Il discorso (di domenica scorsa) con i capi dei Giudei sembra aver aperto una breccia tra di loro. Il v. 52 dice esplicitamente: “Combattevano, dunque, i Giudei gli uni con gli altri, dicendo: come può lui dare a noi la sua carne da mangiare?” Domanda che lascia intravvedere come una parte dei capi abbiano accettato l’idea di una provenienza trascendente di Gesù (ed ora si chiedono come sia possibile fare quello che lui dice), mentre un’altra parte, forse, è rimasta impassibile immaginando che lui sia “il figlio di Giuseppe” e niente più.
In questa fessura aperta in una parte dei Giudei, Gesù cerca di infilarsi, ribadendo loro per la terza volta, ma ora in modo autorevole (in verità in verità vi dico… v. 53) il suo annuncio centrale: chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Ma questa volta con tre differenze importanti.
La prima. Per tre volte (vv. 54.56.58) il verbo mangiare, usato da Gv, cambia, si incrudisce e non è più un semplice prendere cibo, ma è un masticare, stritolare. C’è una accentuazione evidente della dimensione fisica dell’atto, quasi a rendere chiaro che Lui non sta usando una metafora, né una espressione spirituale e basta. Ma c’è anche una sottolineatura della drammaticità dolorosa (è un divorare, sbranare) di questo atto, che rimanda al doloroso dramma pasquale. Tradotto: chi riconosce la mia radice trascendente, dovrà uscire dalla logica del rapporto con il sacro ossequioso, impaurito e intoccabile avendo il coraggio di provare a “divorare con una certo impeto” quel sacro.
La seconda. Oltre alla carne compare anche il sangue come bevanda necessaria, per ben quattro volte (vv. 53-56). Per gli Ebrei esiste una proibizione assoluta di bere il sangue (Lev 17,10-14 e Dt 12,16. 23-25). L’invito di Gesù va perciò dritto al cuore, rispetto ad una verità assoluta degli Ebrei: il sangue è la vita. Ma questo non è un semplice invito a trasgredire, bensì a portare all’estremo quella verità. Tradotto: se vuoi la vita di Dio, se la brami, prenditela con coraggio e audacia, bevendo il suo sangue.
La terza. I vv. 56-57 cercano di dare un senso alle due precedenti differenze. Chi mangia la sua carne e beve il suo sangue “rimane” il lui e viceversa. Questo verbo, che Gv renderà centrale nel discorso di addio di Gesù ai discepoli (cap 14-16), indica la permanenza nel tempo, la stabilità e la solidità di una relazione. E qui non viene usato come imperativo, ma come indicativo. Tradotto: chi si ciba di Gesù viene immesso in una relazione stabile e permanente con lui che non nasce dallo sforzo dell’uomo di restare in quella relazione, ma dalla forza magnetica e inamovibile dell’azione di Dio.
E qui, allora, sta la sorpresa: chi vuole afferrare Dio e la vita, anche con bramosia, per viverla in pienezza, viene invitato ad avere il coraggio di farlo, non di fermarsi all’altezza della sopravvivenza umana. Viene invitato ad afferrarlo, mangiarlo, divorarlo, anche con forza. Ma nel fare ciò, se la persona pensava di poter diventare lei il Signore di Dio, accade il contrario: Dio installa la persona sotto la propria signoria! E qui si rivela il centro profondo della vita di Dio: come Gesù vive “dal e per il padre”, allo stesso modo chi mangia di Lui “vivrà da e per lui” (v. 57).
L’essenza di Dio nella quale siamo installati mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue è una essenza di servizio e non di potere, di consegna di sé e non di affermazione di sé, di spinta a far vivere l’altro e non a usare l’altro per me. Così il desiderio di potere, di affermazione di uso dell’altro non viene distrutto, ma realizzato secondo l’essenza stessa di Dio: il vivere per l’altro e non per sé stessi. La dinamica profonda dell’amore eucaristico è davvero strana. Dio accetta che noi cerchiamo di “sbranarlo” per possederlo, ma nel fare questo non ci accorgiamo che siamo portati a imparare che vivere è donare e non possedere.
Siamo al cuore profondo dell’identità del cristiano. Proprio su questo sta o cade la fede: servirsi di Dio per definire o affermare sé stessi è semplice, ma non è quello che Gesù offre. Lasciarsi afferrare da lui e diventare a nostra volta cibo offerto è molto più complesso.
Oggi, a volte, si assiste ad esibizioni dell’identità cristiana che forse non sono molto di Gesù Cristo, in cui Dio viene usato per consolidare la nostra posizione rispetto agli altri per rassicurarci e sentirci più di loro. Ma da questi comportamenti Dio si ritira, e ci lascia da soli, nella speranza che il dolore che poi infliggeremo o riceveremo ci faccia ritornare a sentire che essere Dio è un’altra cosa.
L’essenza di Dio non è fatta per essere conservata e protetta: “non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente” (Fil 2,6). La sua identità è fatta per essere spesa, per essere offerta e consumata nell’amore, perché è proprio così che si realizza. Tutte le volte che proviamo a difendere strenuamente la nostra idea di Dio stiamo facendo qualcosa che non appartiene a Dio. Quella identità va vissuta, va consegnata per amore e solo alla fine della vita vedremo se e come ciò consenta di “definire” davvero chi è Dio.
E io lo risusciterò nell’ultimo giorno“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. In verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Perché la mi carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così colui che mangia me vivrà per me”.(Gv.6,65).chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Chiarissimo, vivere della Parola e mangiare Cristo, perché le prove della vita sono difficili da superare, il dolore, l’odio sono prove dure, nascono conflitti, guerre cruente sono pane quotidiano e il rimedio è Cristo, la ricerca del bene comune richiede saper dire basta ee il coraggio di incontrarsi anche da nemici, con torti e ragioni ma decisi ad abbandonare le armi che uccidono folle inermi e di quel sangue sparso per?Si suppone Dio ne chiederà conto
Gesû, io ti amo con tutto me stesso. E ancor di piû quando leggo gli ultimi msg. di Gil.
Grazie Gil.
Ma..
Sarà la vecchiaia..
Sarà la vista che ormai oscilla..
Quando leggo;
”L’essenza di Dio nella quale siamo installati mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue è una essenza di servizio e non di potere, di consegna di sé e non di affermazione di sé, di spinta a far vivere l’altro e non a usare l’altro….
Invece leggo:
” L’ASSENZA di Dio… che in me diventa EGO che non riesce manco piû a percepire la sua presenza anche a Tabernacolo CHIUSO.
DIFFICILe vivere ALTRO da se.
Si parla di mangiare il pane disceso dal cielo, come hanno mangiato a suo tempo quel popolo di di ebrei erranti nel deserto. Il primo indica nutrirsi dei valori dello Spirito per incarnarlo nella vita quotidiana, il secondo rimane nutrimento della carne che muore. Mangiarlo dunque significa nutrirsi di vita, nutrimento per far vivere il corpo, diventare così “corpo di Cristo”. “sono stato crocifisso con Cristo; non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me”(Ga.2,20) Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. Non fatevi illusioni, Dio non si lascia ingannare.Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato, dalla carne raccoglierà corruzione,..dallo Spirito raccoglierà vita eterna.Operiamo dunque il bene verso tutti soprattutto verso i fratelli nella Fede.(6,1).”E’ dunque importante che ci rendiamo conto di quanto Gesù Cristo possa incidere nella vita di un uomo, e quindi anche nella ns.stessa vita (Benedetto XVI