Con The economy of Francesco, l’evento voluto dal Papa ad Assisi (avvenuto a distanza a causa della pandemia), Francesco ha chiesto a giovani economisti di tutto il mondo di incontrarsi, dialogare, leggere la realtà e provare a porre le basi per una nuova visione dell’economia, si è concluso di recente.
L’invito del Papa è quello di sfruttare l’occasione per «avviare processi, tracciare percorsi, allargare orizzonti» per creare «una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale»; per avere un’economia più umana, più al servizio delle persone e che non continui a sostenere la “cultura dello scarto”, come la definisce Francesco, è urgente porsi una domanda che precede la costruzione di un nuovo modello economico, che appare sempre più necessario dato l’aggravarsi delle disparità sociali (da questo punto di vista la pandemia ha aperto gli occhi, questo modello di sviluppo non è più sostenibile): come i cristiani possono essere presenti nell’economia? Come avere «lo sguardo di Gesù»[1]?
Guardando al magistero, tanti sono gli spunti ancora attuali che possono tornare utili, partendo dalla Popolorum progressio di Paolo VI, passando dalla Laborem exercens di Giovanni Paolo II, alla Caritas in veritate di Benedetto XVI (senza contare ovviamente le encicliche più recenti dell’attuale Pontefice); tutte, a cominciare dalla pietra miliare di Paolo VI, partono da un dato: l’uomo («lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo […]. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera»)[2].
Ne deriva che la presenza cristiana in ogni ambito non è fine a sé stessa ma è per l’umanità stessa, credente e non, e al centro di tutto il sistema di sviluppo viene posto l’essere umano, non come padrone del mondo, quanto piuttosto come essere a cui è riconosciuta una dignità più grande rispetto a qualsiasi altro essere vivente. Allo stesso tempo però questa dignità non deve essere confusa con un potere universale nei confronti degli altri uomini né del creato («dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura»[3]).
Solo a partire da questa presa di coscienza si potrà arrivare a generare un nuovo sistema, una nuova mentalità e cultura che possano tenere conto delle storture presente oggi, con la costante creazione di nuovi poveri e con la disparità sempre più grandi che si vengono a formare;[4] non si può correggere tutto e subito: l’invito del Santo Padre è appunto quello di creare processi, senza dimenticare però che la fede cristiana gioca un ruolo di primo piano anche nella dimensione economica per la creazione di tale nuova cultura, come ha sottolineato l’allora cardinale Ratzinger nel 1993: «Quando la fede dice all’uomo chi egli è e come deve incominciare a essere uomo, la fede crea cultura, anzi è essa stessa cultura»[5].
Come guardare allora lo sviluppo economico alla luce del Vangelo, se non intendendo con questo anche una vera e propria vocazione cristiana? E soprattutto, come guardare lo sviluppo in un senso vero, senza considerarlo solo come una mera evoluzione delle strutture? Se infatti lo sviluppo «riguardasse solo aspetti tecnici della vita dell’uomo, e non il senso del suo camminare nella storia assieme agli altri suoi fratelli né l’individuazione della meta di tale cammino, la Chiesa non avrebbe titolo per parlarne. […] Dire che lo sviluppo è vocazione equivale a riconoscere, da una parte, che esso nasce da un appello trascendente e, dall’altra, che è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo». Ma se lo sviluppo è vocazione, allora non si può non tener conto di un altro fattore, cioè della libertà: «la vocazione è un appello che richiede una risposta libera e responsabile. Lo sviluppo umano integrale suppone la libertà responsabile della persona e dei popoli: nessuna struttura può garantire tale sviluppo al di fuori e al di sopra della responsabilità umana. I “messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni” fondano sempre le proprie proposte sulla negazione della dimensione trascendente dello sviluppo, nella sicurezza di averlo tutto a propria disposizione. Questa falsa sicurezza si tramuta in debolezza, perché comporta l’asservimento dell’uomo ridotto a mezzo per lo sviluppo, mentre l’umiltà di chi accoglie una vocazione si trasforma in vera autonomia, perché rende libera la persona». Non c’è sviluppo se non c’è carità, ma lo sviluppo basato sulla carità implica una libertà responsabile, necessaria affinché tale sviluppo sia umano ed integrale»[6].
Prima ancora di ipotizzare altri modelli, va però evidenziato come non è possibile presentare l’economia e tutto il complesso mondo economico come “male assoluto” (come giustamente non è stato fatto ad Assisi), non tutto quello che è stato fatto e pensato negli anni precedenti è da scartare, anzi favorendo il dialogo tra una generazione e l’altra (proprio come spesso ha detto il Papa nel corso del suo pontificato, parlando del dialogo tra le generazioni più anziane e quelle più giovani[7]) si potranno correggere le storture che nel tempo si sono create, tenendo ben presente però che il problema è più ampio delle strutture e coinvolge l’educazione, la formazione, la cultura e la fede del nostro mondo.
(fine prima parte)
[1] Cfr. Francesco, Evento internazionale online: The economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro, Videomessaggio del Santo Padre ai partecipanti all’incontro, 2020.
[2] S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967).
[3] Francesco, Lett. Enc. Laudato si’ (24 maggio 2015).
[4] Basta, per questo, osservare l’indice di Gini, valore utilizzato per misurare la diseguaglianza, per accorgerci che è in costante crescita (dati OCSE).
[5] Ratzinger, incontro con i vescovi della FABC, Hong Kong, 2-6 marzo 1993.
[6] Benedetto XVI, lett. Enc. Caritas in veritate, (29 giugno 2009).
[7] Cfr. Francesco, Lett. Post. Sin. Cristus vivit (25 marzo 2019).