Il mattino del giorno di Natale

Il mattino del giorno di Natale
26 Dicembre 2019

Sono le otto del mattino. Esco di casa esattamente sui due rintocchi dell’orologio della torre della piazza. Il silenzio è irreale. Come quando nevica a fiocchi larghi e tutto sembra essere ovattato, ma la vita, al di sotto dei nostri affanni e delle nostre corse assurde, continua a nascere e rinascere. Anche nel freddo. Quello pungente che mi ferisce il volto alla piccola velocità della mia bici.

Vado verso casa di mia madre per alzarla da letto, nella solitudine di una città che dorme ancora. Sul corso principale non incontro nessuno. Guardando davanti a me, verso est, le fiamme dell’alba avvolgono la “Porta delle chiavi”, antico confine ad oriente della mia città. Troppo facile la metafora, ma irresistibile: da oriente verrà la luce, la salvezza. 

Ancora nessuno. Appena un auto in lontananza si avvicina pigra all’incrocio del ponte, il più rumoroso e trafficato del centro. Il semaforo funziona per nessuno. Dietro di me solo il fruscio tecnologico di una bici da corsa che porta a spasso il suo padrone mentre mi sorpassa. Un cane attraversa la strada sbilenco. Una evidente badante se ne va verso il centro città, con la su bici elettrica.

Il day after! Ecco cos’è… il silenzio è questo. Il day after dello tsunami del mercato natalizio. Anche quest’anno abbiamo espletato il rito collettivo obbligatorio, ma con poca, pochissima felicità. “Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero” (Lc 2,1). Siamo stremati! Estenuati dall’obbligo sottile di questo “censimento”! 

La mattina del giorno di Natale si contano i feriti: rancorosi incapaci di esplodere, narcisisti impauriti di sé stessi, conigli travestiti da leoni per sopravvivere, opportunisti che hanno svenduto l’anima al mercato, corpi in preda ad una snobistica depressione, ingranaggi umani triturati dalla routine, dal senso di colpa, dal senso di insoddisfazione. “Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città” (Lc 2,3).

La mattina del giorno di Natale, nel respiro affaticato dei cuori feriti, possiamo sentirlo. Un silenzio che grida, dietro le persiane chiuse dei grandi palazzi della periferia est, quasi dormitori che di giorno si svuotano e migrano verso nord, nella zona industriale e la sera si ripopolano in nidi famigliari dove la “mangiatoia” è spesso urticante e il calore è schizofrenico: fino al bruciare delle rabbie, o fino al congelare delle tristezze. “Il giogo che gravava su di lui, il bastone che gli percoteva il dorso, la verga di chi l’opprimeva” (Is 9,3). 

La mattina del giorno di Natale, nel mio delirio interpretativo non posso sottrarmi alla sensazione che questo silenzio, per un attimo, possa sospendere la guerra atroce di questo tempo che abbiamo da vivere: “Ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue” (Is 9,4). E ci possa consegnare la consapevolezza della vera posta in gioco: l’essere umano. “Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11).

Dentro alle nostre battaglie assurde, quotidiane, invisibili, forse ci è dato di percepire ancora l’umano, che si dibatte in mille forme depravate pur di resistere al suo annientamento. Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende. (…) Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato” (Is 9, 1.5).

Dentro alle nostre battaglie assurde, quotidiane, invisibili, ci è dato di essere talmente stremati tanto da dover ammettere che la vita non si ferma davanti a nulla. Che la vogliamo possedere e che ci lasciamo travolgere, la vita ci vive dentro, comunque, in ogni modo. “Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà” (Lc 2,10). 

Dentro alle nostre battaglie assurde, quotidiane, invisibili, ci è dato di fidarci che le nostre impotenti forze siano abitate dalla forza stessa che è la Vita, che nonostante ogni nostro tentativo, non si lascia mai sequestrare dal potere degli uomini e continua a ri-nascere come potere impotente e indifeso. “Questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia” (Lc 2,12).

Dentro alle nostre battaglie assurde, quotidiane, invisibili, ci è dato di sentire ancora la nostalgia insopprimibile di saper vivere “con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt 2,12), perché invece di cercare di vincere a tutti i costi la guerra possiamo fare come Lui che “ha dato se stesso per noi” (Tt 2,14). 

Svolto l’ultima curva ed entro nel cancellino del cortile. Chiudo la bici, ed entro in casa. Nel silenzio mia madre ancora dorme. La guardo e le passo una mano tra i capelli e penso: non era obbligatorio che io esistessi, ma ci sono. Grazie.

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