“Dove compreremo…?”

La pasqua di Cristo ci dice che la vita è gratis, è un regalo.
28 Luglio 2024

Domenica scorsa, abbiamo visto che una gran folla ascolta Gesù, mentre i discepoli imparano da lui lo stile della missione. Arriva la sera e la gente comincia ad avere fame. Come fare? Qui Mc mette in scena la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma improvvisamente la lettura continua di Mc viene lasciata e, oggi, ci troviamo a leggere il brano parallelo di Gv. A parte Battesimo e Pasqua, cioè inizio e fine della missione pubblica di Gesù, la moltiplicazione dei pani è l’unico episodio narrato per intero in tutti e quattro i vangeli. Perciò, forse, punto molto rilevante della missione di Gesù.

E Gv ha alcuni elementi nel testo, che ci offrono un senso particolare, che allarga di molto la tradizionale visione eucaristica del brano.

Cercando di fuggire dalla folla che lo brama, Gesù si ritira sulla montagna e da lì, assieme ai discepoli vede una grande folla venire a cercarlo. Allora lui fa una domanda provocatoria ai discepoli (raffigurati in Filippo e Andrea), per metterli “alla prova” (v. 6). Che nel linguaggio greco del vangelo significa far fare ai discepoli un’esperienza che renda evidente a loro stessi quale sia la logica del loro cuore di fronte ai bisogni umani. Il motivo del brano è perciò primariamente ecclesiale e cerca di rispondere a questa domanda: qual è l’atteggiamento dei discepoli di Cristo di fronte ai bisogni degli uomini?

Nella risposta di Filippo è evidente che la loro logica è ancora quella antica del “ti do se mi dai”. Dice Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti…”, che non lascia dubbi sul senso del “mercateggiare”. Sul piano esistenziale diventa: per risolvere i bisogni umani dobbiamo “pagare, perdere, cedere” qualcosa. La vita non è gratis, ma va pagata. Perciò dobbiamo trovare soldi e un “mercato” in cui comprare.

Se restiamo in questa logica il miracolo rimanda ad un Gesù che può risolvere tutti i nostri bisogni umani, pagando lui per tutto e tutti. Ci si serve di Gesù, invece di servirlo. Con due conseguenze rilevanti. Quello che si potrà “rapire” (letterale di quel “prendere” v. 15) dalla vita sarà sempre e solo quel poco (“piccolo” letterale del v. 7), commisurato alla nostra limitata volontà umana (“finchè ne vollero” v. 11). Ma soprattutto che ognuno penserà per sé. Quel “ciascuno” (v. 7) in greco viene dal superlativo assoluto di lontano, cioè siamo individui, riconoscibili gli uni dagli altri, perché lontanissimi l’uno dall’altro. In questa logica, cioè, ognuno per sé, si serve di Gesù come di un possibile “bancomat infinito”, invece di servirlo.

La logica di Cristo, invece, si rivela nella sue azioni e parole. Chiede ai discepoli di far “stendere in basso” (letterale v. 10) le persone, che significa mettersi nella posizione tipica di chi mangia a tavola. Quindi prepararsi a ricevere il cibo, ma in un contesto non urbano, che perciò non permette alla gente di sapere né da chi, né come, né cosa avrebbero mangiato. Pure i discepoli sembrano sorpresi e increduli nel fare ciò che Gesù gli chiede, tanto che sottolineano “cosa sono queste cose, per tanti?” (v. 9), riferendosi al poco cibo offerto dal ragazzino. Ma soprattutto è una parola che ci rivela il nocciolo della logica di vita di Gesù, quel “rese grazie”. Verbo molto denso che nella sua radice indica riconoscere con gioia e piacere il dono gratuito, non contrattato, né atteso, che sopravanza di molto il bisogno della persona, producendo in chi lo riceve il senso di una pienezza di vita inimmaginabile.

La logica di Cristo è, cioè, la gratuità, che viene a sostituire la logica del “ti do se mi dai” e così colora di un significato totalmente diverso la “vicina” Pasqua ebraica (v. 4). La pasqua di Cristo ci dice che la vita è gratis, è un regalo di amore; la sua pienezza fruibile non si deve pagare, non viene chiesto all’uomo un comportamento previo perché questo dono possa arrivare. In questa prospettiva Cristo è al tempo stesso colui che dona e il dono stesso, che è mosso ad amare solo da sé stesso  e liberamente offre sé stesso, che non si lascia usare da nessuno, ma si dona per essere vissuto e mangiato da tutti. La sua essenza è la consegna di sé per amore, non l’uso dell’altro, e nemmeno il farsi usare dall’altro, fosse anche Dio.

Ma come tenere assieme, allora, il bisogno dell’uomo di garantirsi di restare in vita e realizzare sé stesso, che anima la logica del “ti do se mi dai”, con la consegna di sé nell’amore, che anima la gratuità?

