Storia di una donna

Le politiche degli ultimi decenni in Italia hanno depotenziato la sanità pubblica in nome del taglio delle spese: forse è arrivata l’ora di invertire la tendenza, di ristabilire delle priorità.
8 Aprile 2020

Oggi voglio ricordare la storia di una donna: una  donna che si chiamava Tina Anselmi. Nata il 25 marzo 1927, veneta, cattolica, staffetta partigiana, membro della assemblea costituente, deputata della DC nel dopoguerra, prima donna ministro italiana.

Si occupò della questione femminile, promuovendo la legge che introdusse la parità di trattamento tra uomini e donne sul lavoro (legge 903/1977) e firmò anche, in qualità di ministro della sanità, la cosiddetta legge Basaglia (legge 180/1978) che finalmente considerò i malati psichici come persone da curare e non come animali da rinchiudere.

Ma c’è un motivo specifico per cui oggi, in piena crisi da Covid-19, dobbiamo ricordarci bene chi è stata Tina Anselmi: fu infatti lei, durante il suo mandato di ministro della sanità, a firmare la legge che istituisce in Italia  il Servizio Sanitario Nazionale (legge 833/1978).

Questa legge dà attuazione all’art. 32  della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

La salute, nell’impianto costituzionale,  è vista come diritto dell’individuo e come interesse della collettività: ha quindi un valore sociale. La differenza tra la sanità pubblica e quella privata è tutta qui: nella sanità pubblica, si salvaguarda un diritto individuale e l’interesse è comune; nella sanità privata, l’interesse – legittimamente – è dell’imprenditore e lo scopo è il profitto.

Se in Italia stiamo fronteggiando – a fatica, ma lo stiamo facendo – questa pandemia, è grazie alla sanità pubblica. O meglio, a ciò che ne resta, visto il processo di regionalizzazione della sanità stessa: “un percorso che affonda le sue radici ideologiche negli anni Novanta, nella asserita necessità di privatizzare ed esternalizzare, di ridurre il ruolo dello Stato, di riorganizzare il settore sanitario sulla base del modello aziendalistico, ed è proseguito nei decenni successivi, prima con la riforma costituzionale del 2001, che ha modificato il riparto di competenze tra Stato e Regioni anche in materia di salute, poi con le regole economiche europee, in ultimo quelle sul vincolo degli Stati al pareggio di bilancio. Si tratta di passaggi che hanno determinato, a legislazione vigente, la perdita di effettività dei principi introdotti con la legge del 1978. L’enorme valore del SSN viene riscoperto in tempi emergenziali di fronte all’evidente difficoltà dell’amministrazione sanitaria” (qui).

Nei paesi del mondo dove la  sanità pubblica non esiste (o è residuale), il dislivello , la discriminante è il reddito: chi si può permettere l’assicurazione privata o comunque le costose terapie potrà curarsi, gli altri no.

Non solo, se le risorse non bastano, si decide in anticipo chi escludere: “in Tennessee le persone affette da atrofia muscolare spinale verranno «escluse» dalla terapia intensiva. In Minnesota saranno la cirrosi epatica, le malattie polmonari e gli scompensi cardiaci a togliere ai pazienti affetti da Covid-19 il diritto a un respiratore. Il Michigan darà la precedenza ai lavoratori dei servizi essenziali. E nello Stato di Washington, il primo a essere colpito dal coronavirus, così come in quelli di New York, Alabama, Tennessee, Utah, Minnesota, Colorado e Oregon, i medici sono chiamati a valutare il livello di abilità fisica e intellettiva generale prima di intervenire, o meno, per salvare una vita” (qui). E ancora: “Decine di ospedali americani hanno chiesto alle autorità statunitensi di emettere un ordine nazionale di «non rianimare» i pazienti affetti da Covid–19. E molti di loro stanno già considerando di attuare questo principio nei loro reparti. La notizia, resa nota da vari media Usa, è stata confermata ieri da singoli medici e da alcuni gruppi privati di servizi sanitari ai quali fanno capo numerosi nosocomi in New Jersey, Pennsylvania, Illinois, Tennessee, Wisconsin, Carolina del Sud e del Nord e Washington” (qui). Purtroppo non sono solo affermazioni teoriche: “Il ragazzo di 17 anni morto in California per coronavirus era stato rifiutato dall’ospedale perché non aveva l’assicurazione sanitaria” (qui).

E’ questo il mondo che vogliamo? Una società che seleziona chi è degno di essere curato e chi no? Che riporta alla luce sinistri fantasmi di un passato che credevamo sepolto per sempre? D’altronde, la sanità privata ha inesorabilmente bisogno di adottare dei criteri per somministrare le proprie cure quando non bastano per tutti, quindi, dovendo compiere una scelta,  si esclude chi non è economicamente vantaggioso, subordinando la vita umana al profitto economico. Questa è la conseguenza, orrenda e inevitabile, con buona pace dei diritti umani e di ogni forma di democrazia.

Le politiche degli ultimi decenni in Italia hanno depotenziato la sanità pubblica in nome del taglio delle spese, del ce-lo-chiede-l’Europa, ma forse è arrivata l’ora di invertire la tendenza, di ristabilire delle priorità, di riconoscere quali sono le politiche che ci fanno progredire nella civiltà, e quali ci fanno invece sprofondare in un lontano passato di disuguaglianze e di inarrestabili pandemie.

Ecco perché oggi, in Italia, ci dobbiamo ricordare con gratitudine proprio di lei, Tina Anselmi, troppo a lungo ingiustamente dimenticata: veneta, cattolica, partigiana, madre costituente,  ministro della Repubblica.

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