Oggi 18 gennaio 2019 festeggiamo un sogno mancato. Ricorrono infatti i cento anni dall’Appello ai liberi e forti, il manifesto del Partito Popolare. L’esito di quell’appello infatti fu l’esperienza politica di un partito che si presentò in tre tornate elettorali (1919, 1921 e 1924) e non riuscì ad arginare la deriva autoritaria che investì il paese. Sul piano storico il fallimento di una elite. Fu il fallimento di Sturzo esiliato e di De Gasperi, ultimo segretario politico del PPI.
Ma fu vero fallimento? Si lo fu. Quel partito non ebbe capacità e forza di svolgere la sua funzione e fu travolto dalla Storia. Gli ideali dell’Appello divennero carta straccia sull’altare del compromesso parlamentare che divise il partito che troppo tardi si ridestò.
Non c’era più nulla da fare.
Infatti i partiti politici sono strumenti che nascono e muoiono e se non svolgono la funzione affidata dalla Storia sono destinati a finire.
A me la parabola del PPI mi ha sempre colpito. Mi sono sempre chiesto come ideali tanto alti possano poi scomparire per lasciar spazio all’arroganza ed alla protervia di chi votò la legge Acerbo .
Ed allora mi piace riportare il passo successivo della storia di questo appello.
Lo scrisse uno che si chiamava “demofilo” (amico del popolo). Era stato il giovane a cui era toccato in sorte di vedere fallire i suoi ideali e chiudere l’esperienza di quel partito. Nel 1942 ebbe il coraggio di riprendere in mano quegli ideali e scrisse questo:
” Mentre la guerra ci stringe sempre più da vicino … non vorremmo dirvi una parola che avesse sapore elettoralistico e paresse derivata da gretto spirito di parte. Vorremmo invece che fosse una parola sincera di fede e di speranza nei nostri destini, una parola di fraternità che ci faccia solidali nella triste e nella buona ventura, una parola che ridesti e guidi tutte le energie della nostra volontà rinnovatrice. Siamo giovani e anziani, o che si sono dati la mano per costruire un ponte fra due generazioni, tra le quali il fascismo aveva tentato di scavare un abisso; ….Queste due generazioni, la più giovane e la più anziana, sentono sempre viva ed operante in loro la tradizione di quel movimento di idee e di fatti, sorto alla fine del sec. XIX, che in Italia si chiamò prevalentemente democratico-cristiano (mentre altrove, specie nei paesi austriaci, si disse cristiano-sociale). E’ questa una tradizione che ad ogni svolta della storia si rinnova e si aggiorna, che tiene conto dell’esperienza sociale e cammina con essa, un’idea che si veste della realtà dinamica per dominarla, un fermento che attingendo alla perennità delle sue fonti, dà vita a nuove forme sociali, diventa il lievito di una nuova economia e germina profondi rivolgimenti politici.”
Il Demofilo che voleva dare “una parola che ridesti e guidi tutte le energie della nostra volontà rinnovatrice”, lo avrete capito, era Alcide De Gasperi e fondò la Democrazia Cristiana, un partito che tanto ha dato al Paese, un partito molto più longevo del PPI, un partito che smarrì presto l’ideale. Un altro partito che è finito, sia pur dopo 50 anni.
Al termine della Democrazia Cristiana nel 1994 qualcuno pensò di ritornare alle origini, fondando il Partito Popolare che fu anima dell’Ulivo. Ebbene nuovamente l’appello del 1919 fu disatteso dagli interpreti. Quell’esperienza non riuscì ad essere argine al populismo degli anni successivi proprio a causa dei tanti compromessi con la personalizzazione della Politica a cui ha ceduto.
Questa storia oggi dovrebbe farci riflettere come cattolici impegnati in politica. Aveva ragione Martinazzoli quando diceva che se non è un dogma l’unità politica dei cattolici, non lo è neanche la diaspora. Un punto è certo: ogni possibile nuova esperienza di Partito Popolare deve essere fortemente laica, come la immaginava Sturzo e fondata su un programma. Però penso che la riflessione sull’organizzazione del cattolicesimo politico in Italia non debba partire solo da questo, bensì dal chiedersi che genere di organizzazione si vuole mettere in campo: una organizzazione politica che per vincere ceda alla personalizzazione imperante oppure una organizzazione politica realmente democratica? Da dove partire? Da un Renzi, Berlusconi, Di Maio o Salvini cattolico?! Diciamoci la verità: non ci sarà mai un leader ad alto tasso di personalizzazione e che possa definirsi cattolico. E’ un ossimoro. Demofilo non era un leader che comunica, era invece un costruttore di ponti che aveva una visione del futuro e sapeva parlare al popolo che se ne sentiva letto ed interpretato. Demofilo non avrebbe firmato contratti in Tv e nemmeno fatto dirette Facebook.
Molti retoricamente invocano il ritorno dell’appello ai “liberi e forti”. Io dico che i liberi e forti del 1919 non ci servono oggi e nemmeno quelli del 1994.
Ci servono invece persone come Demofilo: umili, pazienti, innervate nel vissuto del paese che sappiano riprendere in mano i fili di quel pensiero politico che il cattolicesimo ha germinato. Ci vogliono uomini appassionati che sappiano e vogliano farsi domande e propongano risposte. Per il resto occorrerà saper cogliere le opportunità che darla Storia con cuore umile, pronto ed indomito come Demofilo nel 1942.
Non ho ricette. Sono un semplice militante di partito, però sento di dire, col cuore in mano a tanti che si riconoscono negli ideali del cattolicesimo politico, a destra o a manca, che è ora di cominciare a lavorare, ognuno per il piccolo pezzo di responsabilità affidato in questo mondo, per una ri-generazione della Politica attraverso un serio lavoro di formazione e per la ri-fondazione delle strutture organizzative del cattolicesimo politico. L’Italia ne ha bisogno come l’aria perché noi manchiamo. Poi magari sarà anche il tempo di un nuovo appello e di nuove storie.