La sconfitta non è definitiva

«Io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità»
25 Novembre 2018

Cristo re dell’universo: Gv 18,33b-37

GESÙ E LA FOLLA (Fernando Botero, 2010, Medellín, museo di Antioquia)

 

Nella domenica che chiude l’anno liturgico, a farci luce è un artista colombiano, noto per la propensione a gonfiare i personaggi (forse per renderli più memorabili). Tuttavia il suo Gesù non ha nulla di caricaturale, dando semmai a pensare che deformata sia la gente che gli sta intorno, con i suoi giudizi e pregiudizi.

Come spesso succede, l’opera ha la capacità di evocare altre immagini. Per l’inquadratura ricorda un po’ il Cristo portacroce di Bosch, dove, oltre a Gesù, sono in pochi a mantenersi umani in una folla di mostri. Poi richiama il Cristo deriso di Emil Nolde, per le bocche che sparano sentenze fuori dai denti, sicure della propria verità. E, per l’ambientazione in una notte illuminata da torce, si collega ai quadri della Cattura di Gesù nell’orto: solo che, stavolta, si respira un’aria di tradimento collettivo.

La novità dell’interpretazione di Botero è nel calare Gesù nell’oggi: nessuno sembra andare in suo aiuto e i volti multicolori della gente, incongrui sia con la cattiveria che con la sofferenza, sembrano messi apposta per rimarcare la distanza dall’unico che non smette di restare uomo, ben diverso dai re che si credono Dio (e lo danno a credere).

E dire che Gesù ha appena confessato: «Il mio regno non è di quaggiù». Quaggiù è assurdo un re che entra in Gerusalemme seduto su un’asina, senza armi, senza eserciti e senza segni del comando. Uno che, pur sapendo d’essere il re dei re, non si definisce mai tale, non si fa valere con modi da sbruffone (tipo «Voi non sapete chi sono io»), non mostra i muscoli né combatte. È un re da ridere, per la logica del mondo. E da irridere: non a caso qualcuno gli ha già posato sul capo una corona di spine e qualcun altro starà posando, sulla croce, la scritta Inri. Circondato di ostilità e completamente isolato, questo re viene bullizzato dalla moltitudine, nonostante abbia raccontato come stanno davvero le cose: che c’è un Dio padre di tutti, che ci ama, e che gli altri sono fratelli da amare e da perdonare.

Davanti ai tanti che dicono «Non è vero niente, non ho fratelli, il tuo regno non esiste né può esistere», questo re continua a dare testimonianza alla verità, sapendo quanto ciò sia perdente. Chi gli vuol bene, tuttavia, non si dispera, non dimenticando la scritta che, sulla croce del Duomo vecchio di Molfetta, volle lasciare don Tonino Bello: “collocazione provvisoria”. A dire che – dopo il buio – «ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci… Il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga».

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