Su questo Gv mostra chiaramente una differenza di senso tra pani e pesci. Egli usa una parola strana, tradotta con “pesci” (v. 9 e 11), che in realtà indica ogni cibo cotto e pronto per essere mangiato, quello che diremmo “companatico”. E poi usa la parola “pani”, che nel linguaggio evangelico significa qualcosa di preparato di fresco, con amore, per sfamare qualcuno e farlo sentire riconosciuto, aiutandolo a diventare più grande. Gv accentua quest’ultima sfumatura, presentando Cristo come pane disceso dal cielo per la vita eterna, che consente all’uomo di diventare come Dio.

Ma soprattutto ci tiene a indicare che le dodici ceste che restano alla fine del racconto, sono solo di pane. Del pesce non resta nulla, viene consumato tutto, mangiandone appunto “finchè ne vollero” (v. 11). Mentre i pezzi di pane che “eccedono, che vanno oltre” (letterale di quel “avanzati” v. 12 e 13), devono essere “riuniti insieme” perché “nessuno si perda” (v. 12). Come a dire che i pesci rispondono al bisogno umano di mantenersi vivi, e saziano l’uomo, ma solo nei limiti di ciò che l’uomo vuole, mentre i pani consentono alle persone di sentirsi amati e diventare più grandi, andando oltre i limiti della propria volontà e così poter recuperare tutto della propria umanità, senza perdere nulla e nessuno.

Nel mangiare assieme pane e companatico, le persone si saziano, cioè si “riempiono pienamente” (v. 12). Da una parte infatti le persone si mantengono vive e realizzano sé stesse secondo la loro volontà, ma nello stesso tempo si aprono alla trascendenza dell’offerta, della consegna di sé per amore. Ecco perché le due cose non vanno divise, perché se cerchiamo Cristo per la sola nostra realizzazione, (o anche solo per la nostra trascendenza, ignorando il bisogno di realizzazione di sè), per la pienezza della nostra volontà (o per la ricerca di una santità che non ci realizza umanamente) e non siamo disponibili alla trascendenza (o all’incarnazione) dell’amore, Dio “mette spazio di nuovo” (letterale di quel “si rititrò” v. 15) tra sé e l’uomo, rendendosi inafferrabile e restando “sulla montagna egli solo” (v. 15). Persino senza discepoli, che ancora non hanno colto questa possibilità di trascendenza nella gratuità incarnata.

Qual è, allora, l’atteggiamento di Cristo di fronte ai bisogni degli uomini? Consegnare sé stesso per amore come risposta immediata ai bisogni umani delle persone, arrivando anche ad andare oltre la soluzione dei propri bisogni di sopravvivere o di realizzarsi. Ma non fa questo come una ONG, per motivi ideologici, per un umanitarismo illuminista o per un masochismo religioso in chi riduce la spiritualità ad un dovere morale di solidarietà. Lo fa perché sa che nel suo consegnarsi agli uomini per amore “gratuito”, essi, dentro alla soluzione dei propri bisogni, possono sentirsi amati ben oltre ciò che chiedono, aprendo la possibilità di rispondere non solo al proprio bisogno, ma anche al proprio desiderio, quello più profondo, che spesso nemmeno immaginano: poter vivere la sazietà stessa di Dio.

2 risposte a ““Dove compreremo…?””

  1. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Padre nostro che sei nei cieli… dacci oggi il nostro pane quotidiano.
    Il fulcro del miracolo non sta nella sua eccezionalità ma nella gratitudine verso il padre per tutto ciò che dà ed è vita.
    La fede del figlio non è motivata da ciò che il padre può dargli ma è fatta di gratitudine per ciò che egli dà.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Gesù deve farsi conoscere per quello che è, non solo uomo che predica cose nuove, uno come profeta, uno che compie miracoli, e quindi guarire l’uomo affetto da tante malattie. Gesù sa di soddisfare questi limiti ma Lui non è venuto solo per questo, per loro ma per i posteri di quel popolo, presente. Doveva far conoscere la presenza del Padre, come Egli era Dio da Dio, voleva destare in loro la Fede quel desiderio di Lui non per il solo pane di frumento, ma che al pari di questo si sentisse la fame di bisogni più alti quelli che si ottengono non da cose comperate ma conquistate attraverso l’amore un sentimento che salva l’animo dell’uomo, gli dona potere e opera a sua volta miracoli come il sentirsi tutti “fratelli” colmare quelle differenze che l’egoismo genera, impoverire il potere del denaro, moneta per comprare, facendo conoscere che non con denaro si compra la vita, la felicità, l’accesso ai beni eterni era Lui e avere Fede nella Sua Parola.e

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