per gli Ebrei la morte per annegamento in mare, senza che il corpo venga ripescato, rendeva impossibile l’accesso alla resurrezione, possibile solo se si era seppelliti in terra ebraica. Quindi, l’effetto, per chi fa questo è di essere già ora è fuori dalla possibilità della resurrezione, cioè sta vivendo già ora una vita senza futuro, senza senso, che sarebbe meglio non ci fosse.
Ancora. L’essere gettato nella Geenna (v. 43.45.47) non fa riferimento all’inferno, ma alla piccola valle (scavata dal torrente Hinnon a sud ovest del monte Sion, esattamente di fianco al tempo di Gerusalemme), che veniva usata come immondezzaio della città e in cui, perennemente, ardevano dei fuochi accessi per bruciare i rifiuti. Perciò, chi non si libera dei blocchi personali che gli impediscono di crescere nella fede, non serve a nulla, diviene spazzatura. “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13).
La Chiesa, perciò, non può pensare di sé, primariamente, di essere una barca che salva dal mare del mondo in tempesta. Il suo senso primario, il suo essere sale per evitare di essere pensata e sentita come insignificante spazzatura, sta nell’essere capace di far tralucere, di far brillare la bellezza di Cristo. La missione, e non la salvezza propria o altrui, è l’obiettivo della Chiesa. “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At, 2,48). La salvezza si decide prima (a volte un prima logico, ma a volte anche un prima temporale) di essere nella Chiesa, si decide nella relazione con Cristo e ciò rende possibile poi appartenere alla Chiesa, per raccontare ciò che lui ha fatto in noi.
Si insiste nell’affermare che “la Chiesa è madre” al femminile, come genitrice ad accogliere tutti..Christo Signore l’ha voluta perché in Essa ogni persona conquistata dal Suo Vangelo trovasse il recinto accogliente, rinsaldare la propria Fede, quando debole bisognoso di aiuto. Come il cittadino si rivolge a chi lo governa e collabora a leggi che rispettino il bene comune, così nella vita spirituale il fedele ha necessità di comunicare con quella comunità informata da valori ritenuti fondamento del vivere la propria vita. Perciò come Cristo ha ammaestrato i suoi dodici, e questi sono stati mandati a diramare il Suo Messaggio, tutti coloro si riconoscono avere fede, diventano Chiesa di Cristo, vivono secondo la Sua Parola. Una similitudine con la donna, il suo essere strumento nel procreare l’uomo, la fa genitrice dotata nell’avere cura particolare della vita nascente, e Magister della Parola.”Chi accoglie voi, accoglie me”.
Forse la cosa migliore sarebbe riuscire a superare, fare a meno, della categoria IN/OUT.
Perchè, vedi Maria Cristina, Gesù non vuole che buttiamo giù dalla Torre in cui ci saremmo rinchiusi
assassini ,ladri, mentitori, truffatori, profittatori ,sodomiti ,ubriaconi ,pedofili e compagnia bella .
MA
Ci chiede di FARCENE CARICO
xhè anche loro sono “roba nostra”!!
Gesu’ ha detto ” Lasciate che i bambini vengano a me” . La Chiesa ,come il Regno di Dio e’ inclusiva per chiunque e’ puro di cuore, sincero . Non per i furbi e potenti di questo mondo ,non per i Rohtchild e i Rockfeller i Soros e i miliardari filantropi, , loro hanno gia’ la loro ricompensa dal Principe di QUESTO MONDO, e non e’ inclusiva e indulgente come dice San Paolo per tutti gli assassini ,ladri, mentitori, truffatori, profittatori ,sodomiti ,ubriaconi ,pedofili ecompagnia bella .
Stamattina uscendo da Messa l’a😃😅🤣😭utomobile vicina alla mia era targata
ET xxx ET
😄
Eddai!!
Si fa x ridere!!😆😅🤣😭
Non una comunità chiusa ma aperta a che cosa? All’azione dello Spirito, il quale va contemplato come ulteriore agire di Dio. Un Dio che sventa azioni che non corrispondono al Suo creare il Bene o ne fa sorgere di nuove, come quella citata, questo indica che una Chiesa deve attrarre non chiudersi, impedendo allo Spirito quella azione di salvare non solo soggiogando ma accogliendo chi si sente attratto al Bene. Purtroppo anche in una parrocchia può avvenire che uno si senta non accolto, estraneo, la sua persona giudicata …Dio e il Bene, il Suo Spirito e libero, come anche l’uomo gode di libertà, solo che come essere umano può non vedere, non leggere nel cuore di un suo simile. E non siamo tanto cambiati se ancora non si vuole cedere a un confronto dove ascoltare l’avversario è avere in cuore di perseguire un bene comune, cosa primaria salvare vite umane da inutile sacrificio, creare nuova via a un bene reciproco la vita, la Pace! Estromettere dal cuore il vero nemico
…
apre la prospettiva ad una vita eterna priva di condizionamenti…
Interpretando la Parola, già potrebbe essere, secondo me, un azzardo dire o pensare di sé -sono cattolico ma anche -sono cristiano.
A chi segue la parola è bastante dire o pensare di essere figlio di Dio. (non dà una sensazione liberatoria).
Essere “solo” figli di Dio ha diverse sfaccettature:
significa imitare Gesù figlio di Dio,
libera dalla volontà di essere (essere seguace, cristiano, credente, benestante, generoso…), fa strada alla volontà di fare (dare da bere), libera dal pregiudizio che è legato al voler essere e colpisce il fare (mani), il pensare (occhi) e l’esprimersi (piedi, cioè ciò che si esprime con il proprio comportamento),
fa invocare il giudizio del padre che corregge il pregiudizio (Gesù corregge il giudizio degli apostoli),
salva la vita dal peccato che viene dal voler essere (la superbia di essere primi che porta conflitti) e dal pregiudizio (lo scandalo che viene condannato),